Adelphi
1985
9788845906039
Introduce Vannini: “Il sermo è un genere letterario molto importante e ben noto al mondo cristiano: per quello latino basta ricordare i nomi di Sant’Agostino, di Gregorio Magno, di san Bernardo di Chiaravalle. I sermoni in volgare tedesco di Eckhart, che si rivolgevano prevalentemente a quell’uditorio di religiose e religiosi che ce li hanno trasmessi, hanno caratteristiche e struttura abbastanza omogenee. Eckhart parte da un versetto della Scrittura, che dà il titolo al sermone stesso, lo spiega e commenta molto liberamente, con grande vivacità e chiarezza di immagini, facendo ricorso all’allegorismo, al repertorio delle Etimologie di Isidoro di Siviglia e alle «enciclopedie» medievali, ai Padri della Chiesa e ai «maestri pagani», citati anch’essi con grande libertà e nella tacita presupposizione di un loro consenso di fondo sulle verità più importanti” (p. 14): in altre parole, come leggiamo più avanti nell’introduzione, il versetto è uno spunto per l’esposizione di una propria dottrina.
Vediamo, allora, quali possono essere riconosciute come le pietre miliari di questa esposizione: gli scritti di Johannes Eckhart tendono a essere incendiati dalla mistica bramosia d’un’unione dell’anima con Dio: unione che è più opportuno definire ritorno. Dio è uno, e non muta: è uno in se stesso. Tutto quel che ha creato, è soggetto al divenire. L’Io deve essere uno in se stesso, e una sola cosa con Dio: nulla esiste al di fuori di Dio.
Dio è negazione della negazione (p. 41). Eckhart prega che l’Uno ci aiuti a diventare una sola cosa con lui (p. 45): per questo, è fondamentale la volontà. La volontà deriva dal puro conoscere: la vita intellettuale è la vita dello Spirito. L’intelletto è quanto di più elevato l’anima possieda. Senso dell’insegnamento eckhartiano è diventare Verbo. La Parola sorge in me, indugia nella rappresentazione, viene pronunciata e voi la ricevete: ma essa permane per me, scrive il Meister. Così io sono rimasto nel Padre: testimonianza irrefutabile è quella scintilla che vive nel fondo dell’anima. Questa scintilla è qualcosa d’increato, generato da Dio, che in sé aveva le immagini originarie di tutte le creature: questa scintilla è Uno: immagine senza immagine, al di sopra dell’immagine.
Giovanni (7, 16) testimonia così le parole del Verbo: “La mia dottrina non è la mia dottrina, ma è di colui che mi ha mandato”: così, secondo Eckhart, deve comportarsi un uomo: distaccandosi dalla sua opera, dalla sua stessa vita. L’eretico dominicano predica il distacco dalla soggettività: l’Io deve abbandonare se stesso, liberarsi di tutto, rivolgendosi soltanto a Dio. È un processo da vivere in tre stadi: dapprima viene il distacco da ogni corporalità, quindi la liberazione dall’immagine, infine la conoscenza pura di Dio. Che non deve essere mediata (p. 196).
Chi vuole intendere il Verbo e seguire il Cristo, deve elevare il pensiero al di sopra di tutto quel che appartiene ai sensi: “Questo avviene quando lo Spirito santo è nell’anima: essa si eleva perché è trascinata da lui, ma quando lo Spirito santo si separa dall’anima, essa ricade giù, perché ciò che è della terra va verso il basso, mentre ciò che è di fuoco si alza verso l’alto” (p. 55). Solo lo Spirito dà vita allo Spirito.
Eckhart testimonia che Dio solo sia Verità: che la carne non deve vincere il sangue, e che il significato profondo di “venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”, sia “toglici a noi stessi” (p. 88): aiutaci a distaccarci da noi stessi e da ogni cosa, completamente (p. 91). Perché tutto quel che è creato, non è libero (p. 90). “Non solo per natura, ma anche al di là della sua natura, l’anima gioisce di tutta la gioia e di tutta la beatitudine di cui Dio stesso gioisce nella sua natura divina, che Dio ne abbia gioia o dolore; perché non v’è là che Uno, e dove è Uno è tutto, e dove è il tutto è l’Uno. È una verità certa. Dove è l’anima, è Dio, e dove è Dio, è l’anima. Se dicessi che non è così, parlerei falsamente” (p. 173).
Meister Eckhart scrisse in latino e in tedesco. Spiega Vannini, nell’introduzione: “Mentre gli scritti in latino, nati per l’insegnamento universitario, hanno un carattere necessariamente più scolastico, preoccupati di rispettare i modi e le forme della tradizione accademica e di quella specifica dell’Ordine, gli scritti in volgare, liberi da tali preoccupazioni e rivolti a un pubblico meno dotto, esprimono in modo più vivido e chiaro il pensiero dell’autore e la sua esperienza mistica” (p. 13). La critica contemporanea – prosegue lo studioso – ha diviso gli scritti volgari autentici in quattro Trattati e circa centoventi Sermoni.
L’impatto sul contemporaneo è stupefacente: le argomentazioni scintillano d’intelligenza e di fede, le ripetizioni sembrano perfettamente calibrate per interiorizzare la dottrina del Meister, il richiamo al testo sacro non sembra mai, a dispetto del “codice genetico” del sermo, artificioso o capzioso. L’esposizione è febbrile e fluida. Quel che più seduce e affascina è la fede nell’esistenza di questa scintilla divina nello spirito d’ogni essere umano: tanto che s’ha, sfogliando il libro, l’impressione che le pagine siano sul punto d’infiammarsi, per speculare quel che nel lettore vanno risvegliando. Di fronte alla fede e alla volontà, nulla è impossibile: Eckhart lo rivelava già ottocento anni fa, restituendo speranza a un’umanità infelice, e dignità a una Chiesa che, in piena cattività avignonese, già si macchiava della Santa Inquisizione e della caccia (sterminio incluso) agli eretici, e alla damnatiomemoriae delle eresie. Libro da restituire ai contemporanei.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Johannes “Meister” Eckhart (Hochheim, Turingia, 1260 circa – Colonia, 1327 o 1328). Mistico e teologo cristiano. Domenicano, passò la vita tra insegnamento e predicazione. Fu processato per eresia nel 1326.
Meister Eckhart, “Sermoni tedeschi”, Adelphi, Milano 1985. A cura di Marco Vannini.
Gianfranco Franchi, ottobre 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.
A Marina, che mi restituirà quel che ho perduto.