Sesso e carattere

Sesso e carattere Book Cover Sesso e carattere
Otto Weininger
Mimesis
2012
9788857505640

Umanità suggerisce di avere rispetto nei confronti del libro di un suicida. Il ventitreenne Otto Weininger, poco dopo aver ultimato la revisione delle bozze della sua tesi di laurea, il 3 ottobre del 1903, di ritorno da un viaggio in Italia, affittò una stanza nella stessa casa in cui era morto Beethoven, uno dei suoi idoli; poche ore dopo, si sparò al cuore. Era un giovane dai grandi talenti letterari. Questo libro prova che abbiamo perduto un potenziale grande romanziere – forse un poeta; ma al contempo conforta sapere che abbiamo evitato di leggere altre degenerazioni filosofiche cerebrali e misogine.

Chiuso per l’ultima volta il volume, rimane viva nella mente una questione chiave: o Weininger ha, miracolosamente, inteso il senso e rivelato il segreto della differenza tra uomini e donne; e allora questo senso e questo segreto sono così disgraziati, stupidi e infami da spingere al rifiuto dell’esistenza (lineare quindi appare un suicidio, o un ritiro ascetico): oppure, questo saggio dimostra come e quanto chi è figlio del dogmatismo, e si trova quindi costretto a scrivere parole letterarie, stravaganti e misteriose e metamorfiche come “morale” e “dio” con le lettere maiuscole, sia portato a parlare per categorie universali in qualsiasi contesto, e per qualsiasi concetto: “uomo”, “donna”, “anima” e via dicendo. Questo ragionare per dogmi snatura la libertà e l’intelligenza: fino alla pazzia. E dire che Weininger poteva avere meno rispetto della menzogna della verità, e avere soltanto un pizzico di disillusione, di disincanto e di prudenza in più: bastava, in altre parole, che dubitasse del peso e della condivisibilità dei significati di ogni singolo lemma per evitare di disintegrarsi. Se scrivere la parola “morale” impone la folle e suggestiva idea che una e una sola essa sia stata, nelle centinaia di popolazioni e di società che si sono succedute in Europa (non dico nel mondo), allora la pazzia è a un passo: parlare di Morale è inaccettabile. La Morale è un’invenzione creativa delle società, “consacrata” dal potere religioso e dal potere statale. Una farsa figlia della noia, della frustrazione, dell’invidia o del dolore.

Onestamente, escludo che le responsabilità del suicidio di Weininger possano essere ascritte soltanto a questa sua vocazione alle lettere maiuscole, e a tutto quel che ne consegue. La domanda che mi pongo, dopo aver letto il libro, è semplice: qual è stato l’innesco? Biografico ed esistenziale, credo: bisognerebbe avere testimonianze, documenti e prove delle sue interazioni e delle sue relazioni con la femminilità, o della sua capacità di amare una donna, per schiarire le nubi madri della fosca ossessività del suo saggio. Ebreo e antisemita, come dimostra un capitolo del testo, intossicato dalla parola razza – ancora una volta, da leggere con la R maiuscola – nutriva terrificanti pulsioni autodistruttive.

Io non intendo discutere eccessivamente del contenuto di questo libro; a suo tempo, ebbe eccellente fortuna (venticinque edizioni) e fu discusso e criticato a dovere; per quanto mi riguarda, vale oggi come pietra tombale sulla misoginia, e sull’adeguatezza d’uno studio sulle attitudini, i comportamenti e le caratteristiche degli individui strutturato fondamentalmente sulla distinzione di genere: “Sesso e carattere” è un libro che ogni essere vivente desideroso di rifiutare l’esistenza di verità assolute dovrebbe leggere. È il parossismo del dogma: un austriaco che scrive: “L’uomo è assoluto, la donna non ha anima”.

