Il Foglio Letterario
2011
9788876060694
Pubblicato con il patrocinio di Amnesty International, il terzo libro di “Torreguitart Ruiz” è composto sulla falsariga di “Machi di carta”: le differenze fondamentali tra il primo e il terzo libro si possono così sintetizzare. Prospettiva eterosessuale e femminile e non più maschile e omosessuale; più puntuale e incisiva la denuncia sociale rispetto alle descrizioni delle varie avventure ed esperienze sessuali, sempre giocate al limite della pornografia per via della lineare descrizione di ogni singolo atto: mai evocato, sempre rappresentato e descritto azione per azione. In comune, l’esito: la fuga, stavolta per Miami, à la Enea femminino, con figlio e madre. In comune la narrazione in prima persona: là era il ballerino Maicol, qui la ballerina Juliana. Stavolta, “Torreguitart Ruiz” è incluso nel romanzo come protagonista, biografo della cubana che racconta il suo passato. E ci racconta qualcosa di interessante, come vedremo più avanti, a proposito di se stesso.
Prima di discutere della questione autoriale, qualche annotazione importante. “Vita da jinetera” è una efficace denuncia delle condizioni di vita dei cittadini cubani durante il periodo speciale. Il libro testimonia la durezza della censura, la corruzione delle polizia, la povertà del popolo e la costrizione alla prostituzione e al contrabbando pur di mantenersi in vita. È – in ogni caso – un’opera meritoria e importante, non satirica ma documentaristica; è la storia della decadenza e della sofferenza d’un popolo sotto un regime che non si stanca di affamare la sua gente, ridicolizzando il disegno originario e stabilendo i presupposti per un piccolo esodo che, a quanto pare, sta investendo parte la Florida, parte l’Europa. L’implacabile “controinformazione” degli ancora esistenti (2007!) partiti comunisti italiani (ed europei) non si stanca di recriminare per l’embargo americano, cancellando o minimizzando le chiare responsabilità castriste. La controinformazione vera, quella non ideologizzata e democratica, è capace di additare responsabilità ovunque esse esistano, disinteressata com’è a mantenere in vita il fantoccio orrendo della falce e martello, che soltanto nel secolo scorso ha massacrato circa 100 milioni di cittadini nel mondo. E allora eccone qui una testimonianza – italiana e cubana o italo-cubana che sia poco importa, da questo punto di vista – viva, toccante, appassionante, coinvolgente. Necessaria per sensibilizzare tutti i cittadini italiani, magari per scuotere le residue, idiote resistenze comuniste al dramma d’un popolo in un’isola in cui “l’esercizio della libertà d’espressione è un crimine. I reati comprendono lo svolgimento di attività in favore dei diritti umani, la pubblicazione di articoli, la concessione di interviste a organi d’informazione considerati critici nei confronti del governo, il contatto con funzionari statunitensi presenti sull’isola o i rapporti con la comunità cubana in esilio” – come spiega Riccardo Noury, portavoce della Sezione Italiana di Amnesty. Questo spettro che infanga e deforma le intelligenze dei cittadini da diversi secoli è il comunismo. Nemico della giustizia, della libertà, della democrazia, del popolo. Nemico del popolo. Responsabile di milioni di morti. Ancora vivo.
Ciò detto – e invitando i lettori a non lasciarsi sfuggire questa necessaria opportunità letteraria di informazione e demistificazione della realtà – passo nel dettaglio del libro. Chi ha letto le pagine precedentemente dedicate all’opera omnia di Gordiano Lupi, scrittore tosco-cubano, controrivoluzionario, sa che dubito nella maniera più assoluta dell’esistenza “reale” di Torreguitart Ruiz. Credo sia non uno pseudonimo di un cubano: credo sia un eteronimo di Lupi, e sono convinto che in ogni caso le informazioni biografiche e le relative interpretazioni della stampa quotidiana, periodica e web italiana siano false e mendaci. Perché fondate su un’identità autoriale inesistente. Certo, ciò è avvenuto per finalità giuste e condivisibili, come si sarà inteso: ma scendendo di tono, passando dalle ragioni politiche a quelle letterarie, mio compito è assicurare adeguata contro-informazione.
Sulla base di quanto ho affermato nelle precedenti trattazioni delle opere di “Torreguitart Ruiz”, devo considerare i suoi libri come apocrifi lupiani, esattamente come quello pubblicato a firma Ciberio. A testimonianza di una creatività magmatica e di un eclettismo incredibile, di un’intelligenza letteraria che la Nazione stenta ancora a riconoscere come dovrebbe. A testimonianza d’una coerenza – la denuncia umanissima delle condizioni dei cittadini di Cuba – che attraversa un’ampia parte della produzione di Lupi. E di una riconoscibilità stilistica, tematica e strutturale, con chiarissimo gioco di rimandi interni e autocitazioni, che chi ha letto ogni libro dell’autore non fatica seriamente a evidenziare.
In questo caso: come da prassi lupiana, versi in apertura: anche questa volta sono di Willy Chirino (“La Jinetera”; è omaggiato anche a p. 52). Juliana, la protagonista-narratrice, è una creola che si sente vecchia a venticinque anni. Ha un figlio, vive di avventure. Vendendosi. Sognava di restare ballerina (in un corpo di ballo ha conosciuto Maicol, il protagonista di “Machi di carta”), sogna da sempre di viaggiare. A Cuba il regime non vuole, chi s’allontana di solito non torna. E i permessi sono costosi, e i tempi burocratici grotteschi.
