Taccuino e lettere

Taccuino e lettere Book Cover Taccuino e lettere
Otto Weininger
Studio Tesi
1986
9788876921469

Il "Taccuino", pubblicato postumo, è composto dagli appunti e dalle annotazioni stese dal filosofo austriaco Otto Weininger durante il suo ultimo viaggio, nel 1903. Può costituire, al contempo, un’integrazione e una singolare chiave di lettura dell’opera prima e fondamentale dello scrittore, “Sesso e carattere”. “Geschlecht und Character” – scrive Cometa nell’introduzione, p. VIII – è la “sintesi enciclopedica e geniale di un pensiero adolescenziale la cui qualità sta proprio nell’esser in formazione, experimentum, sentiero interrotto”. Come questi appunti: “riserva inesauribile di motivi, figure e riflessioni, colte statu nascendi, che avrebbero dovuto fornire il materiale per la futura scienza dei caratteri di cui Geschlecht und Character non costituiva che un primo, provvisorio capitolo” (Cometa, p. X). In appendice, le ultime lettere scritte dalla Norvegia, dalla Danimarca, dalla Germania e dall’Italia.

L’intelligenza, i conflitti interiori e la sensibilità d’un intellettuale atipico, rappresentati da una sequenza non lineare e non prevedibile di riflessioni, considerazioni, aforismi: per introspezione, proiezione e depressione, solcate irregolarmente da sprazzi di luminosa elevazione spirituale. Otto Weininger traduce il suo sentiero verso il precipizio in un taccuino: s’intende e s’ascolta l’ultimo scricchiolio della sua mente, prima della caduta nell’abisso – della frammentazione del suo pensiero, consegnato alle interpretazioni e alla memoria delle nuove generazioni.

L’uomo che giurava le energie spirituali fossero risolutrici d’ogni problema, che definiva il trascendentale un minimum rispetto all’eterno e che credeva l’intuizione fosse bastevole al genio, l’anima che riconosceva unità e totalità all’interno dell’orizzonte (23, p. 11), ambiva a ricongiungersi all’unità: al momento più alto, Dio. Il coraggio, per Weininger, era “il correlato psichico della verità”, il “non-tenere-in-nessun-conto il nulla”. Viltà, l’opposto.

Il nulla è specchio della luce. Si sentiva un “delinquente”, perché aveva rinunciato all’unità della coscienza, disperdendosi. Il suicidio doveva derivare dall’incapacità di sfuggire alla malattia. Perché credeva nella volontà: la volontà è sempre buona, non c’è una volontà del male. Il male è la rinuncia alla volontà. Doveva essere il proprio diagnosta e il proprio psicoterapeuta. Senza l’aiuto di Dio, non avrebbe potuto conoscere rimedio alla dannazione. Non si addossava colpa, non si faceva carico della solitudine. Del resto, sosteneva che il dolore soltanto non si può condividere (79, p. 20: anti-Schiller). Crudeltà significava voler giudicare il dolore l’unica realtà: dimenticando e negando il piacere nella sequenza libertà-valore. Piacere, libertà e valore: nel loro intimo identici, “si sfiorano nel concetto di bene. E il bene è Dio” (33, p. 12). Giudicava colpa e punizione due cose non distinte: era convinto che non sarebbe rimasto impunito.

Meditazione d’un’anima sul suicidio: cosciente che il nemico è la menzogna (“chi mente, non è”: 152; “la menzogna pone nella realtà ciò che è irreale”, 158), Weininger scrive scarnificandosi. Suicidarsi perché incapaci di guarire è da “disertori” e “miscredenti”: suicidarsi per sfuggire a un crimine è da “vigliacchi” (2, p. 5). Il suicidio significherà incapacità di sfuggire alla malattia (7, p. 7). La malattia è “un caso particolare di nevrastenia”: “Nevrastenia e malattia: divenire passivi rispetto alle sensazioni. Nello spazio esterno al corpo: nevrastenia. Nello spazio interno al corpo: malattia” (56, 57, p. 17). Il nevrastenico è dunque colpevole al cospetto della natura. Non gli accade più nulla. L’uomo a cui non riesce il suicidio è il “criminale vero”, perché vuole la vita per vendicarsi. “Tutto il male è vendetta” (177, p. 38).

Weininger s’ascolta. “Lo scricchiolio della stanza è un crollo interiore divenuto cosciente” (155, p. 34): non domanda più nulla, perché domandare è immorale (175, p. 37). Ha compreso che l’eternità è il senso del presente. L’ultimo riparo è una stanza d’una casa dove s’è fermato il tempo: a respirare la polvere d’un genio infelice. Perdita dell’identità del fiume, infine: fiume uomo esiste grazie a mare Dio, il cadavere adesso gli appartiene.

189. L’innocenza è insipienza. Rimanere innocenti pur conoscendo sarebbe l’optimum. 190. L’uomo riconosce la propria essenza a partire dalle cose. Ogni conoscenza è redenzione. Sistema e fondamento sono ‘espiazioni’.  Ogni conoscenza è rinascita”

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Otto Weininger (Vienna, 1880 – Vienna, 1903), filosofo austriaco. Enfant prodige (straordinario talento negli studi filologico-letterari), poliglotta (conosceva italiano, francese, inglese, norvegese, spagnolo, greco e latino), si laureò in Filosofia presso l’Università di Vienna nel 1902. L’anno successivo la sua tesi, riveduta e ampliata, venne pubblicata con il titolo “Geschlecht und Character” (Braumüller, Wien). Titolo originario era “Eros und Psyche”. OW scrisse saggi, aforismi, appunti di estetica e di simbolica, pubblicati postumi in due volumi: “Delle cose ultime” (1903) e “Taccuino” (1919). Il 3 ottobre del 1903, di ritorno da un viaggio in Italia, affittò una stanza nella stessa casa in cui era morto Beethoven, uno dei suoi idoli; poche ore dopo, si sparò al cuore.

Otto Weininger, “Taccuino e lettere”, Studio Tesi, Pordenone, 1986. Traduzione e introduzione a cura di Michele Cometa.

Prima edizione: “Taschenbuch und Briefe an einen Freund”, Wien 1919. Pubblicata a cura di Arthur Gerber, contiene due lettere di Strindberg al curatore.

Per approfondire: Alberto Cavaglion, “Otto Weininger in Italia”, Carocci, Roma 1983.

Gianfranco Franchi, Lankelot. 25 maggio 2004