Sguardi

Sguardi Book Cover Sguardi
Claudio Martini
Raggio Verde
2004

L’esordio di Claudio Martini, narratore classe 1954, psicologo e ricercatore, è una raccolta di prose decisamente promettente: perché l’artista dimostra sensibilità, intelligenza, coscienza; e rivela, con franca irriverenza, eclettismo ed eterogeneità. Scrive Invitto nella prefazione: “Il protagonista è frantumato, come il suo racconto, in caleidoscopio: non c’è ‘il’ soggetto, ma il soggetto che agisce nei racconti, e che dà l’impressione di una piena continuità senza soluzioni, ma è, invece, un personaggio diasporico”: l’io narrante frantumato e riottoso alle analogie, alle ripetizioni e alla riconoscibilità, tra l’una e l’altra prosa, è indice d’una sfrontata ribellione alla coerenza e alla coesione; aver ripartito l’opera in tre parti, “Luoghi – Paesaggi interiori”, “Ordinarie Patologie”, “Frammenti”, consente di riconoscere al limite affinità tematiche, ma non permette di salutare un io monolitico e totemico come padre dell’opera. Il grande narratore è burattinaio d’anime: e simulatore d’esistenze. Immaginiamo, allora, che quando Martini si libererà dalla struttura singultica e caotica delle prose assemblate, per ideare e architettare un romanzo, saprà dar vita a una colorata galleria di creature letterarie. Frattanto, possiamo accostarci a questa edizione delle sue prime opere con l’entusiasmo e la curiosità che sempre accompagna l’analisi e l’interiorizzazione dei testi d’un esordiente; salutando, in prima istanza, lo spirito della prima parte del libro come embrione d’una narrativa psicologica che potrebbe – ribadisco, è un auspicio – rinnovare la tradizione di un “Male Oscuro” bertiano, o d’una “Coscienza di Zeno” sveviana, d’una “Cognizione del dolore” gaddiana o d’una “Dissipatio Humani Generis” morselliana. Non solo per via della formazione e dell’attitudine all’interiorizzazione e all’agnizione della coscienza dell’autore: per via di evidenti e trasparenti rivelazioni del sentiero di ricerca di Martini.

Il primo testo, in questo senso, è emblematico: il narratore scrive per ricordare (p. 17): canta questi luoghi della sua esistenza sentendo “un piccolo, percettibile dolore. Rivedere è celebrare un funerale differito, misurare un segno meno, cogliere distanze che si muovono in senso opposto ai tuoi impulsi” (p. 17): è il dolore del ritorno, in senso etimologico: la nostalgia. I luoghi narrati non appartengono al narratore, ma esistono in lui. Del resto, la consapevolezza dell’origine del suo status, della sua condizione di “non integrato”, ha radice nella sua nascita. Il primo luogo è stato l’utero materno, “da cui sono stato strappato con un forcipe che mi ha frantumato il braccio destro in tre punti, leso la fronte e impedito di morire di asfissia. Da lì è iniziata una deriva, un abbandono che il passo del tempo ha solo reso più stabile. Sentirsi estraneo, straniero, fuori posto, fuori luogo” (p. 15). Questa nitida percezione di sé è fonte delle narrazioni della prima parte del testo.

Martini parla di Torino, città crudele, fredda, noiosa e maledetta, dove l’ozio è privilegio degli emarginati, e il rifiuto è la prima sensazione d’ogni abitante: città che ospita, e non sa amare, e non vuole essere amata; di Roma, dove “grumi di ribellione bagnano vecchie pietre”, della chimera vinta e sublimata negli anni vissuti in una “porzione d’America”: per illuminazioni, intervalli, sospensioni nella coscienza.

Uno dei protagonisti dei suoi racconti, Antonio Nasar, vive eludendo le persone, liberando le piante dalle erbacce: in cerca d’una liberazione. Questa ricerca di liberazione, di indipendenza, di autonomia è anche tendenza a una liberazione da quella memoria che sa e può essere zavorra, e pretende solitudine, rimpianto, isolamento. E allora di Praga, altrove, rimane una passeggiata per la città vecchia, Stare Mesto, sulle tracce d’una delle case di Kafka; d’Edimburgo, una camminata senza meta, del Messico conversazioni tenute da forestiero nella nuova patria. Fino a poter sentire questo: “Mi reco in riva al lago e mi guardo intorno. Sto tre ore buone in silenzio a fissare il gioco delle correnti.

Sono arrivato alla mia meta, alla fine. Qui posso riposare, bagnarmi nella laguna, andare in giro in mezzo a campi di mais dell’altezza di un uomo. Posso ascendere sulle pendici dei vulcani spenti. Visitare i villaggi indigeni dell’interno ed ubriacarmi di aguardiente in osterie che assomigliano ad anfratti ricavati nella pietra. Posso finalmente lasciare che i giorni passino, che il vecchio anno ceda il passo al nuovo, senza l’esigenza di percorrere altre strade, di spostarmi nuovamente alla ricerca di un’idea” (p. 47).

La seconda parte, “Ordinarie patologie”, è una galleria gericaultiana di alienazioni, estraniamento, ossessività: personaggi che discutono del senso e del significato dell’ordine, dell’appartenenza, del genio e della solitudine (kafkiana); qualcuno si sente “sepolto dai ricordi” (p. 55), e allora potremo ammettere che il primo topos dell’opera è la memoria, e il rapporto che lega l’io all’oblio; alla pretesa catarsi dalla responsabilità della coscienza d’essere, e d’essere stato, e d’aver vissuto. Incontriamo misantropi, visionari desiderosi di tracciare una “visione apocrifa dell’evoluzione del pianeta” (p. 57); e spunta, a un tratto, il nome del continente perduto, Atlantide. Domandiamoci quindi quanto possa pesare, nel contesto d’un’analisi dell’opera come eterogenea e caotica variazione letteraria sul tema della memoria, l’epifania di quello che per qualcuno è ricordo ancestrale della specie, e per altri leggenda letteraria; tenderei a non sottovalutare, simbolicamente, l’apparizione di Atlantide – pure episodica – nel contesto di quest’opera frammentaria.

