Guanda
2002
9788882464356
“Sulle scogliere di marmo” è la prova che ci si può prendere gioco dei regimi con intelligenza, preferendo la letteratura per raccontare ai cittadini e ai letterati che si deve resistere alle ingiustizie e si deve fronteggiare con coraggio ogni rovescio della sorte; è la storia della trasformazione d'una terra libera, democratica e operosa, e d'un popolo innamorato della natura, in un regime militare, volgare e prepotente. Apparve in Germania nel 1939, provocando, tutto sommato molto apertamente, il nazismo; non è più scomparso dalla storia della letteratura occidentale. È un bene.
Nell'incipit, si piangono la libertà e la pace perdute: “Voi tutti conoscete la selvaggia tristezza che suscita il rammemorare il tempo felice: esso è irrevocabilmente trascorso, e ne siamo divisi in modo spietato più che da quale si sia lontananza di luoghi. Le immagini risorgono, più ancora allettanti nell'alone del ricordo, e vi ripensiamo come al corpo di una donna amata, che morta riposa nella profonda terra e che simile a un miraggio riappare, circonfusa di spirituale splendore, suscitando in noi un brivido di sgomento. Sempre di nuovo ritroviamo negli affannosi sogni il passato, in ogni suo aspetto, e come ciechi brancoliamo verso di esso”.
Il narratore ricorda e racconta degli anni in cui lui e il suo clan vivevano nella Grande Marina, preoccupati soltanto dalla crescente fortuna del Forestaro; erano gli anni in cui le Scogliere di Marmo s'innalzavano “risplendendo alla luce lunare” (p. 7), e lui e i suoi vivevano, giorno per giorno, nella “severa ritiratezza” del loro Eremo.
Al termine delle giornate di lavoro, lui e suo fratello Ottone parlavano di libri, e di cultura: “giocavamo con le quisquilie del sapere e con citazioni insolite e paradossali, e in questo gioco venivano a proposito le legioni dei nostri silenziosi schiavi, ben rilegati in pergamena o in pelle” (p. 14). Intanto, studiavano le piante; cominciando, “secondo l'ordine antico nelle cose dello spirito, dagli esercizi del respiro e dall'imporci un regime nella nutrizione” (p. 18). Questo sin quando non cominciarono a sentire noia; e allora presero a sognare la potenza e a fantasticare circa le forme, che “si muovono incontro a contrasto nel mortale duello della vita per riuscire alla ruina o al trionfo”: militarono in guerra al servizio dei Mauretani, ma quando combatterono fu per adempiere al loro dovere, dimenticando tutto il resto. In cuor loro, parteggiavano per quei popoli che stavano difendendo la loro libertà. Sarebbero tornati ai loro studi, presto.
Ma ecco che a spezzare gli equilibri del loro ritrovato, idilliaco mondo di pace viene l'oscura, nemica presenza del Forestaro, antico signore della Mauretania, ricchissimo e potente; i suoi uomini sono espressione di bruta forza e di crudo azionismo, e sembrano circondati da un'aura malvagia. Il Forestaro è circondato dal terrore: il narratore è convinto che la sua forza consista più in questa sua tremenda fama che in lui stesso.
“La magistrale arte del Forestaro si dimostrava nel somministrare il terrore a piccole dosi, accresciute a poco a poco, allo scopo di produrre una paralisi delle forze che gli si opponevano. Egli assumeva la parte della forza ordinatrice, in questi torbidi, che assai finemente tramava nei suoi boschi; e mentre i suoi agenti minori, entrati a far parte delle leghe della Campagna, aiutavano il diffondersi dell'anarchia, gli iniziati s'introducevano negli impieghi, nella magistratura e persino nel clero, e vi erano stimati spiriti forti, capaci di dominare la plebaglia” (p. 38).
Il Forestaro non ama nessun luogo in cui l'attività sia meditata o pensata. Non tollera artisti e intellettuali, né lavoratori che non siano rozzi e insensibili. Lui e il suo popolo stanno precipitando la società nell'ingiustizia; il mondo si scardina, i tempi si rivelano maturi per l'avvento del terrore. “L'ordine umano – medita il narratore – è simile in ciò al cosmo, che di evo in evo deve rituffarsi nell'ardente caos, onde risorgere rinnovellato” (p. 45).
Chiosa Quirino Principe nell'introduzione: “Il Forestaro è peggio che crudele: è plebeo, volgare ed escluso dalla Kultur, e della volgarità possiede i caratteri fondamentali. Infatti, è astuto, intimidatore, ama lo spionaggio, è invadente e ha in sé il talento del demagogo. La demagogia è, per Jünger, il più odioso tra i connotati della storia” (pp. VIII-IX).
Vengono quindi i giorni della desolazione, della debolezza e della distruzione; EJ si concede una delle molte visionarie descrizioni di questo romanzo breve: “Avveniva a noi di osservare che i giorni nei quali ci coglieva lo spleen erano di nebbia e quando il paesaggio perdeva il suo viso sereno. I vapori allora salivano dai boschi come da volgari cucine e mareggiavano in ampie distese sulla Campagna, rigurgitando contro le Scogliere di Marmo e quasi fluendo, al sorgere del sole, come lenti fiumi giù per la vallata, presto ricoprendo di bianca nebbia anche le guglie delle cattedrali” (p. 60). S'avvicinava lo scontro. E il narratore e suo fratello, sostenuti da un frate, Padre Ladre, e da un coraggioso pastore, Belovar, organizzano così una resistenza alla ferocia delle truppe del Forestaro. Hitler – proviamo a chiamarlo col suo nome – risponde con crudeltà e cattiveria. Ma noi ci fermiamo qui; il resto è letteratura, in questo caso, non storia.
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Scriveva Manuela Bernardi: “La violenza, la crudeltà e l’insensatezza sembrano dominare in un mondo – quello nazionalsocialista – che voleva porsi come alternativo al vecchio ed invece si rivela come il regressivo ritorno ad un passato da lungo tempo dimenticato: un passato ancestrale che appare in tutto il suo retaggio di dolore e di sangue. Il regime nazionalsocialista ben presto trasformerà la Germania in quello che Jünger definirà un moderno 'scannatoio' (…)”. Con questo libro, lo scrittore malediva il suo presente: mostrando quanto esso avesse saputo tradire il sacrificio dei suoi concittadini nella Prima Guerra Mondiale, e rivelando quanto lui fosse determinato a rovesciare l'orrendo e disumano regime nazista. Invano.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 - Wilflingen, 1998), scrittore e filosofo tedesco. Esordì pubblicando “Nelle tempeste d'acciaio” nel 1920. Studiò Filosofia e Scienze Naturali a Lipsia.
Ernst Jünger, “Sulle scogliere di marmo”, Guanda, Parma, 1995. Traduzione di Alessandro Pellegrini. Introduzione di Quirino Principe. Collana “Prosa Contemporanea”.
Prima edizione: “Auf den Marmorklippen”, 1939. IT: Mondadori, 1942.
Approfondimento in rete: WIKI It
Gianfranco Franchi, novembre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.