Viaggio in Sardegna

Viaggio in Sardegna Book Cover Viaggio in Sardegna
Valéry
Ilisso
2003
9788887825565

Ho cercato di descrivere le premure, la grazia dell'ospitalità corsa e certo non ho nessuna voglia di smentirmi; ma c'è in questa ospitalità qualcosa della vanità francese. L'ospitalità sarda ha tutto un altro carattere: è, se si può dirlo, più primitiva, più antica, più semplice, più universale” (Valery, Cap. VII, “Ospitalità sarda”, p. 43)

Antoine-Claude Pasquin detto Valery (1789-1847), da non confondere col letterato corso-ligure Paul Valéry (Sète, 1871 – Parigi, 1945), bibliotecario e scrittore francese, è autore di questo “Viaggio in Sardegna” (1837), originariamente parte di un “Viaggio in Corsica, nell'Isola d'Elba e in Sardegna”, in due volumi. Il libro è suddiviso in brevi capitoli, estremamente fluidi e leggibili, composti e assemblati man mano che lo scrittore scendeva e risaliva per l'isola; l'edizione è completa di una cartina dei suoi spostamenti.

Scopo del gioco? “Riabilitare” le misconosciute isole in un'epoca in cui “la barba folta, gli abiti scuri, il viso abbronzato, i capelli al vento” dei Sardi erano meno noti di certe tribù americane (il paragone è dell'autore). In questo secondo volume, l'unico tradotto in italiano, Valery comincia il suo viaggio partendo da Bonifacio alla volta della Maddalena.

Entra nell'isola dopo aver superato una fastidiosa quarantena; tuttavia, a dispetto del lento esordio, più avanti festeggerà la sparizione della burocrazia: nell'isola, a differenza che in Italia, si viaggia senza dover esibire il passaporto a tutto spiano. C'è ben altra libertà. Valery deplora il declino del numero degli abitanti dell'isola (all'epoca, circa mezzo milione), dovuto a secoli di inette amministrazioni aragonesi, spagnole o piemontesi (p. 40), e dalle conseguenze terribili dell'asfissiante regime del feudalesimo; spesso, si rammarica per le disattenzioni dei letterati (incluse le leggerezze di Montesquieu) nel corso dei secoli; nessun continentale sembra aver saputo cantare la bellezza e la grandezza dell'Isola. Sulle prime battute, Valery è ammirato dalle bellezza naturali della Sardegna, e dall'antica storia delle sue cittadine. Tende a rimarcare le origini Romane (la Sardegna fu dichiarata provincia fin dal 200 a.C. circa; sembra sia stata patria del poeta Ennio) più ancora di quelle autoctone, misteriose; accenna soltanto alla civiltà nuragica, soltanto per sancire un primato mediterraneo, però, e per accennare a un'interpretazione scolastica di queste antiche costruzioni.

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Sembra che il costo della vita, in Sardegna, fosse molto basso: “Ognuno fa il pane in casa, e con il suo grano; il pesce si vende alla libbra come in Inghilterra, ma non costa più di due o tre soldi; la carne è a un soldo” (p. 45). Valery segnala la presenza di un buon numero di scuole, per l'epoca, a fronte di insegnanti spesso inadeguati; nelle Università (Sassari in primis) spiega che tra i guasti c'è la difficoltà di reperire libri dal continente, e in numero adeguato di copie. Come se non bastasse, molte lezioni non hanno un numero sufficiente di allievi.

Città più ricca, per i commerci, è ancora Alghero. La lingua parlata dalla buona società è l'italiano, a dispetto della fortuna dei dialetti, tutti in competizione tra loro per rivendicare d'essere il Sardo originario. Gli spostamenti sono ancora difficoltosi: si va da Porto Torres a Cagliari in diligenza, due volte la settimana, in diligenza; ci si impiegano circa trentasei ore. Mancano gli alberghi; viaggiare all'interno dell'isola è difficile. Il miglior pane si mangia a Quartu; in generale, il pane nell'isola è molto buono, scrive Valery. Mancano, quasi del tutto, le patate. Migliori dolci dell'isola sono quelli di Ozieri, tutta un'altra pasta rispetto a quelli di Cagliari (p. 224).

Dal punto di vista antropologico, Valery spende parole estremamente positive: scrive che i Sardi sono un popolo allegro e dolce, estraneo agli eccessi, innamorato del canto e del ballo (naturalmente, “su ballu tunnu” in primis); i loro contadini sono l'espressione di un incredibile contrasto tra l'aspetto feroce, truce e aggressivo, e la loro innata dolcezza e generosità; i cavalcanti (mulattieri del paese) sono estrosi, allegri e comunicativi. Valery esalta la magnifica ospitalità dei Sardi, con sincera partecipazione. Giudica la gente della Gallura la più famosa dell'isola, esempio di “salute, freschezza, forza, bellezza, coraggio e intelligenza” (p. 52) e di intraprendenza (rovesciò il giogo feudale per prima); il loro dialetto è tenero, appassionato e satirico (p. 55). C'è qualche cittadina “superstiziosa e feroce”, come Bonorva, ma la tendenza sembra essere quella dei piccoli centri “laboriosi, pacifici e ospitali”. Loro sono in maggioranza assoluta.

Nella capanna del pastore (ovile) e alla sua tavola vi gridano 'a parte, signor, a parte' ('divida con noi'), e subito una pecora viene presa, uccisa, scuoiata e arrostita per un pasto alla maniera degli eroi di Omero. Spesso mi è stato ripetuto in questi focolari angusti il proverbio dell'ospitalità sarda: se la casa è piccola, il cuor è grande” (p. 44)

Annotazioni negative non mancano, come per la sporcizia di Iglesias, ma sono sempre attenuate da altri aspetti; quando l'ospitalità, quando la bellezza dei dintorni, quando la qualità dell'alimentazione. Quando Valery descrive la condizione delle donne nel paese di Bitti, parla apertamente di “pratiche immorali” (pp. 218-219); non è un agiografo, questo sia chiaro.

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Uno dei momenti più toccanti è quando, parlando di Aritzo, non distante da Oristano, scrive: “Questo cuore della Sardegna non è mai stato conquistato: è l'Alvernia dell'Isola. Mai, né le Aquile Romane, né i destrieri numidi hanno valicato queste montagne, antico rifugio della libertà sarda” (p. 204). In questo frangente mi sembra abbia sfiorato uno dei principali motivi di orgoglio dei nostri fratelli isolani; altrove, è stato puntuale nella descrizione di bellezze naturali, artistiche e architettoniche, divertente nella raccolta di aneddoti, molto sensibile nei confronti della gentilezza di un popolo bello che ha raccolto tante e ingiuste critiche nei secoli. Valery – a dispetto della sua scarsa popolarità in Francia, e della relativa sparizione della sua opera – a quasi due secoli di distanza dalla pubblicazione di questo libro, rimane uno dei più appassionanti e sinceri cantori dei Sardi, prima ancora che della Sardegna.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Antoine-Claude Pasquin detto Valery (Parigi, 1789 – *, 1847), bibliotecario e narratore di viaggio francese.

Valery, “Viaggio in Sardegna”, Ilisso, Nuoro 1996. Prefazione di Maria Grazia Longhi. Traduzione di Maria Grazia Longhi. Include una nota biografica.

Prima edizione: “Voyages en Corse, a l'ile d'Elbe, et en Sardaigne” 1837.

Gianfranco Franchi, agosto 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

A Luca e Vale. In memoria del nostro piccolo grand tour. In giornata