Uno specchio in corridoio. Satta, Atzeni e la sardità

«Uno specchio in corridoio. Satta, Atzeni e la sardità»

di Luigi Duns

C’è una fortunata metafora che racconta gli italiani e la Storia come se fossero luoghi di una casa. La Lombardia è il salotto con i suoi ospiti – attesi o indesiderati. Il Piemonte è la camera matrimoniale, la Sicilia è la cucina della casa, la Campania è la libreria, e così via, o come ognuno preferisce fare le sue attribuzioni. Ma se la Storia di una casa si fa in camera da letto e in cucina, la Sardegna è il corridoio. Lì si transita per andare nelle altre stanze, succedono cose piccole – come pettinarsi allo specchio prima di uscire – senza che queste vengano registrate. Nonostante questa dimensione di modestia e transitorietà la letteratura sarda del ‘900 (se si può ancora giocare con l’etichetta di sardità) ha prodotto due romanzi di immenso valore, avvinti tra loro da un continuo gioco di rifrazione e riflessi. Si tratta de Il giorno del giudizio di Salvatore Satta e di Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni. Il primo romanzo chiude la porta sul corridoio di casa: dopo Satta i topos più rappresentativi di quella narrativa geograficamente avvinta a Nuoro – con i suoi tempi immemorabili, la modernità rigettata, la solitudine, la terra come locus terribilis – sono lo standard da superare, o dentro il racconto storicizzato (di un certo bravissimo Marcello Fois), o nel genere: che sia poliziesco o folklorico, la porta resta comunque chiusa e il giudizio già emesso. Ma poi sul finire del secolo è arrivato Sergio Atzeni. La sua grandezza ha ribaltato questo racconto esotico integrando la Sardegna al resto d’Italia: un Paese fatto ormai di città elettrificate e cittadini alcolizzati più che di pastori e ubriaconi di un passato immobile. Il nuovo modo letterario di Atzeni risiede nelle periferie – col suo meticciato linguistico e culturale – e quindi, anche e soprattutto in Sardegna. Con Passavamo sulla terra leggeri il corridoio è aperto ancora una volta. I romanzi di Satta e Atzeni sono speculari anche per le tematiche affrontate: se il primo è appunto un giudizio etico sull’inconveniente dell’essere stati vivi, e quindi un’ovvia conclusione di vicenda, il romanzo di Atzeni è una nuova origine, un vero e proprio romanzo di fondazione che racconta in forma epica la storia reinventata dei s’ard “danzatori delle stelle”.

Entrambi i romanzi poi, comunicano al lettore la posizione del narratore, sebbene in Atzeni si tratti di una persona plurale, un epico “noi”. Nei due libri c’è una sorta di cronista che riporta la storia che gli viene raccontata dai personaggi. Insomma è come se il romanziere ascoltasse prendendo appunti. Ovviamente è una bugia a cui piace credere: anche se Satta non ha una dimensione dialettale (pur presente in Atzeni), il suo romanzo nuorese è un grande coro che racconta l’antistoria dei sardi, perché per Satta – così come per Atzeni – scrivere è la dimensione della conoscenza e dell’ascolto. Ne Il giorno del giudizio la vicenda si snoda in episodi in apparenza separati, ma con un battere di interruzioni e intromissioni dell’io narrante che rimuovono la frammentazione della sequenza spazio temporale. Questo flusso di coscienza è stato spesso e giustamente accostato alla modalità drammatica dell’Antologia di Spoon River. Eppure, se in Satta c’è la familiarità con l’uomo, c’è anche la sovrana indifferenza della Legge – che per Atzeni è un drammatico risvolto della Storia. Senza indifferenza è impossibile arrivare a giudizio con vera e profonda comprensione. Difatti se il narratore de Il giorno del giudizio ammette che “il succo del vangelo sta nell’aver fatto di ogni uomo un soggetto di diritti: nell’altro mondo, però, non in questo”, quello di Passavamo sulla terra leggeri risponde quanto siano piccoli tutti i soggetti del diritto: “abituati a pensare, ragionare, contare, mai concordi fra noi. Così siamo tuttora, fatti salvi gli imbecilli che non mancano e nessuna legge potrà mai limitare”.

L’ultima analogia che salta all’occhio, quando si confrontano queste opere, è che si tratta di libri orfani d’autore, entrambi pubblicati postumi. Ma qui entriamo nella specularità della leggenda. Infatti, come riporta Neria De Giovanni, se dalla prima pagina del dattiloscritto originale de Il giorno del giudizio conosciamo la notazione lapidaria di luogo e data d’inizio – Fregene 25 luglio 1970 – non conosciamo però la data di conclusione, se non quella pubblica: Il giorno del giudizio verrà pubblicato nel 1977 dai familiari con la Cedam (la casa editrice dei suoi precedenti lavori giuridici) e poi portato alla popolarità dalla successiva edizione Adelphi. Viceversa, di Passavamo sulla terra leggeri possiamo intuire l’inizio da indizi contingenti, ma sappiamo con certezza soltanto quando è stato terminato, nell’agosto del 1995: pochi giorni prima di morire nelle acque dell’isola di San Pietro, Atzeni aveva spedito a Segrate il suo ultimo dattiloscritto. Questa però è un’altra storia. Da raccontare preferibilmente fuori di casa.

EDIZIONI ESAMINATE

Salvatore Satta, “Il giorno del giudizio”, Adelphi, Milano 1979. Poi “Il giorno del giudizio”, Il Maestrale, Nuoro, 2005, a cura di Aldo Maria Morace. Si ricorda che per questa successiva e ultima edizione il testo è stato rivisto dal curatore, riandando alle agende e ai dattiloscritti, proponendo una versione vagliata e criticamente ragionata sulle carte d’autore.

Sergio Atzeni, “Passavamo sulla terra leggeri”, Mondadori, Milano 1996. Ilisso, Nuoro 2003.

Luigi Duns, 7 aprile 2021

Per approfondire:

G.Franchi su Atzeni [www.gianfrancofranchi.com/passavamo-sulla-terra-leggeri/]

Luigi Loi, “Dentro Gargantua”, per “Minima et Moralia” [www.minimaetmoralia.it/wp/letteratura/dentro-gargantua/]

Silvano Calzini su Satta, per “Pangea” [www.pangea.news/salvatore-satta-calzini/]