Juliana parla ad Alejandro, che ha prima 23 poi 22 anni (pp. 14, 41) e si descrive come studente universitario, scrittore (“romanzi, novelle, poesie, testi di canzoni”, cfr. p. 14, musicista e guida turistica. Riceve copia delle sue pubblicazioni italiane e sa farle circolare; altrimenti consegna la copia scritta con la biro (p. 15). Il suo giornale, intanto, (non accademico, a dispetto delle notizie biografiche) ha chiuso perché mancano carta e inchiostro.
Si lamenta che Gutierrez non sia reperibile per tutti: “Peccato che all’Avana non troverete le sue cose migliori (…) (i suoi libri) li puoi rimediare solo di contrabbando. A Cuba sono vietati (…) parlano della vita vera, (…) la verità dà fastidio” (p. 89) e intanto commenta in corsa questo “romanzo sociale” che sta scrivendo, mentre Juliana racconta. Il marito di sua cugina è uno scrittore italiano, ci penserà lui a farlo pubblicare. Intanto, se TR esistesse, di sé avrebbe scritto: “È un ragazzo in gamba, Alejandro. (…) Quello che dice lo pensiamo tutti, ma a bassa voce” (p. 15) e di “Machi di carta” confida d’aver inventato il lieto fine. Niente Italia. Coi diritti d’autore – duemila dollari – ci mantiene la famiglia per qualche anno (p. 57).
Questa Cuba ricorda la Praga di Kundera: “Conosco insegnanti che hanno lasciato la scuola per andare a fare gli inservienti nei villaggi vacanze. Medici si improvvisano tassisti. Giornalisti e scrittori si impiegano con gli operatori turistici” (p. 18). Il passaggio da Batista a Fidel non ha cambiato le cose: “Mi fa ridere Fidel quando dice che Cuba ai tempi di Batista era il bordello dei Caraibi. Adesso è diventata il bordello del mondo. Non è che ci sia stato quel gran miglioramento. Abbiamo soltanto allargato i confini…” (p. 19).
Juliana ha perso il padre da piccola. La famiglia è vissuta tra stenti e privazioni, sognando case in muratura dopo il trasloco in campagna. Lei ha sbagliato matrimonio (a quindici anni) e a diciassette anni s’è trovata mamma. Il padre (cfr. coincidenza con “La marina del passato” e “La vecchia ceiba”) s’era trovato sulla Sierra con Fidel, ma non era mai stato comunista. Aveva ucciso un uomo sotto Batista (ulteriore coincidenza con “La marina del mio passato”). Juliana subisce le violenze dello zio, resiste alle avance di diverse persone, balla e sogna il principe azzurro. Sua cugina si sente una puttana, e sin da piccola comincia a darsi da fare. Sarà lei a cominciare a portarla in giro. In sequenza, registriamo tutta una serie di esperienze sessuali, con più o meno violenze dopo o durante il coito: dai giochini a quattro agli episodi saffici, dai festini a base di droga e sesso, con relative torture, al sesso coi cani, dalla prostituzione in passeggiata alle orge; sesso con italiani, con poliziotti di Fidel che prima fanno la morale (p. 85) poi se ne approfittano, e via dicendo. Non manca nessuna variante (solo la necrofilia, direi) erotica, c’è tutto e con dovizia di particolari. Anche una ruffianata a favore di Maicol. Quanto alla violenza, emblematico questo passo: “A Cuba certi fatti non accadono. L’Avana è la capitale dell’America Latina con meno episodi di violenza contro le persone. Anche perché molti non li denuncia nessuno” (p. 67).
Chiudiamo con un omaggio doppio, a Lupi e a Martí, uno dei suoi pallini: “Lo addormentavo con le fiabe dell’Età d’oro di Martí quando era piccolino” – racconta Juliana. “Tenevo il libro sulla mensola e ogni sera ne leggevo una, ma lui voleva sempre quella” (p. 61). “L’età d’oro” è anche il titolo dell’unico libro di narrativa per ragazzi firmato da Gordiano. Da leggere.
Scriveva Lupi (Agosto 2005) per Lankelot.com presentando il suo libro: “Posso fare solo una presentazione dell’opera di Alejandro Torreguitart e non una recensione perché troppo coinvolto, dal momento che sono il traduttore e il suo editore. Secondo me Alejandro, con uno stile scarno ed essenziale che ricorda un po’ il Pedro Juan Gutierrez di 'Trilogia sporca dell’Avana' e de 'Il re dell’Avana', riesce a dare un’immagine della Cuba di oggi. La vita di una prostituta per turisti, una giovane jinetera, è il modo per lanciare accuse a una società dove la libertà di espressione e di movimento sono negate. Torreguitart utilizza la narrativa erotica per fare un discorso sociale, entra in prima persona nella narrazione come l’autore che fa visita alla prostituta, sua amica d’infanzia, e redige una sorta di romanzo verità. La jinetera si racconta ed entra nei particolari della sua vita quotidiana fatta di sesso a pagamento e avventure rocambolesche con la polizia che la violenta e il regime alle calcagna. Un libro che si legge rapidamente per come è scritto e per il taglio narrativo coinvolgente, in prima persona”.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Alejandro Torreguitart Ruiz (L’Avana, Cuba, 1979), scrittore cubano. Probabile pseudonimo di Gordiano Lupi.
Alejandro Torreguitart Ruiz, “Vita da jinetera”, Il Foglio Letterario, Piombino 2005. Traduzione (?) di Gordiano Lupi.
Gianfranco Franchi, Giugno 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.