Besa
2008
9788849705805
Cosa significa, per una coppia, l'impossibilità di avere un bambino? Cosa significa, nelle dinamiche delle relazioni di una coppia, la frustrazione di non poter dare alla luce un figlio? Quanto cambia la psiche di un uomo sterile – e come cambia? È possibile, infine, che un amore finisca per la sterilità dell'uno o dell'altra? Simone Consorti, letterato romano classe 1973, anima tutte queste domande nel suo (ben fatto, e sinceramente promettente) secondo romanzo, “Sterile come il tuo amore”, apparso per Besa nel 2008. L'opera è strutturata in quattro parti, raccontate a ritroso (2008-2006): con molta intelligenza, e con un pizzico di rischio, l'autore decide di alternare, nel complesso ruolo del narratore in prima persona, prima il giovane uomo e poi la giovane donna. L'impatto è vivace, potente e indovinato: Consorti riesce nell'impresa d'essere profondo e pop, comunica e condivide concetti fondanti, pesanti e complessi con grande leggerezza, con personalità e buona letterarietà.
Tutti abbiamo conosciuto una coppia di amici in sofferenza, o in angoscia, per questo problema. Purtroppo, a volte, la sterilità di lui o di lei ha determinato la fine del rapporto, e tutta una serie di strascichi nervosi, di debolezze e di fragilità nuove nelle relazioni successive. Leggendo il libro di Consorti ho pensato a tante confidenze raccolte negli anni, da uomini e da donne, e a tanti discorsi sulle adozioni, sull'inseminazione artificiale, sul senso dell'esistenza. Ho pensato a quanto siano e sembrino sempre irrisolti, spinosi, incredibilmente difficili, a dispetto della triste linearità della situazione. C'una componente di difficoltà nell'accettazione di una realtà, di un dato di fatto, che pure potrebbe – dovrebbe – determinare tutta una serie di azioni, di prese di coscienza, di cambiamenti radicali e naturali. E ho ricordato bene quanto mi accadde da ragazzino, quando – per un presunto varicocele – i medici erano arrivati esattamente a questa conclusione, con me: sterile. Lì per lì, giovanotto, non nascondo che ne ero anche abbastanza entusiasta, per tutta una serie di stupidi motivi che si possono facilmente prevedere. Negli anni, adesso me ne accorgo, ché m'avvicino ai 32, ho capito che se quella diagnosi fosse stata giusta ne avrei sofferto parecchio. Cosa siamo senza la prospettiva di una futura generazione figlia anche nostra? E che amore è, quello che sentiamo per un'altra persona, se non possiamo sognare – almeno, sognare – di avere un bambino? Sempre amore rimane, dico io. Forse c'è un pizzico di solitudine in più, ma c'è la possibilità di riversare amore, generosità e sostegno – in generale – sui nipotini, o sui figli dei nostri amici. Tutti abbiamo bisogno di tutti: sempre. La solidarietà è il sentimento e il motore principe di ogni interazione sociale. È paradossale, ma concentrarsi solo sui propri figli può essere un atto di egoismo, di prepotenza. La sterilità potrebbe aiutarci a capirlo, costringendoci a pensare prima ai figli degli altri e infine, e soltanto infine, a noi stessi. Magra e semplice consolazione, retorica forse: ma evidente.
Veniamo al libro di SC. Protagonisti sono Francesco, 35 anni, e Giorgia, 36. Nel 2008 (prima parte), Francesco è pienamente consapevole della propria sterilità, da più di un anno. Lei sembrava comprensiva, tuttavia nel tempo hanno cominciato a collezionare addii: “C'è chi colleziona francobolli, chi figurine. Io con Giorgia, in questi due anni, ho collezionato solo addii. Il più lungo è durato cinque settimane. All'inizio, per riappacificarmi, bastava scomodare mia sorella (…) In seguito la cosa è diventata sempre più difficile” (p. 13). Francesco è un bibliotecario che scrive racconti: tende a lasciarli incompiuti, come tante altre cose in vita sua. Consorti scrive che ha una “necropoli di racconti” (bella immagine). Lei è un architetto, cattolica praticante (incubi messianici inclusi: cfr. p. 44) e tuttavia ben disponibile ad affrontare tecniche di inseminazione artificiale pur di avere dei bambini; non c'è niente da fare, Francesco ha “spermatozoi pigri” - pigri come lui, suggerisce – e alle spalle qualche noia legata all'impotenza, in un altro momento della sua vita. Spesso, lui e Giorgia si domandano, sulla falsariga di una ballata pop italiana, “Cosa sei disposto a perdere” per amore: la risposta finale è “il controllo” (p. 35). Si direbbe stiano per perdere il senso del loro amore, e della loro reciproca appartenenza; avevano superato noie religiose (il matrimonio in chiesa che voleva la famiglia di lei), politiche (lui è un ex comunista, si emoziona ascoltando Guccini: e che palle, no? A voja), domestiche (lui non ha manualità), lavorative (la scrittura come terzo incomodo: lui è un autore maniacale, cfr. p. 92) tutto perché potesse nascere un futuro diverso, da plasmare assieme; per Giorgia, quel futuro dipendeva solo e soltanto dal bambino. Al figlio – ai figli, ipotetici – pensa sempre, è ossessionata: e così, “accoppiamoci” diventa una parola dal significato duplice e ambiguo. E cioè – facciamo l'amore, uccidiamoci. Ma attenzione: questo è un romanzo tragicomico, non drammatico. Consorti prova a stemperare il dolore e la frustrazione della coppia con qualche boutade, con buone dosi di autoironia e via dicendo. Ci sono sprazzi davvero ben fatti, in questo senso. Qualche esempio: “La conosci la teoria di Valery del verso gratis? Secondo lui, Dio ti regalerebbe un verso e quello, se è bello, ti obbligherebbe a creare subito il resto, anche a costo di dimenticarti di sparecchiare, perdere di vista il gatto e far spegnere il caminetto. È il mistero della creazione” - sospira lui. E lei, subito, trasla: “Mi piacerebbe permutare questo surrogato di creazione con una vera, in carne e ossa, capace di respirare” (p. 84).
Ancora passi sull'ossessione: “La sua Peugeot è knock out. Presto dovrà cambiarla. Magari sulla nuova ci attacchiamo l'adesivo Bimbo a bordo. Quello mi ha sempre fatto invidia, anche se, come cartello, non ne ho mai capito il senso. Che utilità può avere per gli altri automobilisti sapere che sulla macchina davanti ci sono dei bambini?” (p. 55). Ecco.
Infine, una chicca. Consorti usa la parola “prossemica” come aggettivo. Scrive che lei è molto prossemica, perché al Sud sono abituati a toccarsi. Cos'è la prossemica? http://it.wikipedia.org/wiki/Prossemica - è una disciplina nata nel 1963. Curiosa scelta lessicale. Forse, in quella parola si nasconde una delle vere chiavi di lettura – e forse, una delle segrete genesi – di questo romanzo. Da leggere.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Simone Consorti (Roma, 1973), letterato e scrittore italiano. Laureato in Lettere con una tesi sui lapsus freudiani in Pirandello, insegna a Pomezia. Ha esordito pubblicando “L’uomo che scrive sull’acqua aiuto” per Baldini nel 1999 (Premio Letterario Euroclub Linus 1999).
Simone Consorti, “Sterile come il tuo amore”, Besa, Lecce 2008. Collana Plenilunio, 2. (Nuove Lune, 16)
Gianfranco Franchi, luglio 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.