Un giorno a Bombay

Un giorno a Bombay Book Cover Un giorno a Bombay
Ennio Flaiano
Rizzoli
1980

Che cosa può succedere quando vengono assemblati libri nemmeno immaginati dal loro autore, post mortem? Può capitare che emergano difetti strutturali dell'artista, o sue debolezze mai nascoste, con una certa chiarezza; tanto che infine il lettore si domanda se certe edizioni servano più ad alleggerire la fama di un artista che a esaltarla. Flaiano era davvero un pessimo cronista di viaggio, incapace di raccontare culture diverse dalla sua, estraneo all'approfondimento e alla ricerca: questo libro dimostra con involontaria onestà come non scrivere letteratura di viaggio, e come non commissionarla a un artista in grado di cantare una e una sola città (Roma), preferendo di quella città una strada su tutte (via Veneto). “Un giorno a Bombay” è probabilmente il peggior libro di viaggio in tutta la Letteratura Italiana del Novecento. Sciatto, superficiale, raffazzonato, fragilissimo: appunti e poco più. Esecrabile.

“Un giorno a Bombay (e altre note di viaggio)” apparso postumo a cura di Rossana Dedola per Rizzoli, nel 1980, è composto da quattro prose già apparse in rivista: l'eponima “Un giorno a Bombay”, “Oceano Canada”, “Tel Aviv” e “New York”. I pezzi apparvero, nell'ordine, sul “Mondo” nel 1961, in Tv nella miniserie “Oceano Canada”, sull “Europeo” nel 1967, su “American Vogue” nel 1964. Protagonista è il Flaiano viaggiatore. Com'è?

È uno che sbadiglia già in aereo (incipit), dichiara d'essere un pessimo turista, soffre di noia e medita: “Forse la noia dell'uomo moderno è soltanto la sua incapacità di continuare a meravigliarsi, una sua opaca abitudine alle cose straordinarie: gli sembra che tutto gli sia dovuto, o che non abbia valore” (p. 8). Ha le idee chiare; sa di riuscire a emozionarsi (piacerebbe al Simon della “Terra vista dalla luna” di Morici) soltanto nella sua camera, “la cuccia”, là dove i problemi tornano a essere “insolvibili”. In India, non sente né paura né pietà della miseria; riconosce una sorta di logica e di ordine in quel popolo sofferente. Beato lui. Tra gli indiani, sente famigliarità: la riconosce nei volti dai sorrisi “infantili e addormentati” dei cittadini, nella cortesia, nel disordine, nel caldo. Trova che Bombay sia come assediata dalla natura, con pazienza: la città sembra “un grande palcoscenico dopo la scena conclusiva del dramma” (p. 14).

In Canada, ha le vertigini per l'immensità di quella terra, grande 35 volte l'Italia; parla rapidamente delle varie etnie presenti, della solitudine figlia dei grandi spazi, dell'etimo indiano del nome della nazione (“Tenda”). Accenna agli hippies di Vancouver, alla (al solito) misteriosa immigrazione dei cinesi, alla gaiezza degli esquimesi, al suo complesso di Gulliver di fronte ai grattacieli di Toronto; al famoso rodeo Stampede, alle smanie indipendentiste del Quebec. Non riesce a intervistare nemmeno uno dei centinaia di migliaia di immigrati italiani; l'unica è una cartomante, sinceramente poco credibile. Sembra un'intervista finta. Probabilmente è così.

Tel Aviv è descritta per appunti nervosi, con semplicità forse eccessiva. È finita da poco la guerra (come no), e Flaiano sembra affascinato fondamentalmente da un aspetto: la centralità del teatro nella cultura israeliana. Se ne serve per spiegare le differenze tra arabi e israeliani: “L'arabo non ha teatro, oppure ogni arabo ha il suo proprio teatro personale, l'immaginazione, con la quale evita spesso la realtà. La reverie è il rifugio teatrale dell'arabo. Ogni arabo vive il suo teatro, l'ebreo preferisce rappresentarlo” (p. 97). New York, infine, è descritta con un pizzico di poesia a buon mercato; in poche battute, Flaiano cerca di capirne il segreto: lo riconosce nello spirito delle persone che la abitano. Sembra un'osservazione abbastanza stupida, nella sua semplicità, e probabilmente è proprio così. Tutto qua.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Ennio Flaiano (Pescara, 1910 – Roma, 1972), giornalista, sceneggiatore, critico teatrale e cinematografico, romanziere italiano.

Ennio Flaiano, “Un giorno a Bombay”, Rizzoli, Milano 1980. A cura di Rossana Dedola. Bandella di Enzo Siciliano.

Approfondimento in rete: Wiki

Gianfranco Franchi, agosto 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.