Marco Valerio
2005
9788875470142
“Zero” non è solo la stagione all’inferno di Alessandro Ansuini, diario frammentato e sconnesso (in altre parole: letterario) d’un’esistenza vissuta scrivendo per esorcizzare la paura del dolore e per esaltare la bellezza, agognando la divinizzazione della vita – del tempo che rimane – e rivendicando la serena attesa della morte; è il quaderno dei quaderni d’un autore che sta rinnovando le lezioni rimbaudiane (l’identificazione è, in questo testo, chiara, forte e proclamata) e campaniane, amalgamando poesia e prosa, nel segno della ricerca d’una forma nuova e, a quanto leggiamo in questo testo, d’una miracolosa e ancora inesistente struttura delle strutture. Ansuini propone una riflessione (ambizione?) chiara: mostrare una struttura capace di “inglobare le altre”. A un tratto domanda quale sia il nome della struttura capace d’essere a un tempo cronologica, a contrappunto, a incastro, ad affresco, deformata (non cronologica): la sua risposta è “Zero”, negazione della struttura in generale, architettura deflagrata, amori e sentimenti e emozioni e intervalli capaci di disgregare l’ordine previsto da ognuna delle strutture narrative convenzionali. Non è l’unica riflessione estetica rilevante, come vedremo; questo al di là dell’avvenuta fondazione della “struttura zero”, o almeno della sua ideazione.
“Zero”: credevo il titolo omaggiasse una battuta del film “The Doors” di Oliver Stone; Ansuini mi ha invece spiegato che “Zero il titolo se l’è scelto da solo, così come il fatto di non mettere il mio nome, mentre si scriveva diceva che non avrebbe avuto un nome e quando incredibilmente ho avuto l’opportunità di pubblicarlo non mi sono sentito di contraddirlo. Inizialmente si chiamava Zero’s Theme ma poi ha perso un pezzo, (come i Cult e i Cure) lo zero è tremendamente ambiguo, significa molte cose insieme, come riferimento musicale credo richiami zero degli Smashing Pumpkins, la canzone, (che portò a quella magliettina con la stella, te la ricordi nel video di Bullet with Butterfly Wings?)”.
Come no. E al contempo riconosco, nella scrittura di Alessandro Ansuini, una serie di punti di riferimento – rock, letterari, cinematografici – cari e comuni a una parte della nostra generazione. Come nell’opera d’esordio, “Ronde de la nuit”, “Zero” è caratterizzato da una ricca e apprezzabile serie di citazioni, richiami interni più o meno nascosti; per intenderci, nei tre libri che compongono l’opera, ho individuato tra i tanti: The Cure – “Accuracy” e “Prayers for Rain”, con tanto di traduzione in positio princeps dell’inizio del brano; Radiohead, P.J. Harvey; Von Trier (“Idioti”), Tarkovskij; T.S. Eliot, Rimbaud, Nabokov, Shakespeare (Ofelia e Amleto postmoderni e ansuinizzati), Pavese, Holderlin, Campana, Schiller, Gadda, D’Annunzio dei “Notturni”, Blake. L’elenco potrebbe proseguire ancora, quasi a oltranza; la ricchezza delle letture, degli ascolti e delle visioni di Ansuini è micidiale e suggestiva; stesso vale per la naturalezza dei richiami e delle integrazioni nei suoi libri. Si ha l’impressione che siano opere – e autori – coi quali davvero esiste un dialogo quotidiano, un confronto teso a interiorizzare bellezza e intelligenza, nel sogno della creazione d’un’opera delle opere. Perché è a questo che l’autore romano classe 1974 sembra stia puntando, a un superamento dei generi e delle strutture. Per adesso registriamo una violentissima frammentazione della narrazione, una sovrapposizione quando cruenta quando lineare di immagini, una scrittura che procede per lampi, scrosci, flash accecanti o distensivi e rilassanti. Non poesia pura, ma suono: non narrativa, ma prosa lirica; liquidissima, ma non annacquata; densa piuttosto, come il magma originario, caos che pretende di tornare (non di andare: e questo è interessante davvero) al principio di tutto, destabilizzando l’ordine costituito, abiurando dio e la società, cantando e scrivendo quel che è stato e quel che è, senza mai oltraggiare il futuro con una speranza o con una promessa. Ansuini scrive come chi non vede altro che il presente; forse è questo il senso dell’iniziazione – meglio: dell’illuminazione – alla quale pare accennare a un tratto, Roma 2003.
Il futuro – come la poesia – è morto. Non è. Il presente è attesa, sospensione e idolatria dell’attimo. Poesia è morta e tuttavia il poeta sopravvive, come quelle rare orchidee che vivono attaccate agli alberi, scrive Ansuini, senza essere parassiti: attende come un’orchidea insanguinata, s’avvicina un’era glaciale e allora è il momento di fare acquisti su Media Shopping. “Qui sono morte le stagioni e gli inferni s’allineano a formare un anello. Tu sei la punta che segue il cerchio, tu sei il compasso” (p. 78).
Se riuscite a immaginare una “Stagione all’Inferno” raccontata con la cupa e disperata allucinazione apocalittica e l’immaginazione di Blake potete avere una prima e vaga idea di cosa v’attenda in queste pagine. Un delirio costante e programmato, tanto limpido da suonare sacro: “non significo niente, non significa niente / il diapason dei sentimenti ripete (e ripete) e ripete / lo stesso identico suono (simile) di perfezione (nel / perdermi in ogni arte cinese o comunque esplosione cremisi”.
La scrittura riflette sulla scrittura. Ansuini scrive per la cognizione del dolore e della morte (pp. 59-60, libro secondo, “Zoroastrian Building”), e per la bellezza intoccabile. Tiene compagnia al vuoto (p. 61). La scrittura uccide (p. 61), presuppone “ferirsi senza farsi male” (p. 66), è distruzione (p. 67), è peccaminosa (p. 69): “Ecco un poeta: colui che dà tutto, la sua paura, il suo coraggio, la sua stessa vita nella sua totalità per non ricevere nulla in cambio. Potete dire un missionario” (p. 68).
C’è qualcosa che andava e va restituito ai contemporanei, in versi. Il ritorno alla consapevolezza della caducità, per vivere con intensità ogni momento di sole, e ogni raggio di bellezza; si deve tornare a camminare a piedi nudi. Ansuini sta cercando una strada nuova – avanza confuso dalle memorie e dal dolore, e accecato dalla bellezza e dall’innocenza scrive; quando si tratta dell’affresco d’un sorriso, d’una notte o d’un dialogo, leggi e vai oltre senza nemmeno accorgertene: tuttavia d’un tratto appare un immagine che sintetizza e spiega tutto. L’autobiografismo – per quanto criptico per chi non conosca l’autore – è giustificato. Altro non esiste che quel che io ho vissuto.
“Zero” ne è la prova, e la coscienza. Lirica, e visionaria.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Alessandro Ansuini (Roma, 1974), poeta, narratore, fotografo, performer ed editore (clandestino) italiano. Ha esordito pubblicando “Ronde de la nuit” nel 2002. Vive a Bazzano (Bologna).
Alessandro Ansuini, “Zero”, Marco Valerio Editore, Torino 2005.
L’autore attribuito dall’edizione è “Karpòs Factory”. Zero è suddiviso in tre libri: “Schekleter & Paris Literary Company”, “Zoroastrian Building” (senza dubbio il migliore in assoluto, per intelligenza, originalità, profondità e stile) e “Il visionario”, a sua volta suddiviso in tre parti: quella eponima, “The Family” e “Verwirrung”.
Gianfranco Franchi, Aprile 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.