Adelphi
2011
9788845926327
“Tecnica del colpo di Stato”, sorta di “manuale del perfetto rivoluzionario” d'ascendenza marxista (e del saggio democratico in cerca d'antidoti: è un testo bifronte, in piena schizofrenia malapartide), apparve originariamente in Francia nel 1931, per Grasset; per la prima edizione italiana (Bompiani) dovemmo attendere sino al 1948. “Proibito in Italia da Mussolini – scriveva Malaparte nella prefazione – costituisce oggi per il lettore italiano una novità, cui la situazione internazionale e quella interna del nostro paese aggiungono purtroppo un interesse di viva attualità. Non sarà forse inutile, a questo punto, avvertire il lettore italiano che questo mio libro non è stato a suo tempo proibito soltanto in Italia, ma anche in Germania, in Austria, in Spagna, in Portogallo, in Polonia, in Ungheria, in Romania, in Jugoslavia, in Bulgaria, in Grecia, in tutti quegli Stati, cioè, dove, o per l'arbitrio di un dittatore, o per la corruzione degli istituti democratici, le libertà pubbliche e private erano soffocate, o soppresse” (pp. 114-115).
Si trattava – nelle parole di Malaparte – del primo libro apparso in Europa contro Hitler: giusto a ridosso della sua salita al potere. Il malvagio e fanatico leader nazista decretò la condanna del libro – secondo rito nazista – con pubblico falò nella piazza di Lipsia; domandò quindi a Mussolini la testa dell'artista. “Fui dunque arrestato, chiuso in una cella di Regina Coeli, e condannato a cinque anni di confino a Lipari per 'manifestazioni antifasciste all'estero'” (p. 117). E il resto è storia: storia della straordinaria ambiguità di Malaparte, della sua camaleontica e spesso indecifrabile condotta, della sua capacità di galleggiare in tutte le fazioni – e ammettiamolo, oggi ci interessa poco. È stato coerente come una bandiera sotto la bora.
Malaparte, in questo saggio dalle malcelate ambizioni neo-principesche e machiavellidi, si proponeva di “mostrare come si conquista uno Stato moderno e come si difende”. Principio cardine: “per difendersi dai comunisti e dai fascisti bisogna combatterli sul loro stesso terreno” (pp. 134-135), tenendo presente che le condizioni dell'Europa, in quel momento, offrivano a entrambe le parti in causa grandi opportunità di successo: “Lo Stato moderno è esposto, più di quanto non si creda, al pericolo rivoluzionario: i governi non sanno difenderlo. E non ha valore la considerazione che se i governi non sanno provvedere alla sua difesa, i catilinari, da parte loro, danno prova in molti casi di non conoscere gli elementi fondamentali della tecnica moderna del colpo di Stato [...]”.
L'insurrezione popolare, secondo Malaparte, è naturalmente l'arte di conquistare il potere, non di difenderlo. La difesa del potere è tutta un'altra questione politica. Nel testo, l'autore si sofferma sulla rivoluzione d'ottobre e sulla rivoluzione fascista, ribadendo tutta una serie di elementi in comune, almeno originariamente, tra i due socialismi (“bolscevismo nazionalista” è una delle sue definizioni del movimento mussoliniano), e analizza le strategie di presa del potere rimarcando la debolezza dei democratici e dei liberali. Devo ammettere che, complice il secolo di distanza, complice una straordinaria noia nei riguardi di certe strategie politiche, complice una certa nausea per tutto quel che ha a che fare con la razionalizzazione e l'avallamento delle violenze, rivoluzionarie o meno esse siano, mi sono rapportato al libro con crescente dissenso, e crescente distacco. Capisco perfettamente perché non venga restituito alle librerie, restando piuttosto uncinato alle biblioteche: è un noioso e borioso saggiotto politico nato per vivere e per essere consumato nel suo tempo, e nella sua società. Dal punto di vista letterario, l'unica autentica ragione di fascinazione sta nella lettura della lunga, autoagiografica prefazione autoriale, “Che a difendere la libertà ci si rimette sempre”, scritta a Parigi nel 1948. Malaparte, e non stupisce, gioca la carta del vittimismo e della scadente dissimulazione del suo orgoglio per l'opera (che gli diede “gloria”) imbastendo un'invettiva scritta più per i posteri che per i contemporanei, e approfittando per esasperare il suo ruolo da protagonista nell'opposizione al fascismo.
Per quanti fossero interessati ad approfondire l'incredibile serie di rovesci della sorte, e dell'atteggiamento dell'autore, la biografia di Giordano Bruno Guerri è un approdo di sicura soddisfazione. “Tecnica del colpo di Stato” è un libro che non sfigura nelle biblioteche di quegli storici e di quegli studiosi dei totalitarismi che vanno cercando letterarie e faziosette interpretazioni dei disastri del secolo scorso. Non è questo il Malaparte che può essere restituito ai contemporanei.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Kurt Erich Suckert (Prato, 1898 - Roma, 1957), alias Curzio Malaparte, scrittore, giornalista e diplomatico italiano.
Curzio Malaparte, “Tecnica del colpo di Stato”, Meridiano Mondadori, Milano 2009. Prefazione di Giancarlo Vigorelli. Introduzione di Luigi Martellini. Contiene una cronologia, notizie sui testi e una bibliografia.
Prima edizione: 1931; Bompiani, 1948. Poi Adelphi, 2011.
Approfondimento in rete: WIKI it
Gianfranco Franchi, agosto 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Apparve originariamente in Francia nel 1931, per Grasset; per la prima edizione italiana (Bompiani) dovemmo attendere sino al 1948.