Stampa Alternativa
2008
9788862220330
Scrive Peppe Dell'Acqua, nell'introduzione, insegnandoci le ragioni della necessità di questa pubblicazione: “In Italia sono attivi presso gli ospedali civili 286 Servizi psichiatrici di diagnosi e cura. Forse non tutti sanno che, ancora oggi, 7 di questi servizi su 10 dichiarano di attuare la contenzione meccanica, legare al letto le persone, e di usare un camerino di isolamento (…). Dicono che, anche volendo, è impossibile non usare la contenzione. Bisognerebbe allora chiedersi come mai in 3 su 10 di questi servizi non si ricorre a questi trattamenti” (p. 11).
Ancora: “Non si dice che in alcuni reparti di neuropsichiatria infantile bambini tra i 9 e i 14 anni vengono legati al letto e trattati con dosi eroiche di psicofarmaci. Soltanto nel corso degli ultimi 2 anni almeno 3 persone, a causa delle dosi massicce di psicofarmaci, dell'immobilità dovuta alla contenzione, sono morte legate ai letti” (p. 12). Ricevuto? Memorizzate. Meditiamo. Adesso, avanziamo.
“Un'altra cosa strana della psichiatria è che difficilmente quelli che ci lavorano s'impegnano per capire chi sta male. Danno sempre la risposta sbagliata o più che altro danno farmaci” (Banfi, p. 70).
Partiamo dalla fine della storia, perché stavolta la storia è a lieto fine, grazie a Dio e alla tenacia della giovane Alice, artista e libera cittadina ligure. Alice, dopo sette anni di ricoveri in 13 diversi reparti e cliniche psichiatriche, ce l'ha fatta: è sfuggita dalla logica perversa degli psicofarmaci, ha ricominciato a vivere, abita con la mamma e si è innamorata della sua Camogli. Si è integrata nel tessuto sociale come pittrice, ha una sua galleria, dipinge en plein air e vende le sue creazioni. Il mare forse può curare, scrive, ma la contenzione uccide. La “contenzione” è prassi, a quanto stiamo scoprendo, e viene adottata in frangenti sbagliati e con pazienti bisognosi di ben altre cure e trattamenti. Prendiamone atto, ripeto.
Diario di Alice Banfi, pittrice italiana, giovane donna che molto ha sofferto e combattuto per ritrovarsi indipendente e autonoma, e pienamente consapevole dell'unicità della vita. Si parte dall'infanzia, segnata dalla crescita in un contesto famigliare multiplo – con sovrapposizioni di madri e padri e acquisizioni di fratelli, per via di divorzi e nuovi matrimoni – e da una terribile solitudine autolesionista. Dai cazzotti sul naso alle bruciature di sigaretta e ai tagli sulle braccia, la ragazzina si puniva di una colpa inspiegabile: e intanto faticava nelle interazioni coi compagni, a scuola, e a concentrarsi nello studio. “Poi fu l'esplosione ormonale, non potrei chiamarla altrimenti, fu la ciliegina sulla torta – scrive – Non capivo più niente, odiavo la scuola, avevo voglie irrefrenabili, fumavo come una turca, avevo una fame boia ed ero incazzata con il mondo intero. Le mie emozioni erano filtrate da questo stato perenne di odio e rabbia. Mi sentivo esplodere, ero aggressiva” (p. 22). Tutta la famiglia era in terapia. Prendere nota.
Liceo Artistico: crisi mistica (provenendo da famiglia atea, è fascinazione abnorme studiare al “Sacro Cuore”) e esperienze al limite, tra esclusi della società e alternativi dei centri sociali, tra droghe e sesso libero. Entra in analisi e ricorda violenze e abusi d'infanzia. Piaga terribile, quella dell'infanzia macchiata dal male, che la condiziona inevitabilmente – ed è bene che non ne scriva, ma che ne abbia parlato con il suo confidente, l'analista. Saggia decisione. Accademia di Belle Arti: va meglio con lo studio, ma va male con l'alcol. C'è un primo amore vero, e una prima vera crisi anoressica. La fine dell'analisi... e il primo incontro con gli psicofarmaci comandati da uno psichiatra per curare il “disturbo di personalità” (alimentare ed etilico?): Prozac, e relative disastrose conseguenze. Cominciano i ricoveri: per anoressia, bulimia, alcol. L'eroica Alice resiste, stoica, a tutto. Sino a quando si ritrova in un centro di igiene mentale. La sporcizia e il disordine, gli infermieri chiusi dietro le porte e l'assenza di conforto e di dolcezza la sgomentano, sin dal principio. Cerca di difendere una quasi coetanea, oggetto delle attenzioni degli altri pazienti: “perché essere pazzi non vuol dire essere anche stronzi e maiali” (p. 33), spiega. E poi racconta di come spezzava le fascette che la legavano al letto, contro il parere degli infermieri.
