Settentrione

Settentrione Book Cover Settentrione
Louis Calaferte
Neri Pozza
2006
9788854501379

Può una scrittura d'un romanzo sostanzialmente senza trama – uno straordinario fiume in piena di considerazioni, emozioni, battute smozzicate, introspezione infinita, scopate e angoscia – impressionare quasi fosse una storia ben fatta? Questo libro è un'allucinazione di solitudine, sesso e letterarietà. È atipico, ma non unico – abbiamo letto qualcosa del genere, prima e dopo "Settentrione". Devo dire che non mi interessa la questione dell'originalità. Mi interessa la capacità di inabissarsi nella psiche di chi era stato un vagabondo spiantato, un mantenuto, un operaio che sognava d'essere scrittore, uno che scopava per ritrovare quel Dio che nessuno vede, e tutti dicono di conoscere. Mi interessa perché è un inabissarsi credibile. Calaferte sembra scrivere sbudellandosi. Sembra scrivere facendosi a pezzi e facendo a pezzi ogni esperienza, forse soltanto per tentare di capirla. Sembra uno che ha voluto giocare il gioco della scrittura prima d'accorgersi a cosa potesse portare. Una volta scoperto il traguardo, vorrebbe tornare indietro ma non può. No, non si può più. Non è questione di vigliaccheria o di coraggio. È qualcosa che somiglia molto alla predestinazione.

"Giaccio a terra, inerte, sul catrame intriso di sangue. La menzogna spunta da ciascuna delle mie narici. Un rametto di cicuta che porta a mo' di fiori i corpi morti dei feti che non ho voluto tenere. Le mie viscere sparse sono immerse in uno sciroppo lacrimale. Ho pianto dagli occhi degli altri tutto il male che ho fatto e tutto si ritrova per opprimermi in questa strada deserta con i miei morti innumerevoli. Guardi il lavoro di scavo che la putrefazione ha già fatto su di me. Se non chiudo mai le palpebre è perché sono bucate da colpi di spine. I miei occhi possono rotolare sul tavolo da un momento all'altro" ("Settentrione", p. 37).

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"Settentrione" ("Septentrion", 1963; IT, 2006) uscì in Francia quasi cinquant'anni fa e fu subito ritirato dal mercato, per oscenità: pornografico, blasfemo, radicale, aveva offeso la sensibilità e la moralità del tempo. Ventuno anni più tardi potè tornare in libreria. Fu subito caso letterario. Altri ventidue anni e finalmente il romanzo è arrivato anche dalle nostre parti. Si vede che noi italiani abbiamo bisogno della differita, per interiorizzare certe cose.

Leggere Calaferte è una soddisfazione per quei cultori di "scrittura della scrittura", ossessa e autoreferenziale, cruda e disperata, che negli anni hanno saputo trovare pace leggendo prima Cèline e poi Dante Virgili, nutrendosi per intervalli di Welsh e del primo Houellebecq, malato di sensualità e di erotismo: è un espressionista sudicio, un affamato di impossibile coincidenza tra carne e scrittura. Un artista che parla del supremo inganno della vita e delle cose della vita, della prepotenza della mistificazione e del niente sovrano che avanza e pretende un tributo. Un pazzo che racconta quel che (fra)intende di tutto quel che succede. A partire dalla paura che si ripeta la miseria. Isolamento:

"Ricominciare cosa? I fine mese al verde, i debiti dai negozianti. Un pasto su due o su tre. La mancanza atroce di tabacco. La biancheria fetida. Gli amici o i conoscenti da cui batter cassa. La corsa all'impiego. Il vaglio delle inserzioni. Curriculum. Richieste di assunzione. Manoscritte, per piacere. Settimana di prova. O va o non va. (Che differenza c'è?). E tutto questo per niente. Sabato pomeriggio e domenica vuoti. Un film se hai i soldi, o sennò girare senza meta. Per ore. Passare di strada in viale, le mani in tasca, le fette indolenzite, e a volte nemmeno una cicca per tirarti su il morale, nemmeno i pochi spiccioli per sedersi a un bar all'aperto. Vedere sfilare gli altri sotto il naso. Solitari. O a due a due. Innamorati. O con la famiglia, i marmocchi che mugugnano, che si fanno tirare" (p. 136)

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Incipit: memorabile. "In principio era il Sesso. Salvifico. Carico d'immortalità. C'è la Bestia. Eroica. Possente. E al di là della Bestia non c'è niente. Niente se non Dio stesso. Magnifico e ingombrante. Col suo occhio di ghiaccio. Tondo. Statico. Smisuratamente profondo. Fisso fino all'ipnosi. Tragico sguardo d'uccello. Ardente e crudele. Impenetrabile nella sua indifferenza. Puntato verso l'infinito dove si decide il tutto. Il mondo si schiude come un enorme utero in fiamme. Il mondo è femmina, come la Creazione. È ruffiano, impudico, come la femmina. Padre. Figlio. Spirito. Triangolo sacro del pube. Il sesso re. Fame ovunque. Agguantare. Prendere. Godere" (p. 11).

E in questo nulla la preoccupazione principale, giorno dopo giorno, è "fare rotta verso un punto", non importa che sia preciso o meno, importa che esista, almeno come idea. Calaferte avanza così, nella narrazione: prepotente, massimalista ed esistenzialista. Parla fondamentalmente di letteratura e solitudine, sulle prime – sono le due parole che più lo hanno incuriosito, quando le ha sentite per la prima volta – e della sua formazione esistenziale e sociale; operaio generico, poverissimo, s'era abbandonato alla lettura (e all'idolatria degli scrittori) sognando di plasmare un futuro diverso: di non sentirsi più fallito. Sentiero primo è stato ritrovarsi a scrivere mantenuto da una donna di qualche anno più grande, Nora. Una straniera. Vedrete a quale prezzo.

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Soffocante, pieno di personalità, crudo quanto basta – a un passo dalla cattiveria, e dalla morbosità – "Settentrione" è narrativa da maneggiare e interiorizzare con cura. Mi sarebbe piaciuto leggerlo qualche anno fa; oppure, in un momento diverso. In questo momento tutta questa intensità e questa onestà e queste allucinazioni sono state quasi fastidiose, mi sembravano a tratti un artificio, eppure sono convinto non lo fossero affatto – almeno non sempre. Non del tutto.

Il libro andrebbe idealmente abbinato a una (due?) bottiglie.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Louis Calaferte (Torino, 1928 – Dijon, 1994), scrittore francese. Ha esordito pubblicando "Requiem des Innocents" nel 1952.

Louis Calaferte, “Settentrione”, Neri Pozza, Vicenza 2006. Traduzione di Francesco Bruno.

Prima edizione: “Septentrion”, 1963. 

Gianfranco Franchi, "Lankelot". Maggio 2010.

Grazie a Raphaël per la segnalazione.