La terza parte, “Frammenti”, è un laboratorio: l’autore sperimenta altre tecniche di narrazione, ibridando tematiche contemporanee (apprezzabile la presenza della rete) con prose liriche che sembrano a un passo dall’adozione del prosimetro, a tratti. Onestamente, saluterei in questa sezione un “contenitore” del magma dell’immaginazione e della sensibilità dell’autore; è eccessivamente aliena alla linearità per poter essere sondata.

L’aspetto promettente di queste prose è nella tendenza all’introspezione, nella schietta adozione della narrazione in prima persona, nella coscienza di sé dei personaggi, nella facilità di rappresentare vezzi, peculiarità, aporie e cicatrici esistenziali dello spirito delle creature letterarie, e – infine – nell’attitudine ad una descrizione impressionistica della realtà; per flash, in flashback.

Un quaderno promettente d’un narratore che sembra destinato a scandagliare gli abissi dell’anima, prossimo ad affrontare i guardiani della memoria: la visionarietà, e la capacità di sbarazzarsi dei condizionamenti e delle menzogne dei ruoli, dei contesti e delle ideologie, potrà sostenerlo nella sua ricerca.

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PAROLE D’AUTORE (di Claudio Martini)

«Franco, ho letto la recensione e mi sembra interessante, soprattutto  laddove cogli la dimensione della memoria, come asse portante del libro: “primo topos dell'opera è la memoria e il rapporto che lega l'io all'oblio”. In effetti i miei testi sono pervasi dalla necessità di scrivere per ricordare (non è essenziale sapere se aspetti della mia vita o  frammenti di fantasia proiettati sui personaggi). E anche la recensione della prima parte mi sembra buona, ad eccezione del passaggio, riferito a “Città del Messico” in cui dici  “conversazioni tenute da forestiero nella nuova patria”. Il pezzo a cui alludi è stato scritto quando dalla “nuova patria” mi ero staccato da tempo, e dunque è una città vista attraverso le lenti del disincanto. Ma forse sono io a non aver capito bene cosa volessi dire con la frase sopra citata. La parte delle “Patologie” è interessante, ma parziale, come se tu ti fossi fermato ai primi due racconti (ordine e solitudine) e avessi deciso  di non proseguire la lettura. Si tratta di una galleria di personaggi accomunati dall'incapacità di vivere la loro condizione presente, se non mediante la strutturazione di una modalità perturbata di rapporto con la realtà. La dipendenza dal gioco telematico, il delirio ossessivo, gli spunti persecutori del protagonista che  arriva a detestare l’universo intero, le urla proiettate all’esterno come riflesso di “voci” interne faticosamente tenute a freno, ne costituiscono gli aspetti salienti. Infine  i “Frammenti”. Tu scrivi: “La terza parte è un laboratorio: l’autore sperimenta altre tecniche di narrazione, ibridando tematiche contemporanee (apprezzabile la presenza della rete) con prose liriche che sembrano a un passo dall’adozione del prosimetro, a tratti”.  Sono d’accordo solo in parte. La presenza della rete mi sembra marginale in questa parte del libro (mentre non lo è in “Flame sperimentale 1 e 2”), le tecniche di narrazione “diverse” sono solo il “flusso” di “Notturno” e “Cazzate” e  di prose liriche (ad eccezione di “Ritorni”) non ne scorgo. I frammenti sono eterogenei proprio per la forma narrativa adottata, sono segmenti di discorso. Mi sembra che il baricentro di questa parte oscilli tra l’apertura alla speranza di alcuni testi e la chiusura  funerea di pezzi come “Cria cuervos”, “Scusa” e “Delete”. Hai ragione, tuttavia, quando affermi che è la parte più “inafferrabile” del libro. In ogni caso, la lettura d’insieme mi sembra buona, approfondita e lusinghiera, anche se i paragoni con Svevo e Gadda mi sembrano eccessivi. Servono a ampliare l’“io” dell’autore e a dimostrare la competenza del critico, ma mi appaiono abbastanza  fuori misura» (Claudio Martini, 29 ottobre 2004)

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Claudio Martini (Taranto, 1954) psicologo e scrittore italiano. Tra il 1978 e il 1979 ha operato nel servizio socio-psico-pedagogico rivolto ai minori disabili presso l’Unità Sanitaria del Casentino (Arezzo). È stato coordinatore della ricerca e docente ordinario di Psicologia dello Sviluppo, Consulenza Educativa e Metodologia della Ricerca Psicologica nella Facoltà di Psicologia dell’Università di Guadanajato (Messico) tra 1981 e 1984. Rientrato in Italia, ha operato nell’ambito della ricerca, della formazione e della supervisione tra 1986 e 1993. Dal 1993 è dirigente psicologo a Torino, presso l’Unità Operativa Autonoma Tossicodipendenze.

Claudio Martini, “Sguardi”, Il Raggio Verde, Lecce 2004. Prefazione di Giovanni Invitto. In appendice, appare la completa bibliografia scientifica e letteraria dell’autore.

Gianfranco Franchi, ottobre 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.