E argomenta, per quattrocento pagine, definendo la donna come creatura che vive nell’adorazione e nell’ammirazione del fallo, come oggetto e non soggetto, come sentina di vizi e debolezze, come espressione non dell’immortalità, ma dell’amoralità (naturalmente, le religioni monoteiste hanno qualche riga, nei testi sacri, a favore di questa favolosa “impurità” delle donne: male a quell’uomo che ne ha fatto dogma, e male per l’ingenuità di chi ha fede nelle chiese). E argomenta, fondandosi sul criterio della naturale “passività” della donna, sulle stupende lesbiche che hanno in sé più mascolinità delle donne, sulla splendida virilità che si legge nei tratti somatici delle donne virili e via dicendo. Fondazione scientifica delle sue battute è la natura asessuata dell’embrione, nelle prime cinque settimane di vita: ciò spiega la bisessualità originaria di ciascun individuo, e la plausibilità di forme sessuali miste – come nel mondo animale e vegetale. La differenza sessuale, a detta di Weininger, non è mai netta e completa: vi sono innumerevoli gradazioni di “uomo-donna” e “donna-uomo”; esse stabiliscono i meccanismi di attrazione sessuale, secondo criteri tradotti con grottesche formule matematiche – e non episodi riflessi estetici, come la lunghezza dei capelli (…).

Aborrisce – e all’epoca non era intelligente: oggi è diverso, parrebbe, almeno nelle metropoli italiane – il femminismo: sostiene che la vera nemica della donna sia la sua natura; e che proprio la sua natura le impedisca l’emancipazione. Riconosce due tipi di donna – naturalmente, la madre e la puttana. Ogni approfondimento e ogni commento di questa straordinaria intuizione è superfluo. La donna weiningeriana è morbosamente legata al sesso: è, per restare fedeli alla traduzione evoliana, “continuamente sessuale”; il maschio ha un istinto “eruttivo e intermittente” – chiaro segno del suo supremo distacco e della sua diversa moralità e via dicendo. La donna rivela, nelle sue frequenti opere di mediazione da mezzana, un’instancabile dedizione al sesso. Il tono è più o meno questo; le argomentazioni grette, meschine e farsesche. Il libro vorrebbe “guardare all’essenziale”, e dare sistema alle differenze tra i sessi, trattandone le relazioni. È strutturato in due parti: una biologico-psicologica, una psicologico-filosofica.

Solo un capitolo è splendido, e invito naturalmente il lettore a riscoprirlo: quello legato alle riflessioni sulla natura del genio, e sulla differenza tra talento e genialità; se riuscirete a leggerle spurgandole dal vaniloquio sessista e misogino che caratterizza – qui con minore violenza – la scrittura weiningeriana, ne godrete. Si parla d’empatia, di immedesimazione, di legione d’anime in una sola anima, di capacità d’ascolto e di osservazione e di rappresentazione. Varrebbe la pena estrapolarle definitivamente dal saggio, e affiancarle ai terribili e meravigliosi pensieri pubblicati postumi – provenienti da taccuini e lettere.

Quanto al resto – forse per la prima volta in vita mia ho pensato che la psicologia ha in sé qualcosa di sensato e di plausibile. Analizzare uno scritto come questo alla luce della biografia dell’autore rivelerà mondi e segreti meccanismi dell’intelligenza. Per noi letterati o lettori generici, è l’occasione per prendere e impacchettare copia del saggio e spedirla a casa di quelli che vengono a parlarvi di Dio, Morale, Verità, Anima e Sesso e Carattere – quasi fossero altro che concetti, tendenzialmente. Quindi: linguaggio. Quindi: menzogna.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Otto Weininger (Vienna, 1880 – Vienna, 1903), filosofo austriaco. Enfant prodige (straordinario talento negli studi filologico-letterari), poliglotta (conosceva italiano, francese, inglese, norvegese, spagnolo, greco e latino), si laureò in Filosofia presso l’Università di Vienna nel 1902. L’anno successivo la sua tesi, riveduta e ampliata, venne pubblicata con il titolo “Geschlecht und Character” (Braumüller, Wien). Titolo originario era “Eros und Psyche”. Scrisse saggi, aforismi, appunti di estetica e di simbolica, pubblicati postumi in due volumi: “Delle cose ultime” (1903) e “Taccuino” (1919).

Otto Weininger, “Sesso e carattere”, Edizioni Mediterranee, Roma, 1992. Traduzione di Julius Evola. Introduzione di Fausto Antonini.

Prima edizione: “Geschlecht und Character”, Vienna, 1903.

Bibliografia critica: Alberto Cavaglion, “Otto Weininger in Italia”, Carocci, Roma 1983.

Gianfranco Franchi, giugno 2005.

Prima pubblicazione: Lankelot.