Bietti
2014
9788882483128
A vent'anni di distanza dalla sua morte, Bukowski è diventato una maschera nordamericana e probabilmente è stato più parodiato che letto da una pletora di epigoni europei e occidentali, in genere, e forse considerato più un atteggiamento da assumere che un modello letterario. Bukowski è sostanzialmente diventato un aggettivo, un modo di fare, magari tardo-adolescenziale. Forse è diventato una scusa. È una buona ragione per trattare con benevolenza e gratitudine un saggio come questo, fondato sulla lettura di tutti i suoi scritti, inclusi quelli più laterali e giovanili, e su una robusta documentazione, e su una considerazione ben diversa: in “Tutti dicono che sono un bastardo” (Bietti, 2014; euro 19, pagine 336) l'autore, il giornalista e scrittore abruzzese Roberto Alfatti Appetiti, intelligenza libertaria e anarchica classe 1967, ha trattato Bukowski da scrittore e non da bizzarro grafomane: da intellettuale e non da clown alcolista.
Cosa fa la differenza in un libro come questo – la biografia di un artista che aveva scritto soltanto di sé stesso e delle sue giornate a tutto spiano, in qualsiasi momento della sua vita? La differenza la fanno lo stile e il respiro del biografo. La differenza è una questione di intensità: intensità di scrittura, potenza di argomentazioni, e a speziare qua e là qualche aneddoto poco conosciuto. È un libro intensissimo, pieno di passione e di sentimento: è questo che mantiene viva la concentrazione, e origina divertimento. Non posso considerarmi tra gli appassionati di Bukowski. Sinceramente non lo sono mai stato, non mi ha mai emozionato molto e non mi ha mai convinto. Invece sono naturalmente appassionato della scrittura di Alfatti Appetiti. Alfatti è coraggioso e non convenzionale. E lucido, e piuttosto autonomo. Ha stile – e ha personalità. Cercando un libro di Alfatti ho letto cose di Bukowski, e su Bukowski, che hanno certamente complicato e altrimenti chiarito le idee che m'ero fatto sullo scrittore californiano: sono grato per quel che ho imparato e molto incuriosito dalla ricchezza e dalla pluralità dei riferimenti culturali individuati da Alfatti.
Gran lettore, Bukowski aveva una particolare venerazione per il grande e frainteso John Fante, e per gli irregolari d'eccezione del Novecento: su tutti, forse ovviamente, Knut Hamsun, il padre di Fante e di London. Poi “quelli sbagliati” ma forse per questo più interessanti ancora, vale a dire Pound e Céline. Poi i nordamericani con un'idea più limpida della scrittura, come Sherwood Anderson. Granitico nella sua avversione al sistema letterario occidentale, secondo Alfatti Bukowski “dichiarava guerra al sistema senza cercare alleanze, o almeno desistenze, con le fazioni avverse […]”: e anzi ridicolizzava gli addetti ai lavori, e gli scrittori di maggior peso. Soprattutto, e con ovvie ragioni, i progressisti d'accatto, i sinistri per convenzione (o per pigrizia) e per opportunità, in Usa come in Europa. Bukowski, “beat ancor prima dei beat”, era uno che si sentiva, da solo, “una marcia di protesta”. L'underground prima ancora che esistesse l'underground. Un individualista assoluto, che non credeva in altro che non fosse la scrittura, e si consolava del buio della nostra povera esistenza con tanta musica classica e tanto vino, e con un fermo rifiuto di qualunque ideologia e qualunque dogma. Uno consacrato alla scrittura: forse “radicato” nella scrittura soltanto. In questo libro, pienamente rispettato, restituito e insegnato.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Roberto Alfatti Appetiti (Roma, 1967), giornalista e saggista abruzzese. Ha esordito pubblicando “All'armi siam fumetti. Gli ultimi eroi d'inchiostro”, raccolta di scritti già apparsi su vari quotidiani e periodici, nel 2011. È l'anima del ricco blog “L'eminente dignità del provvisorio”.
Roberto Alfatti Appetiti, “Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski”, Bietti, Milano, 2014. ISBN, 9788882483128.
Franchi, aprile '14.
Prima pubblicazione: Lankelot.
A vent’anni di distanza dalla sua morte, Bukowski è diventato una maschera nordamericana e probabilmente è stato più parodiato che letto da una pletora di epigoni europei e occidentali, in genere, e forse considerato più un atteggiamento da assumere che un modello letterario.
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