Lulu
2009
Amaro, pop, piccolo borghese e suburbano, “Sconclusioni” è la storia di personaggi molto malinconici, inquieti e isolati, consapevoli che c'è sempre qualcosa che stanno cercando, e che cercano sempre qualcosa che manca loro; il narratore, spesso anonimo, sembra osservarli con scontroso disincanto, e va ascoltandoli mescolando reminiscenze pop italiane e americane alle loro parole. Lui, proprio come loro, è in cerca di qualcosa; di senso, di letteratura, di sogno: la vita, intanto, scorre ferita dal lavoro, dalla burocrazia e dai costi vivi del mantenimento di ogni piccola cosa.
Il primo libro di racconti di Paolo Pappatà, letterato romano classe 1970, è composto di sei pezzi. “Sconclusioni (Diari di bordo)” è stato scritto tra 1994 e 1996, ma contiene riferimenti all'euro, e andrebbe quindi post-datato; “L'amo, l'esca e di altro sul pescare” è del 2004; “Klimt” è nato tra 2001 e 2005; “L'isola che non c'è” è del 2008; “Certi giorni” fonde varie prose scritte tra 2004 e 2006, così come “Sconclusioni (Pagina bianca)”, 2005-2007.
Scrive Lalla Careddu, nella prefazione: “Paolo Pappatà non fa parte di quella nouvelle vague eterna degli scrittori 'giovani' italiani, ma è un artigiano raffinatissimo della parola, un costruttore di microcosmi, un inventore di forme paradigmatiche del racconto dal respiro accorciato, trattenuto, reticente come gli uomini che racconta, disincantati e soggiogati da una realtà grigia e monotona, da donne determinate e splendide di umanità, succose e piene” (p. 5). “Sconclusioni (Diari di bordo)” è ambientato a Suburbia Sud: “di giorno un formicaio di gente impazzita, grovigli mostruosi di macchine strombazzanti, un vago sapore di nausea che trasuda dalle screpolate pareti delle case. Di notte invece se ne stanno tutti in silenzio” (p. 9). Questa è la storia dell'amore di Gianni e Francesca, lui fuori corso all'università, lei fuori e basta, “Da che o da cosa non è dato bene saperlo, le conclusioni su questo punto sono spesso abbastanza dissimili, confuse, svariate come questo mondo scomposto che ci avvolge e circonda fino quasi a” (p. 8) – intanto lavora come assistente sociale. Gianni vuole cambiare vita e andarsene via; è già passato per concerti e rave party, rivoluzione fatta in casa coi suoi compagni e tutta una serie di tentativi per non ammettere che non c'è niente da fare. Il narratore, invece, è uno che sembra “intollerante, caustico, perdente”, ma in realtà è uno che semplicemente di vincere non ha voglia, “al limite voglio pareggiare zero a zero” (p. 16). Osserva, ascolta, e sembra cercare disperatamente un senso e una partecipazione che non esistono; in compenso, esiste la registrazione del congedo dagli amici, e presto dalla giovinezza.
“L'amo, l'esca e di altro sul pescare”, è la storia di Sandro che ha perso Clara, ha passato i trenta e fa un lavoro di cui non gli importa niente. Un po' come il narratore della storia precedente, sembra esistere in disparte e concentrarsi su sé stesso. La fine di un amore anonimo diventa dolorosa, lacerante; la metafora della pesca è riferita, si direbbe, allo spirito della sua ricerca interiore, e al suo necessario isolamento. “Klimt” è ambientato in un anno che non c'è, simile a tutti gli altri; soltanto, sembra proprio che l'inverno non voglia più finire. Il narratore è un impiegato malato di malinconitudine. Stato d'animo derivato dalle cose della vita: “In quel mondo di guerre fatte di pace, di lavori fatti di disoccupazione, di sentimenti catatonici e di automobili catalitiche, di ambizioni paralitiche e di cibi inquinati, bisognava almeno vincere, una volta, una partita. Altrimenti, rimaneva solo il cinema (…). Il fatto era che le cose continuavano a finire, e noi cercavamo ancora, disperatamente, di non volerlo capire” (p. 34). L'incontro con la ragazza che tutti chiamano Jey Blonde, già fantasmatica presente nel secondo racconto, spezzerà – come un sogno – la noia e la malinconia.
“L'isola che non c'è” è una sorta di jazz dedicato a un Sandokan dei nostri giorni, massacrato dalle tasse e dalla routine, e alla Mompracem di tutti. “Mompracem non verrà manco giù con un terremoto, in fondo non può conquistarla nessuno, è di tutti eppure nessuno ci abita, è bella così, come una donna irraggiungibile o come una stella cadente, tu sai che esiste, eppure muore ogni giorno” (p. 60).
“Certi giorni” è ambientato nuovamente a Suburbia Sud, come il primo e il terzo racconto: una città in cui i quartieri sotto tutti uguali, e in cui le persone che vivono nel palazzo di fronte moriranno evaporando, “lasciando macchie di sporco e incrostazioni umide sulle pareti” (p. 76). Alice e Irene fanno le ragazzine di trent'anni, ma la vita sta per costringere una delle due a diventare adulte. Forse continueranno a rubare cose stupide nei supermercati, ma il tempo dell'adolescenza cretina sembra stia finalmente per volgere al termine.
Infine, “Sconclusioni (Pagina bianca)”: laddove si teorizza che un giorno il mutuo con la realtà verrà estinto, e ci si potrà concedere qualche sogno; e che la poesia è di tutti, mentre “solo i silenzi ci rimangono attaccati dentro e ci tocca pure parlarci, ogni tanto” (p. 99). L'opera, autoprodotta, è disponibile su Lulu e sul sito ufficiale dell'autore. Buon viaggio.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Paolo Pappatà (Roma, 1970), scrittore italiano, laureato in Lettere alla Sapienza di Roma. Questa è la sua opera prima.
Paolo Pappatà, “Sconclusioni”, Lulu, Roma 2009. Prefazione di Lalla Careddu.
Gianfranco Franchi, dicembre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.