Nutrimenti
2011
9788865941294
2012. L'artista romano Filippo Tuena, cinquantanovenne, pubblica la sua prima raccolta di racconti, frammenti, romanzi mancati: “Stranieri alla terra” [Nutrimenti, collana “Greenwich”] è un quaderno di narrativa periodicamente puntinato da fotografie diegetiche, come mastro Sebald insegna, e come Tuena già aveva ottimamente sperimentato nelle sue più recenti pubblicazioni, vale a dire “Le variazioni Reinach” [2005] e “Ultimo parallelo” [2007].
Nella “Nota dell'autore”, in appendice, Tuena spiega che questi racconti “rappresentano il mio lavoro sulla scrittura in questi anni di apparente silenzio o di disinteresse per la sua condivisione. Se li pubblico è perché quel sentimento s'è attenuato sostituendosi a esso il desiderio di mettersi alla prova. Rappresentano altresì una privata riflessione sul mestiere del narrare e sulle infinite possibilità di svolgerlo”.
Il testo è strutturato in due parti: “Nomi e destini” e “Lo scrittore è un avventuriero innamorato”. Nella prima, si trovano le storie degli altri: un frammento onirico, tributo a Hemingway; due storie di morte e d'arte [Géricault e Bix Beiderbecke] e una di agonia e di pace [generale “Stonewall” Jackson]; nella seconda parte, invece, ecco tre episodi autobiografici, uno lirico e sintetico [“Lo scrittore è un avventuriero innamorato”], uno diaristico e scabro [“Il viaggio del motociclista”], l'altro manierista e allegorico [“San Lorenzo (alle porte degli inferi)”].
Cominciamo dalla parte prima. “Ritratto dello scrittore come toro” è un esercizio di stile dedicato a Hemingway, a un distratto Hemingway, fantasma smemorato. È una meditazione sulla morte: metafora scelta, la suerte suprema della corrida – quando il matador ammazza il toro restando immobile, aspettando che il toro venga incontro al suo destino: a un destino scelto volontariamente. “Via gloriosa per entrambi”, scrive Tuena. Incipit vita nova.
“La zattera dei Géricault (di padre in figlio)” è un racconto lungo, romanzo mancato, dedicato a una delle passioni di Tuena: il pittore francese Géricault era, infatti, stato già marginalmente omaggiato dall'artista svizzero-romano, proprio nell'esordio, “Lo sguardo della paura” [1991], con un paio di riferimenti diretti.
Questo robusto frammento è un ritratto del pittore da giovane, un giovane dissoluto, antitesi della dignità ieratica del vecchio Ingres, nei giorni di Roma; un artistello alto, magro ed elegante che di fronte alla meravigliosa Roma di allora, “statue classiche, architetture dirute, campagna assolata”, preferisce piuttosto ritrarre “cavalli che sgroppano e buoi alla merca” [p. 33]. E poi è un ritratto d'un pittore in cerca d'un'identità, e d'uno stile, fragilissimo – amante d'una donna che non si poteva amare, padre d'un figlio dovuto abbandonare: tanto rimorso, forse nessun rimpianto. Icona vivente del suo caso avverso, quel bambino, quell'amore. E poi è la storia d'un naufragio diventato la “Zattera della Medusa”: il naufragio d'una nave di derelitti e di rifiuti dell'Occidente, destinati a vivere tra sabbie e deserto, finiti per massacrare i superstiti più deboli: un naufragio allegorico dell'epoca che stava vivendo una nazione. E infine è la storia d'una sequenza di ritratti di pazzi, alienati e monomaniaci, “su un fondo neutro, scurissimo, illuminato il volto da una luce fortissima, frontale” [p. 55]; e della fine dei giorni d'uno di quegli alienati, lo sfortunato erede Géricault junior, “esule di professione o esiliato per destino”, rifiutato dal mondo, inadeguato e imbelle.
Terzo pezzo è “Le ultime parole del generale Thomas 'Stonewall' Jackson”, composto da brani originali e da libere traduzioni dei diari del dottor McGuire e della vedova Mary Anna Jackson, assemblate con buona personalità. È l'omaggio a un combattente, capo d'una leggendaria brigata, una brigata che avanzava come un muro di pietra, nei giorni della Guerra Civile statunitense; caduto dopo giorni di lotta contro le sue ferite, domandando al buon dio “Let us cross over the river, and rest under the shade of the trees”.
Quarto pezzo è un altro racconto lungo, jazzato: “La traversata notturna di Manhattan (Call me Bix)”. Tuena lo racconta come “opera sulle probabilità. Tecnicamente un esercizio sull'epifania letteraria. Sentimentalmente un omaggio al musicista che mi ha insegnato a raccontare storie” [p. 346], vale a dire il cornettista Bix Beiderbecke. È sostanzialmente un ibrido tra il canovaccio di una sceneggiatura e uno stravagante prosimetro, naturalmente cinematografico, particolarmente drammatico: è un'altra variazione sul tema del doloroso avvicinarsi della fine.
