Trieste nei miei ricordi

Trieste nei miei ricordi Book Cover Trieste nei miei ricordi
Giani Stuparich
Garzanti
1948
9788889359082

“Se Trieste avesse seguito, alla fine di questa guerra, la sorte di tutte le altre città italiane, forse questi miei 'ricordi' non sarebbero nati. Ma, mentre i nostri fratelli d'Italia poterono, negli ultimi giorni d'aprile del 1945, sentire che finiva veramente per loro un funesto periodo e se ne apriva uno nuovo, anche se duro, per la rinascita, noi triestini vedemmo rispondere al nostro anelito di libertà prima coi quarantacinque giorni dell'occupazione jugoslava, poi con quella anglo-americana, infine col dono beffardo del Territorio Libero e la mutilazione dell'Istria. Fu in questi tempi di disperata umiliazione che, non potendo rivolgere l'animo al futuro, io mi volsi al passato, non come chi cerchi di consolarsi d'un passato felice, ma come uno che frughi in anni considerati perduti, per vedere se non fosse rimasto qualcosa di positivo, di cui far tesoro nella miseria e nell'avvenimento presenti” (Prefazione a “Trieste nei miei ricordi”, firmata Giani Stuparich. Marzo 1948).

Memorie di Stuparich. Si parte dall'otto settembre: i tedeschi sparano addosso ai giovani italiani che sventolano il tricolore, a Trieste. L'artista si commuove, osservando l'ultimo residuo di coraggio, onore e fierezza in quei ragazzi. I carri armati scendono in città, cominciano le sparatorie di intimidazione. Da quel momento sgorga, tutta letteraria, l'anima ferita di Trieste e di Giani, in queste memorie, in meraviglioso disordine. Si parla delle gite in Carso la domenica, dell'amore per lo sport dei ragazzi di Trieste (che campione doveva essere il povero Ruggero Timeus!), del liceo Dante, delle similitudini tra Firenze e la città di San Giusto; delle esperienze da giornalista e da insegnante di GS, della sua prima Musa, Isolina, della sconfitta politica degli austriacanti, dell'acerbo ma assoluto senso di italianità di Stuparich, e della città; degli operai friulani, istriani e sloveni, che nell'arco di una generazione diventano e si sentono triestini; delle letture fondamentali di Giani, da Tolstoj a Goethe, passando per Nievo, Conrad e Verga; dei quattro anni di guerra vissuti lontano da Trieste, salvo poi tornare con “quell'amore radicato nelle viscere con cui il marinaio, sbattuto dalle tempeste e superstite di naufragi, torna alla sua terra” (p. 117), e della speranza che l'occupazione militare potesse finire con un esito diverso, e pacifico.

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L'approccio politico è straordinariamente equilibrato: “Ho cercato di distinguere il fascismo, cioè una mentalità, una dottrina, un regime che ho sentito sempre vivamente contrari al mio istinto e al mio spirito, e quegli uomini del fascismo che prima d'esser fascisti furono uomini, con le virtù e i difetti degli uomini” (p. 10). La patria, per Stuparich, è un valore assoluto: non soltanto perché, per liberare Trieste nel 1918, aveva perduto il fratello, Carlo, e l'amico fraterno Scipio Slataper: chi non sa sentire la patria, spiega, è come uno che pensa a evirarsi con le proprie mani per sperimentare un'altra specie di amore.

Sostiene che gli italiani di Trieste, come quelli di tutta Italia, devono avere la libertà di essere sé stessi; e per questo i socialisti – la maggioranza assoluta di loro – lo tacciano di nazionalismo. E dire che Stuparich sognava l'Austria fatta di federazioni di popoli liberi, non certo la distruzione dell'Impero. Eppure aveva combattuto per vincerla. Strani paradossi della triestinità. Giani sapeva che Trieste era, e sarebbe rimasta italiana:

“Questa città italiana potrà anche essere sopraffatta (la fatalità storica è alle volte inesorabile), ma le pietre di San Giusto parleranno per secoli e secoli ancora” (p. 120). E andiamo. Così.

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L'orgoglio per la tradizione letteraria noventesca di Trieste, superba, è giustamente sconfinato. Svevo? “Parlasse di Londra, di Parigi, di Firenze, il suo tono era sempre triestino: in lui ci riconoscevamo tutti (…). Sapeva conquistare persino Saba” (p. 20). Saba? Lunare e solare. Peccato solo non abbia mai capito quanto grande fosse Scipio Slataper. “È nato poeta, esprime il meglio di sé in poesia, ed è grande poeta. Ancora Trieste, con Saba, è sui vertici della moderna poesia italiana. Fusione di razze, avventura di grande porto ottocentesco e tradizionalismo di borgo medievale, passività orientale e fervore europeo, è questa in fondo la triestinità di Saba?” (p. 21). E Giotti viene considerato grande come Saba. Sarà che Giotti era amico di Stuparich, anche.

