Tolstoj è morto

Tolstoj è morto Book Cover Tolstoj è morto
Vladimir Pozner
Adelphi
2010
9788845924958

Il vecchio Tolstoj, l'artista amato dal popolo perché stava sempre dalla sua parte, perché sapeva incarnare e rappresentare la sua disperazione e il suo bisogno di considerazione, di rispetto e di consolazione, partì improvvisamente, in fuga da sua moglie, madre di tredici figli, e dalla sua vecchia vita, durante l'autunno. Venne colto da malore nella piccola e sconosciuta stazione di Astapovo, dove morì una settimana più tardi, ospite nell'umile casa di un capostazione, come forse avrebbe voluto lui. In quei giorni, il telegrafo spedì una quantità straordinaria di dispacci per informare i cittadini russi delle sue condizioni. Venticinque anni più tardi, Vladimir Pozner recuperò questi dispacci, e andò assemblandoli ad articoli e testimonianze e frammenti di diario e di diverse opere letterarie per raccontare un evento privato diventato – primo nella storia della Russia – pubblico. Una morte mediatica ante litteram, prima della prepotente affermazione della società di massa.

Il primo telegramma, datato 1 novembre 1910, è firmato da Nikolaev: racconta il suo malore, minimizza, annuncia la prosecuzione del viaggio, chiede di prendere misure. Il secondo, firmato da sua figlia Frolova, smentisce: “Impossibile viaggiare”. La polizia lo sta tenendo d'occhio, sin dalla partenza. Man mano, la figlia avverte i fratelli dell'aggravarsi delle sue condizioni. Arriva anche la moglie. Pozner: “Milioni di persone aspettano nuove da Astapovo. Le edizioni straordinarie vanno a ruba l'una dopo l'altra. Nelle redazioni il telefono squilla senza tregua. Tutti leggono, scavano, soppesano, cercano tra le righe. Le voci investono a ondate la città” (p. 29).

La famiglia prova a dare spiegazioni ai giornalisti: è partito perché detestava i circoli letterari, è partito perché voleva andare a vivere in un altro (e misterioso) ambiente, per via dell'influenza di certe persone (“deprecabile”). Lievi miglioramenti dell'artista: si fa leggere i giornali, detta aforismi, è convinto che nessuno si sia ancora accorto della sua fuga, e della sua sorte. C'è chi prevede una guarigione completa in sei settimane. Illusione. Il 4 novembre il cuore comincia a dare segni di cedimento. Altalena di emozioni, e di convinzioni. C'è chi s'aggrappa al ricordo della guarigione avvenuta a Jalta otto anni prima, quando l'artista era stato dato per spacciato. C'è chi prega per una sua riconciliazione con la Chiesa Ortodossa. Già, Tolstoj aveva scritto, nella “Confessione”, “Che nella dottrina cristiana sia contenuta la verità è per me indubitabile; ma è altrettanto indubitabile che in essa ci sia anche la menzogna e io devo identificare la verità e la menzogna, e separare l'una dall'altra” (p. 63).

Passano i giorni. Tolstoj mangia sempre meno. Dorme sempre meno. Ha febbre. È scosso. S'avvicina al torpore. Prime voci della sua morte, rilanciate in Europa e poi smentite. Mosca intanto autorizza i fotografi a fotografare la stazione, la casa del capostazione, il vagone in cui sono alloggiati i famigliari.

Il malato s'aggrava, perde coscienza, ha il battito debole. Riprende coscienza, capisce che i giornali hanno scoperto la sua fuga, e sanno della sua sofferenza; chiede di non sapere niente di quel che appare sui quotidiani.

5 novembre sera. “Ogni ora che passa porta con sé un nuovo timore e una speranza nuova. Qualsiasi ottantaduenne affetto da polmonite è un uomo spacciato. Tolstoj, invece, sembra appartenere al novero di quelli che sono destinati a morire soltanto quando lo decidono loro, come Goethe, come Voltaire. I pochissimi che sono ammessi al capezzale del malato vengono accerchiati, subissati di domande [...]” (p. 100).

Di qui in avanti è tutto un rettilineo, sino alla morte. Pozner ne approfitta per integrare nella narrazione frammenti illuminanti relativi al suo complesso e contrastato rapporto con la Chiesa (il funerale non sarà religioso) e con l'amata-odiata consorte, compagna incapace di aderire con empatia assoluta e partecipazione autentica alla sua visione spirituale dell'esistenza; nel frattempo, man mano che s'avvicina la fine delle sofferenze dell'artista, siamo – lettori – costretti a partecipare a un drammatico lungo addio che tutti abbiamo già incontrato e interiorizzato, in contesti naturalmente meno pubblici o nient'affatto pubblici. Piccoli miglioramenti, terribili peggioramenti, l'odiosa frequenza delle parole “torpore” e “debolezza”, sogno di impossibile guarigione, meditazione sul senso e sui significati della vita di chi stiamo perdendo, e così via. In questo frangente, a congedarsi dal mondo era un intellettuale e un artista capace di eternare la sua società, il suo popolo e la sua epoca. È sinistro ma è fascinoso accorgersi che nei giorni del suo addio Tolstoj sia involontariamente riuscito a romanzare la sua morte. Sappiamo già come andrà a finire, e tuttavia leggiamo il documento di Pozner pensando che un miracolo sia possibile. L'unico vero miracolo, a ben guardare, è questo.

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“25-VI-1909... 'Ho dimenticato il mio passato, e il futuro non mi interessa; auguro anche a voi di tutto cuore di raggiungere la condizione in cui mi trovo. Al tempo stesso il mio interesse per le questioni essenziali della vita non si è minimamente attenuato'” (Dusev, “Dva goda”, p. 296; “Tolstoj è morto”, p. 171).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Vladimir Aleksandrovich Pozner (Parigi, 1905 - 1992), scrittore, giornalista, traduttore e sceneggiatore russo-francese, figlio di esuli russi. “Tolstoj è morto” fu il suo primo romanzo.

Vladimir Pozner, “Tolstoj è morto”, Adelphi, Milano 2010. Traduzione di Giuseppe Girimonti Greco. A cura di Valeria Perrucci. Con una nota di André Pozner. In appendice, bibliografia e nota bibliografica.

Prima edizione: “Tolstoi est mort”, 1935.

Gianfranco Franchi, giugno 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.