Settimo Sigillo
1987
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Quarantenne, nei primi anni Trenta, Drieu La Rochelle pubblicava una raccolta di racconti: “Journal d’un homme trompé”. Oltre mezzo secolo più tardi, i lettori italiani possono leggere almeno l’eponimo racconto lungo: nessuna traccia d’un’edizione contenente tutte le dodici storie ospitate nell’opera originale. Teniamoci stretto, intanto, questo libretto della Settimo Sigillo: verrà un giorno un editore che colmerà queste lacune, e provvederà a stampare l’opera omnia del povero Drieu. Ricordi soltanto, il neofita, che scrivo nel gennaio del 2005: arrancando tra cataloghi d’editori minori, bancarelle e fondi di magazzino, sono riuscito, negli ultimi undici anni, a rilevare soltanto sette libri del semidio padre del “Racconto segreto”. È una profonda ingiustizia, e ha una matrice sola: ovviamente, politica. Rattristato e piuttosto incazzato – perché è un vizio italiota, questo dell’ostracismo e della damnatio memoriae, e decisamente vigliacco – prendo atto una volta ancora dell’immaturità e della stupidità del popolo di questa nazione. Negarsi intelligenza, arte e letteratura perché l’autore era “nemico” è esecrabile, deprecabile e castrante. Problema da risolvere: rieducare alla tolleranza chi s’è spacciato per tollerante, soffocando appena possibile chi la pensava diversamente. Prendetene coscienza, tutti.
Diario d’un’estate d’un letterato di quarant’anni: nel pieno d’una crisi esistenziale figlia d’una serie di riflessioni sul senso, sulla natura e sul significato dell’amore. È un autodafé degli amori, della fedeltà all’idea e dell’inevitabile infedeltà della realtà al sogno: composto per frammenti, schizzi, aforismi e improvvise e torrenziali digressioni, solcato da una malevola occupatio volta a giustificare la narrazione “ombelicale” e autoreferenziale, concluso con bruschezza. Mi sembra possa essere salutato come una sorta di ritorno allo spirito e al clima de “L’uomo pieno di donne”: a dieci anni di distanza, liberatosi dalla maschera dell’alter ego Gilles, Drieu s’interroga su quel che è stato e quel che ha vissuto; chi ha avuto, e chi davvero ha amato.
Parte nel mese di Luglio: stordito dal torpore, nelle prime giornate sente di non avere né passato, né avvenire. Solo, vaga senza meta: nessuno dei suoi amici sa dove si trovi. È quasi nudo: si purifica sudando, sotto il sole, come un vagabondo. Beve solo acqua, non si cura di nutrirsi. È un fantasma che scivola tra la folla. Se ne frega della storia, delle chiese, dei palazzi: questo non è un viaggio di formazione, è una fuga in se stesso. Non ha importanza dove vada, e in fondo non c’è differenza tra le donne dei bordelli spagnoli e quelle dei bordelli francesi: è dentro che l’artista si sente rotto, e scrive lacerandosi e sbriciolando, volta per volta, ogni argine e ogni difesa. Del resto, il bordello è “l’unico posto dove l’umanità si zittisce e offre un commercio gentile”. Se ne frega dei passanti: scrive che ogni individuo è complice dei suoi sogni: muto, rispetta il disordine del suo spirito.
Drieu ha saputo d’essere stato tradito. Lui, in venti anni, aveva tradito una volta sola: è un pianta-donne, un genio della fuga e della negazione di se stesso; desidera, almeno una volta, sposare ogni donna che possiede, e tuttavia s’accorge dell’abisso che scinde l’idea d’amore dalla realtà; sa avere, sa osservare e adorare – sa amare una donna come fosse lui stesso una donna, sa rifiutarsi e sa quando chiudere. E sparire. Conosce il fascino mistico dell’incompiutezza: la bellezza del pensiero di quel che poteva o avrebbe potuto essere, e tuttavia forse non sarà mai: la capacità di dominare senza solo possedere, per sprofondare nell’inconscio e non più abbandonarlo.