Treves? Triestino emigrato a Milano, per realizzare i suoi lungimiranti progetti editoriali (poi ereditati da Mondadori). Tutti i grandi protagonisti del Novecento italiano sono triestini: pensate a Leo Castelli nel mondo dell'arte. È un fatto.

Bazlen è ancora “Bobi”, un “bracco letterario”, uno dei giovani del gruppo di letterati e artisti: semplicemente, stava “sempre con noi” (p. 23). “Conosceva varie lingue e non c'era libro di cui si parlava, che gli fosse ignoto (…) In fatto di letterature moderne, di correnti moderne di pensiero, Bobi, a diciotto anni, ne sapeva più di tutti noi, maturi e anziani” (p. 24). Stuparich ricorda che, giovanissimo, Bazlen “aveva un fiuto speciale per scovare autori e opere poco note (…) anche semplicemente a sfogliar cataloghi di case editrici, gli capitava d'imbroccar giusto: si faceva mandare il libro nuovo e succedeva di rado che si sbagliasse” (p. 25). Scoprì Lawrence, Gide, Faulkner, Kafka e Trakl (in Italia, non solo a Trieste), Cocteau, Eliot, Joyce, Hemingway. Animò Adelphi. È storia.

Slataper... l'amico Giani racconta di quando gli leggeva ad alta voce “Il mio Carso”. “Non dimenticherò mai quella voce pastosa che via via s'inteneriva e vibrava di commozione, la bocca forte che la modulava sotto i biondi baffi leggeri e spioventi, e lo sguardo profondo dagli occhi azzurri incassati che ogni tanto si rivolgeva a me, come per scrutare sul vivo la mia impressione” (p. 36). E finivano per parlare di libri e di Trieste fino alle due, le tre di notte.

Biagio Marin era “un giovane professore gradese che insegnava a Gorizia” (p. 86), innamorato della scuola giuliana, “sempre un foco febbricitante, con la chioma rosso-ricciuta e l'eloquio acceso, egli dava l'impressione di una fiamma che brucia e si consuma. Una strana mescolanza di gentilezza e di grossolanità, di sensibilità raffinata e di gusto provinciale” (p. 87).

Quarantotti Gambini si presentò agli scrittori triestini più giovane d'una generazione; “Sembra un fanciullone” - ricorda Stuparich - “ma si capisce ben presto che sotto quell'apparenza candida e inerte si cela una profonda capacità d'ammaliziti accorgimenti. Così nella sua calma abituale, chi lo conosce sa quanta violenza si racchiuda: facile allo sdegno all'ira, soltanto con la volontà (…) si domina” (p. 155).

E con questa galleria di artisti termina il mio breve articolo. “Trieste nei miei ricordi” è davvero un libro atipico, parte storico, parte letterario, parte antropologico, parte filosofico; è un piccolo diamante d'un artista che stiamo correndo il rischio di sottovalutare, nel Duemila, o di dimenticare. Sarebbe un gran peccato. Stuparich merita almeno un altro secolo ancora, e poi se ne riparla.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Giani Stuparich (Triest, Austria, 1891 – Roma, 1961), giornalista e scrittore italiano, di madre triestina (Gisella Gentili) e padre di Lussino (Marco Stuparich). Iscritto all’Università di Praga, si trasferì assieme a Slataper all’Università di Firenze. Si laureò in Letteratura Italiana con una tesi su Machiavelli. Esordì pubblicando “Colloqui con mio fratello” nel 1925.

Giani Stuparich, “Trieste nei miei ricordi”, Il Ramo d'Oro, Trieste 2004.

Prima edizione: Garzanti, 1948.

Approfondimento in rete: Wikipedia.

Bibliografia completa degli scritti di Giani Stuparich: André Thoraval (Trieste, Alcione, 1995); Bibliografia critica: Giusy Criscione (Trieste, Alcione, 2001).

Gianfranco Franchi, dicembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

“Come uno che frughi in anni considerati perduti, per vedere se non fosse rimasto qualcosa di positivo, di cui far tesoro nella miseria e nell’avvenimento presenti”