Un modo per uscirne

Un modo per uscirne Book Cover Un modo per uscirne
Sergio Rotino
Abramo Edizioni
2009
9788883241277

Prendi la rabbia e la passione rock di “Despero” di Morozzi, ibridale con un pizzico di sacrosanta sensibilità sociale e con una storia d'amore adolescenziale, ingiusta, bugiarda e sfortunata; shakera il tutto con l'incontro di un piccolo Jim Morrison con un produttore diverso da Paul Rothchild, proprio come succedeva nel film di Stone, e t'avvicini a un romanzo d'esordio che sembrerebbe giovanile e prevedibile. È qui che interviene il fattore Rotino. Nelle prime battute ci mette un carico da undici alieno alla narrativa bolognese pop e giovanilista: non un semplice suicidio (“Jack Frusciante”: l'amico di Alex), ma il suicidio del padre del narratore. È una morte descritta con una sensibilità e un dolore trattenuto che sanno prendere, scuoterti e fracassarti per bene, proprio là dove sei più fragile. Forse la mia difficoltà di lettore è stata osservare la vita normale d'un ragazzo di diciannove anni, che cresce e sogna e ama e combatte, filtrata da quell'incipit incontenibile, ingiusto, atroce; m'è sembrata la normalità dell'anomalia. La normalità dell'anomalia è una delle caratteristiche principe della vita di un letterato. Una delle cose più difficili da sopportare in assoluto. E niente, c'è un pezzo del libro che ti fa sprofondare nel buio, e tutto il resto che ti mostra quanta luce c'è nella semplicità e nelle cose della vita, avanti e indietro, errori, tradimenti, incomprensioni, successi. Stop.

Ha 19 anni, il padre prende e se ne va. Se ne va nel momento in cui si sente più stanco e stufo di tutto, ferito com'è dal licenziamento arrivato quando meno se l'aspettava. Il ragazzo sta ascoltando Jeff Buckley. È il 1994. Rotino racconta tutto quel che chi è passato per la morte d'un famigliare stretto ben conosce: il senso di stordimento figlio del dolore cieco, la stanchezza di dover ripetere a tutti le stesse cose, parola per parola, e intanto qualcosa che fatica a venir fuori: “la sentivo pesare dentro il petto, arrancare su, verso la gola, ma proprio non c'era modo di farla uscire” (p. 13). Vuoi piangere e non riesci, quando riesci è come se stessi vomitando. Non ti regoli, non hai autocontrollo, non hai freni.

Il narratore è un ragazzo sregolato ma sensibilissimo. A diciannove anni si veste con gli anfibi, spesso in nero, perché è uno che ha saputo ascoltare Cure e Joy Division, prima d'accorgersi che erano troppo legati a suo fratello; e ha saputo partire da loro per andare oltreoceano a cercare idoli più solari e meno decadenti. Suona con una band di amici dai tempi del Liceo – come in tutte le favole rock –, loro si chiamano Builders. E tra di loro c'è la sua fidanzata, Elena. Lei è una ragazza socievole e gentile, lui introverso e misantropo. Il loro rapporto è un po' troppo libero per i suoi gusti, c'è qualcosa che non quadra. Lei non vuole indipendenza, vuole libertà. È un po' diverso.

Suo padre era un lavoratore onesto, ferito dalla recessione economica, dalla resa dei sindacati. Lascia un gran vuoto. Ne deriva un enorme senso di responsabilità. Il narratore pensa di andare a lavorare in un supermercato, pensa di rallentare un po' con la band. Elena invece pensa che sia una cosa stupida, perché è pieno di talento. È lui che scrive musica e testi. È lui che ha quel qualcosa che non hanno tutti. Ma lui al colloquio ci va. E fa bene. Perché scopre che l'esaminatore è un vecchio amico di suo padre, ci giocava a pallone assieme. Dice che suo padre era un gran mediano. Non sa che è morto un anno prima. Assunto. 1996. Il lavoro va, a dispetto della levataccia cronica alle quattro di mattina. Uno dei suoi colleghi, Oliver, è un sassofonista. Sembra voglia fare amicizia. La band continua a suonare dal vivo, arrivano tiepidi segnali di apprezzamento da diverse parti. Lui intanto vive con Elena. Ma io mi fermo qua, il libro è uscito da pochi mesi e non sta bene. Voi andrete facilmente fino in fondo, va da sé.

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Enormi e ricche le reminiscenze rock, omaggi diretti o indiretti: qualche nome, solo per orientarvi. Si va dai Soundgarden ai Pearl Jam, dai Therapy? ai Sonic Youth, da Nick Cave a Nine Inch Nails, dai Tool ai Cranberries di “Disappointment”; e questo solo per l'anno 1994. Nel 1995, cominciano a circolare repechage di lusso tipo Dead Kennedys, Damned, Crass. Si scopre che i Metallica sono un gran punto di riferimento, assieme a “Private Hell” dei Jam. Riascoltiamo “Pet Cemetery” dei Ramones, ritroviamo David Bowie e Iggy Pop. Infine, nel 1998, ci accompagnano Paul Weller, i Television, i Blonde Redhead, gli Who, i Blur. Chiaramente, “Song 2”. Oh-oh. Quanta rabbia che c'era in quel pezzo. Compressa, e infine esplosa. Contro il muro delle cose che non vanno, e contro il muro di quelle che non vanno come dovevano andare. È terribile la poesia dell'adolescenza, è una cicatrice profonda.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Sergio Rotino (Bologna?, 197*), scrittore e giornalista italiano. Laureato al DAMS con tesi in Storia del Cinema sulla “Figura del femminile nel cinema italiano del dopoguerra 1948-1957”, vive e lavora a Bologna. Collabora con “Liberazione”, “Stilos”, “L'informazione”. È uno dei fondatori del quadrimestrale “Versodove”, e del semestrale “Carmilla”; ha collaborato con “L'Atelier” e “Fernandel”. È scout e redattore.

Sergio Rotino, “Un modo per uscirne”, Abramo, Catanzaro 2009. Con una nota di Marcello Fois. Collana “Le Onde”, 7. Diretta da Mario Desiati e Mauro F. Minervino.

Gianfranco Franchi, marzo 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.