La nuova compagna di avventure sarà Lena. È una signora che tende a comportarsi con grave maleducazione e tanta arroganza: dapprima Alice ne sorride, e si fa sua complice; quindi, quando la vede tirare cazzotti sul naso agli infermieri e pisciare per terra, va in crisi. C'è un tentativo di suicidio, impedito dalla buona sorte, e stavolta a ritrovarsi legata sarà proprio lei. Lena farà avanti e indietro dal Centro, un mese sì e uno no; Alice idem, ma ogni tre giorni. Per via dei comportamenti autolesivi.
Ecco Francesca, fanatica di spiritualità e di religioni. Pregano assieme, religiosamente osserva Alice mentre disegna, le regala pennelli e colori. Proprio quando la creatività di Alice prende forma in un collage molto ammirato da tutti, un primario non capisce e domanda che venga tolto dal muro; la reazione della pittrice è radicale e triste. Nuovo tentativo di suicidio.
La madre, per fortuna, è forte e piena di carattere. Vuole che la figlia guarisca e non le importa che i dottori siano scettici. Vuole che la figlia sia curata. Accade. Francesca compra una sua Crocifissione color indaco – Alice al posto del Cristo – pagandola tanti soldi qualche anno dopo. Alice intanto cresce, osserva e crea. Soffre ma lotta contro la sofferenza.
Conchiglia è un ragazzo di 32 anni, ossessionato dal sesso, altrimenti simpatico e brillante. Spesso viene legato. Alice va a scioglierlo. Diventa una liberatrice: prima dai legacci, poi dal ricovero. Fa scappare un ragazzo francese, Simon, e poi comincia a scappare anche lei. Fugge per una birra, per prendere dei fiori, per fare quattro passi. Sfida le leggi del Centro: le piace fare l'amore, e non ha paura delle punizioni. Alice conquista, passo dopo passo, la libertà.
La libertà coincide con la sua piena consapevolezza di sé stessa, e delle cose della vita. Magari se ne ritaglia un frammento, di questa libertà, in vasca da bagno, con un'amica che soffre del suo stesso disturbo di personalità. Ma non sempre si riesce a sciogliere certi legacci...
“A volte era impossibile aiutare un amico legato, portargli l'acqua, una sigaretta. A volte venivamo chiusi a chiave nelle nostre stanze, legati e sedati. Era come essere morti. Non c'era alcuna via di fuga. Potevi rimanere così giorni e giorni senza nemmeno accorgertene” (p. 86).
Negli anni, i primi bravi infermieri che aveva imparato a conoscere e riconoscere vengono sostituiti da nuovi, che sembrano incapaci di fare il loro lavoro: Alice racconta terribili abusi di potere, piccole violenze e umiliazioni degradanti (un paziente fatto strisciare), e non ci si raccapezza delle ragioni della metamorfosi. Sino a quando una nuova tragedia, dovuta alla noncuranza e all'impreparazione, cambia forse per sempre la sua percezione del personale del Centro; una sua amica che aveva tentato il suicidio viene trattata con superficialità e si ritrova in coma. Al suo risveglio, un mese più tardi, è perduta per sempre. Il suo sacrificio è comunque, e questo non è paradossale, destinato a cambiare la percezione della realtà di Alice, e forse di altri cittadini che soffrono.
“Non si dimentica l'orrore. È in questo indimenticabile orrore che la nostra Alice ci porta. L'orrore e gli orrori della psichiatria che resiste al cambiamento, che sopravvive a sé stessa mentre annienta le persone” - scrive lo psichiatra Peppe Dell'Acqua nell'introduzione. Forse dovremmo integrare qualche parola a proposito del numero dei pazienti finiti suicidi o finiti a commettere violenze a danno di persone innocenti, post Basaglia, e non certo per via della “psichiatria che resiste al cambiamento”. Fosse così semplice... fosse così lineare. Ma in questo contesto non ha senso polemizzare con chi tira acqua al mulino della sua ben riconoscibile corrente politica: ha senso rallegrarsi con chi ha vinto la piaga degli psicofarmaci e della stravaganza pseudo-liberale dei nuovi centri, ha lottato contro il buio sino a vincerlo, scintillando di speranza e di coraggio.
Ha senso salutare l'arte della Banfi, ringraziandola per la forza e l'onestà di questa narrazione. Il regolamento di conti interno alle varie correnti della psichiatria rimane ben chiuso nel cassetto, e ai cittadini qui non interessa. Perché si gioca, come sempre, sulla pelle dei cittadini. Non dimentichiamocene. Grazie, Alice. Adesso raccontaci le vere Meraviglie – quelle della tua pittura.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Alice Banfi (1980), pittrice e scrittrice italiana. Questa è la sua opera prima.
Alice Banfi, “Tanto scappo lo stesso. Romanzo di una matta”, Stampa Alternativa, Viterbo 2008. Collana Eretica. Prefazione dello psichiatra Peppe Dell'Acqua. In copertina: bellissimo disegno di Alice Banfi.
Gianfranco Franchi, marzo 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.