Veniamo alla seconda parte. Il primo dei tre pannelli è “Lo scrittore è un avventuriero innamorato”: nelle parole di Tuena, “una breve composizione didascalica sullo scrivere”, in versi. È una celebrazione dello stile, e della dedizione alla letteratura. Un passaggio.
Il secondo pannello è “Il viaggio del motociclista (esercizio di memoria)”: l'artista spiega che è composto da “una serie di brevi pezzi scritti negli ultimi sedici anni”. È un nobile e romantico viaggio all'indietro: nella memoria, e in moto, perché “ogni volta che viaggia, mentre la moto va verso la meta, il pensiero procede all'indietro, verso il passato” [p. 244]; e forse perché “un motociclista ha potere sul tempo e sullo spazio e può interrompere in ogni momento la sua corsa, anche se ha il sospetto che sia il tempo ad avere su di lui potere assoluto” [p. 228].
Apro una dovuta parentesi tuena: quindici anni prima di “Stranieri alla terra”, nel romanzo “Cacciatori di notte”, lo scrittore aveva già accennato al suo grande amore per la moto, in un passo sin qua poco preso in considerazione: “Treno e motocicletta sono gli unici mezzi che mi fanno apprezzare i viaggi […]. Come il sognatore di Conrad, il motociclista è un essere solitario. Esiste altra cura che non sia l'attento ascolto del rombo del motore, la valutazione dell'aderenza dell'asfalto che in quel momento si percorre, la pericolosità della curva che si scorge in fondo al rettilineo? Solitudine e immanenza. Hic et nunc. Questo suscita un viaggio in motocicletta” [Tuena, “Cacciatore di notte”, 1997; pp. 12-13.].
Torniamo al “Viaggio del motociclista” di “Stranieri alla terra”. È un ritorno “a casa”, e per “casa” Tuena non può che intendere Roma: milanese soltanto dal 1996, figlio di un antiquario elvetico-quirita di via Margutta, l'ex pariolino Tuena aveva già dedicato qualche pagina alla vecchia capitale nel romanzo storico e partigiano “Tutti i sognatori” [Fazi, 1999] e naturalmente nella michelangiolesca, superba biografia “La grande ombra” [Fazi, 2001]. Questo ritorno a casa fa male, perché passa per il ricordo della malattia che ha ammazzato il padre, per la memoria della consunzione di suo padre, per l'associazione tra la consunzione di suo padre e quella della povera famiglia Reinach, nei campi di sterminio; e per ricordi di una Roma estranea alla cattiveria immonda del cemento, per i greggi che pascolavano dalle parti dell'Acqua Acetosa, per le ville di campagna, e per le tante piccole private cose di una famiglia borghese, molto amata e molto rispettata, e per il negozio di famiglia infine chiuso, e per un saluto alla polvere del passato, allo spirito del passato, alle casse delle ossa di famiglia, al Verano.
Chiude il libro “San Lorenzo (alle porte degli inferi)”: nelle parole dell'artista, “la visita al complesso di san Lorenzo a Firenze compone la mia passione per l'arte di Michelangelo con l'aspirazione, frustrante, di comprenderla e farla mia”. Carola Susani, in una recensione apparsa su «Gli Altri», ha così commentato: “L'arte si racconta per quello che davvero è, un assemblaggio di fallimenti e tradimenti rispetto alla visione, alla precisione soltanto immaginata della forma. Non si parla che di questo, nel libro, di morte e di forma. Persino della tecnica del calco di gesso sul viso dei morti, sul viso di un morto che è Michelangelo”.
O forse, più probabilmente, è il padre.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Filippo Maria Tuena (Roma, 1953), scrittore e antiquario italiano, laureato in Storia dell'Arte alla Sapienza.
Filippo Tuena, “Stranieri alla terra”, Nutrimenti, Roma, 2012. ISBN: 9788865941294.
Approfondimento in rete: Oblique + Wiki it + Nazione Indiana .
Gianfranco Franchi, Aprile 2013.
Prima pubblicazione: Lankelot.
“La complicazione non si scaccia. Occorre affrontarla sapendo che ci schiaccerà comunque. Alla fine, è proprio dal conflitto tra l'eleganza e la complicazione che il libro trova forma. Non è più quello che ti aspettavi prima che comparisse la complicazione, ma è qualcosa. Di molto diverso. Tuttavia è qualcosa. È il massimo che puoi fare, raccontare la lotta tra l'eleganza e la complicazione. E di come la complicazione vinca inevitabilmente, stravolgendo l'idea originale” [Filippo Tuena, “Stranieri alla terra”, p. 18].
“La complicazione non si scaccia. Occorre affrontarla sapendo che ci schiaccerà comunque. Alla fine, è proprio dal conflitto tra l’eleganza e la complicazione che il libro trova forma. Non è più quello che ti aspettavi prima che comparisse la complicazione, ma è qualcosa. Di molto diverso. Tuttavia è qualcosa. È il massimo che puoi fare, raccontare la lotta tra l’eleganza e la complicazione. E di come la complicazione vinca inevitabilmente, stravolgendo l’idea originale” [Tuena, “Stranieri alla terra”].
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