Mursia
2010
9788842542308
A qualche anno di distanza dal suo brillante esordio, “Il diavolo custode” [Meridiano Zero, 2007], Luigi Balocchi torna a pubblicare una buona prova di narrativa, caratterizzata da una sempre credibile personalità autoriale, da una buona dedizione al territorio (e al suo amato dialetto lombardo) e da una profonda umanità. Stilisticamente, come già in passato, spesso si ha la sensazione che stia cantando, e non scrivendo: il ritmo della narrazione è molto spesso spezzettato in periodi brevissimi, quasi l'intento primo dell'artista pavese fosse quello di fare musica o teatro, non solo letteratura.
“Un cattivo maestro” (Mursia, 2010) è la commovente tragicommedia di un maestro elementare di Vigevano, Cesarino Tonani. È un piccolo borghese che vive con grande dignità e compostezza, a dispetto dei rovesci della sorte e della progressiva decadenza delle istituzioni scolastiche italiane. La vita ha saputo colpire duro: è vedovo, vive col suo unico figlio, Luigi, e ha tutte le difficoltà del mondo per riuscire a dialogare con lui e a entrare nel suo mondo. Il maestro Tonani si consola rifugiandosi sulle rive del Ticino, il suo fiume, e camminando per i boschi; si rigenera svicolando dalle terribili riunioni didattiche e dalla retorica riformista che appanna e annebbia le intelligenze del corpo docente, e rispondendo ogni tanto con clamorosa immediatezza e franchezza a chi lo sta stuzzicando troppo.
È uno che potremmo presentare così, con questo frammento tratto dal capitolo XV, pagina 141: “So tenere la penna in mano, io. Sfogliare un libro, anche. So far la spesa. Contà su i danée. Contarli proprio bene. Al solo colpo d'occhio capire se una mela è marcia dentro. So frigger le patate, io. Nettare pentole e pignatte. Sedermi ai giardinetti e fumare sigarette. Popolari. Coi piccioni che d'intorno mi scagazzano felici. E so guardar fuori. La piazza. La Piazza Ducale. La più bella del mondo. Solitamente verso sera. Un'ora più che intera al vetro del solito caffè. Per non pensare a niente. Frugandomi le tasche. Poi parlo con qualcuno. In genere m'impegno. O meglio, così facevo”.
Anarchico (“Ho sempre pensato che il valore più grande fosse quello di difendere se stessi. Specialmente da quelli che c'hanno dei valori fissi in testa”, p. 34), il maestro soffre d'orchite, non solo metaforicamente (“Brutta malattia, l'orchite. Cronica, nel mio caso. Ci si gonfia, ecco tutto. Unico rimedio, il movimento repentino, lo scatto, la fuga dal luogo abituale. Ne capisco da parecchio. Già a sei anni ne principiavo i sintomi”, p. 9) e per questo sente ancora più voglia di scappare, più lontano possibile. Questa orchite diventa – metaforicamente – ancora più tremenda quando s'accorge di quante cose abbiano smesso di funzionare nel suo territorio, nel suo popolo. Quando, per esempio, il suo vecchio amico Gianfranco – uno che tutti conoscevano e rispettavano – alle spalle quarant'anni di militanza tra partito comunista e sindacato, si ritrova solo e sconsolato senza nessuno (un giornalista a parte) a dargli una mano per avere una casa popolare; e per disperazione, di lì a poco, finisce per chiudere male una vita dignitosa e onesta. Oppure quando, studiandosi per bene gli amichetti di suo figlio, s'accorge che non combinano niente tutto il giorno, che di ragazze tendenzialmente manco l'ombra, e che di lombardo hanno sempre meno: non perché si siano italianizzati, no...
“Ecco il guaio dei nostri figli. Cagan tutti tra Mortara e Abbiategrasso. E sognan d'essere a Chicago! Siam falliti. Siam coloni dell'Impero. Che ci vuole neri e grassi. Parcheggiarsi sul muretto, quindi. È la nuova frontiera. E d'altronde cosa fare?” (p. 71). Come se non bastasse, il gruppetto di amici del Luigino non è estraneo agli spinelli e agli acidi, sbevazza anche e s'alimenta a kebab e patate fritte grassissime. E così il maestro medita che i figli sono come farfalle d'Amazzonia, destinati allo “spillo dei collezionisti”. Te li fregano e manco te ne accorgi. “È la loro carne fresca. Che si getta in pasto al morbo. È il target. Programmato dai migliori venditori di letame. Tutto è così sgargiante, leggero, a buon mercato. Il giusto ritmo. Il sound di tendenza. La spiaggia dello svacco. Per le deboli testoline. E d'un tratto non conti più una sega. Sì. Nel giro di due anni appena” (p. 32).
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Il maestro elementare è uno che ha capito che qualcosa sta cambiando, giorno dopo giorno, nel suo territorio e nella scuola. Ha smesso di credere di poter incidere nella realtà, e nella formazione dei bambini. Fa semplicemente quel che può. La scuola è stata una delusione terrificante – e paradossalmente o forse no, dopo tanti anni Cesarino ha capito che il problema sono le mura, e non i programmi. Questo si ritrova a dire al preside, nel corso di un colloquio surreale. E così la vita del povero maestro va, solitaria quasi come quella del vecchio Umberto D. di De Sica; tutto quel che lo circonda è diventato prevedibile e deludente, e l'unica sua speranza è che le nuove generazioni possano venire lasciate un po' più libere di esprimersi, di scoprire la vita e di essere sé stesse, senza essere inquinate dalle nazioni dominanti. In tutto questo, nuove dure prove esistenziali, dai problemi del figlio a quelli delle sue colleghe, a scuola, con lui, passando per la drammatica morte del vecchio amico, non mancheranno. Ma il Tonani è uno che sa quando entrare in scena, e quando e come combattere per farsi rispettare. Male che vada prende e scompare per qualche ora, tra il Ticino e i boschi, a illudersi di poter essere libero almeno per qualche ora, a cercare di ricordare qual era il senso profondo di tutto.
“Un cattivo maestro” è un romanzo esistenzialista e sentimentale; è una buona satira della vita provinciale e piccolo borghese, capace di scatenare sentimenti d'empatia autentica nel lettore. È una buona prova di scrittura da parte d'un autore che somiglia sempre meno a un outsider, col passare degli anni. È un omaggio, infine, a tutti quegli antieroi lombardi (e italiani, aggiungo forzando un po' la mano) che vivono faticosamente le loro giornate combattendo contro stipendi bassi, mediocre qualità della vita, poco tempo da dedicare ai bambini; e riescono a chiudere il mese e a comportarsi onestamente con eroica naturalezza. Un'amante ogni tanto, magari, e tanta malinconia. Ma dignità vera. Profondamente letteraria.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Luigi Balocchi (Mortara, Pavia 1961), scrittore italiano. Ha fondato il gruppo di ricerca linguistica “La Brasca”. Organizza letture del repertorio vernacolare lombardo.
Luigi Balocchi, “Un cattivo maestro”, Mursia, Milano 2010.
Gianfranco Franchi, giugno 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.