Sa che “quel che è indispensabile non è sufficiente. E questo diventa così insufficiente da sembrare che cessi di essere indispensabile” (10 agosto). È stato tradito per la prima volta: o forse per la prima volta ne è stato informato. “L’uomo pieno di donne” si domanda se sia mancato in tenerezza, o in virilità, o se abbia scelto, per avventatezza, una compagna di vita dissoluta e imprevedibile: è tormentato, e il suo sembra divenire il cammino non più d’un vagabondo, ma d’un pellegrino. Sprofondare nell’abisso dello spirito per ritrovare Dio: ovunque. Come quando “Passo le mie notti in questo bordello che immagino essere dedicato alla Vergine. Ogni luogo, ogni cosa deve essere dedicata a un dio o a una dea. Ora, noi, in Occidente, abbiamo una sola dea che deve supplire a tutte le funzioni della femminilità divina. Dedicato alla Vergine perché, in un bordello, uomini e donne coltivano la verginità del cuore. Culto atroce e facile. (…) Posso fare, ora, soltanto l’amore con una donna che amo. Ho frequentato le puttane, ma mi sembra che sia finito. Resto stupito nel constatare di essere stato per anni un dissoluto che bramava le statue dei giardini pubblici. Le mie sensazioni erano così attenuate al contatto di quel marmo o quello zinco. Probabilmente avevo del miglio da gettare ai passeri; ora non ne ho più” (15 agosto).
Nelle donne ha cercato delle immagini: nel bordello, a volte, si spacciava per pittore e disegnava e dipingeva. Per rubare simulacri (riflessi, scintille, luci): sedotto dall’idea, accecato dal sole dell’eterno femminino, l’esteta è un dannato e non s’arrende al piacere: pretende bellezza e dedizione e appartenenza e agogna l’esperienza mistica, sì, l’esperienza mistica dell’estasi. Solo amare, solo conoscere conta. Gli innamorati sono dei mistici, e chi non capisce quel che scrivo detesta l’amore, o non lo conosce affatto: è fede in una creatura che è sogno e (i)dea e non può non essere (tua): chi ti tradisce t’uccide, e Drieu questo non ha saputo dirlo; ha vagato attorno a questa consapevolezza, per non ammettere che quel dolore era il dolore d’un genio dell’esclusivismo e di quella totalizzante unicità che ha vita e senso solo quando io e io sono – per un attimo, nella febbre – noi.
Ho cercato una lettera di lei e l’ho bruciata, stanotte: l’estate finisce quando t’accorgi che nella vita succede meno volte di quante sono le dita d’una mano. E vorresti spegnere il desiderio per non ammettere che. Niente. Allora dovresti rinunciare ad avere: possedere è promettere d’incatenarsi, e le nostre catene sono carta.
Tra post-decadentismo e neo-romanticismo, un romanzo breve d’un grande scrittore europeo: non un capolavoro, né un’opera di genio; un diario sentimentale, spirituale, letterario. L’epilogo è un segreto.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Pierre-Eugène Drieu La Rochelle (Parigi, 3 gennaio 1893 – Parigi, 16 marzo 1945), poeta, romanziere e saggista francese. Esordì nel 1917 con “Interrogation”. Partecipò ventenne alla prima guerra mondiale, fu collaborazionista nella seconda. Direttore, in quegli anni, della Nouvelle Revue française, morì suicida, rifiutando (o evitando) d’essere processato per la sua adesione al nazismo.
Pierre Drieu La Rochelle, “Un uomo ingannato”, Edizioni Il Settimo Sigillo, Roma 1987. Traduzione e nota introduttiva di Tiberio Graziani.
Prima edizione: “Journal d’un homme trompé”, Gallimard, Paris 1934.
Conteneva le seguenti novelle: “Journal d’un homme trompé”, “Un bon ménage”, “La voix”, “Rien n’y fait”, “La femme au chien”, “Divorcées”, “Le mannequin”, “Le bon moment”, “Le pauvre truc”, “Un art sincère”, “Les caprices de la jalousie”, “Défense de sortir”.
Gianfranco Franchi, gennaio 2005.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Diario d’un’estate d’un letterato di quarant’anni: nel pieno d’una crisi esistenziale figlia d’una serie di riflessioni sul senso, sulla natura e sul significato dell’amore…