Meridiano Zero
2008
9788882371692
L'amore e la morte sono le colonne portanti di “Die Tochter meines Vaters”, romanzo di Mareike Krügel, narratrice tedesca classe 1977: è narrativa satirica (dell'esistenza; dei sentimenti; dell'appartenenza; del sesso) ma nient'affatto così leggera e superficiale come il titolo italiano potrebbe illudere. È un bene, perché una nuova commedia sentimentale femminina e barocca non sarebbe servita a nulla e sarebbe stata irrichiesta (a meno d'una scrittura straordinaria ed evocativa, nessuna trama di genere può più spiazzare). Ecco invece la grande storia d'una cartomante avventuriera, Felizia, erede d'una macabra tradizione di famiglia (onoranze funebri), costretta sin da bambina a prendere atto della terribile normalità della fine della vita, e della semplicità di dire addio a tutto; non senza il sorriso di chi ha inteso che non c'è rimedio diverso dalla consapevolezza e dall'intensità dei sentimenti, non senza le esperienze belle, romantiche e stupide di chi incontra l'amore.
“Volevo sposare Cary Grant” è un romanzo di formazione toccante, divertente e profondo: nei primi capitoli sembra un giocattolo ludico e nero, una sorta di nuova incursione nel mondo delle donne occidentali contemporanee, sardonica e stravagante. Poco a poco, sale. E salendo insegna e ammonisce: ad amare, e a non dimenticare; ad ascoltare, e a osservare. A essere, non esistere, essere: e creare. Creare la propria vita come una piccola opera d'arte, pur consci della caducità e della precarietà di tutto.
Felizia ha fatto diverse scelte di vita. Vive come cartomante applicando tattiche di interazione analoghe a quelle paterne, studiando l'abito nei dettagli e mostrando d'essere sempre serena e tranquilla; non bada ad arricchirsi, ma a restare fedele alla sua vocazione. Hobby, la filmografia completa di Cary Grant. È la sua ossessione. Per caso, si ritrova sulle tracce d'un suo sosia, sulla base d'una foto: il misterioso herr Malte Schmidt. Fantasie a occhi aperti, fallimentari esperimenti telepatici, spionaggio episodico e non sempre fortunato, scoperta d'una rivale che forse rivale non è, consigli strategici delle amiche: non manca niente dell'iter classico. Prima sorpresa: Schmidt non somiglia affatto alla foto. La Tattica di Cenerentola non sempre funziona, ma aiuta. Infine, niente è come appare. A ben guardare.
La vita sentimentale di Felizia è infelice: non mancano gli amanti, come il rude Kohlmorgen: vorrebbe sposarla, lei non sembra convinta. C'è anche l'Uomo del Piano di Sotto, che ogni tanto s'affaccia e sale a prenderla. Ama uomini che sembrano intervalli: diversivi. Succedono, e si succedono. Attende qualcosa – qualcuno – che assomigli al suo sogno di bambina e di giovane donna. Assomigli, almeno idealmente. Intanto, memorie d'infanzia: scalate con il piccolo Gunnar (“i becchini non hanno paura, e se proprio capita devono imparare a superarla”), scorribande notturne a caccia degli spiriti, salvo ritrovarsi a scambiarsi il primo bacio (“L'amore è una questione piuttosto stupida”) nell'ultima estate vissuta da compagni di scuola. Intanto, ecco l'addestramento paterno alla normalità delle morte e alla necessità delle pompe funebri.
L'infanzia e l'adolescenza sentimentale della ragazza che voleva sposare Cary Grant sono alternate alla narrazione del presente; al piccolo Gunnar si sostituisce Tobi, che significherà anni vissuti fianco a fianco scoprendo la femminilità e tutte le dinamiche di interazione col suo magnifico mistero. Felix sembra giocare a essere donna: il lavoro paterno diventa una simulazione di qualcosa di irreale (si muore per incidente, o per vecchiaia: la malattia è una scoperta), la vita sentimentale scintilla d'innocenza e di poesia minima.
L'educazione all'amore di Gunnar e Tobi è così terribilmente distante dal sesso che vive da adulta. Dalle menzogne delle avventure occasionali, e degli incontri equivoci. Soltanto una fantasia cinematografica annoda il passato e il presente: adattarla a chi passa per caso nella propria vita diventa una tecnica di resistenza al niente (al dolore che è vivere quando si dissolve il senso: quando il significato è argilla, impotente).
La morte brucia. Come l'amore. Brucia, brucia la carta della vita, dei nostri giorni; e i ricordi lentamente s'anneriscono, si fanno confusi, e poi – senza sorriso – si spengono. Come se non fossero mai esistiti. La protagonista del bel romanzo della Krügel è una bambina che aveva capito la morte (aveva pietà degli animali, senza che nessuno sapesse) e aveva frainteso l'amore. L'eredità che infine si va a raccogliere ha un retrogusto metallico e freddo, e tuttavia necessario (non c'è notte che nella memoria la carta bruciata non torni, rischiarata, a insegnare).
Una delle letture più inattese di questa stagione invernale. Non so prevederne le fortune commerciali, perché credo che il titolo italiano possa spiazzare; mi piace pensare che sia il tamtam dei lettori a decretarne il successo, e a invitarci a meditare. “Die Tochter meines Vaters” è il romanzo che non m'aspettavo di studiare. Menzione d'onore al New York Book Festival 2008: per una volta, apprezzo la giuria di un premio letterario. Saggia scelta.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Mareike Krügel (Kiel, 1977), scrittrice tedesca. Ha studiato nel Deutschen Literaturinstitut di Lipsia.
Mareike Krügel, “Volevo sposare Cary Grant”, Meridiano Zero, Padova 2008. Traduzione di Roberta Gado Wiener. Collana Primo Parallelo.
Prima edizione: “Die Tochter meines Vaters”, Francoforte, 2005.
Gianfranco Franchi, dicembre 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.