Gruppo di Lettere Moderne, Padova
1968
Comisso aveva a Trieste una società letteraria che lo comprendeva e lo giudicava. “Questa era Trieste; ma così erano anche Parigi e la Russia di Lidin o di Babel. Tutta l'Europa era in attesa della nostra parola, e noi non sapevamo di vivere in un'epoca di così alta civiltà. Dovevano ancora avvenire le guerre e le loro e le nostre esasperazioni”, commentava, nel 1968.
Quarantadue anni più tardi, sfogliando questa introvabile plaquette d'antan, completa di tre foto degli artisti, viene da domandarsi dove sia finita quella civiltà, e cosa si stia aspettando a riedificarla; le esasperazioni non sono diverse – le incomprensioni tra letterati ed editoria sono intatte, e così la miopia della critica ufficiale: miracolo – ma non dobbiamo fronteggiare più gli spettri delle guerre. Abbiamo grandi esempi di artisti italiani da tenere vivi e ben presenti, e se dio vuole da rinnovare. Animiamoci e incoraggiamoci leggendo anche queste loro lettere (sante biblioteche, e santo il padovano che me le donò), assaporando ogni parola come un dono – perché questo è – inatteso, vero e vitale.
Scrive Saba a Comisso, dopo il loro primo incontro: “Hai lasciato in tutti un'ottima impressione: si dice che sei un uomo giunto all'arte non attraverso i libri, ma attraverso la vita”. È il 23 dicembre 1928, e da questo momento ha inizio il breve ma suggestivo epistolario curato da Mario Sutor e Luciano Troisio nel 1968. Saba comincia presto ad accennare alla sua tremenda malinconia – così profonda che si riconosce in quei versi di Heine, o forse suoi: “Fino alla fine la vita ho sopportata; / ma come sopportai non domandare” – malinconia che già nel 1929 lo spinge a scrivere che peggio di tutto era vedere gente.
Saba si lamenta per gli scarsi riconoscimenti (1 febbraio 1929, “io so di essere votato all'insuccesso”) e per lo stato dei suoi nervi; intanto legge e commenta i manoscritti del giovane Comisso e spedisce, spesso, suoi versi, come fraterno segno d'amicizia. S'affida al giovanotto come critico e guida nel mondo delle patrie lettere, che sente così ostile e distante: il 25 ottobre 1932 lo invita a scrivere della sua poesia, su un quotidiano, perchè “c'è la tendenza non solo a non darmi il posto che mi spetta, ma addirittura a dimenticarmi”. Passano gli anni e il mood non cambia: nel luglio 1943, “Io sto così così: vecchio sono e stanco e deluso”. L'aggravarsi della situazione politica, italiana e triestina in particolare, farà precipitare la depressione del poeta del nuovo “Canzoniere”.
Scrive Comisso a Svevo, domandando quando sostegno per gli amici, quando scambi di recapiti (incluso Joyce) di artisti apprezzati, per spedire in lettura i propri libri. Scrive Svevo a Comisso per ribadire “la mia gratitudine, ed anche la mia ammirazione per la Sua assoluta indipendenza che fa sì che dalla non lunga opera risulta chiara una fisionomia di scrittore e di uomo, frutto di meditazioni originali e del proprio destino”. Farà dire le stesse cose al comune amico Eugenio. Montale.
Comisso e Svevo si daranno manforte in ambito critico, passandosi contatti e scambiandosi idee, e Comisso saprà difendere Svevo dalle critiche apparse sul giornale “L'Italiano”. Piangerà, nel settembre 1928, il maestro e il compagno, convinto che la sua opera sarebbe rimasta come “grande esempio”. Vero.
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Scriveva, nella prefazione datata 1968, Giorgio Pullini: “Svevo a Comisso (e viceversa) e Saba a Comisso: vale a dire una corrispondenza epistolare tra scrittori veneti. Tre nomi che occupano insieme, tutto lo spazio trascorso finora del Novecento letterario: Comisso vivo e vegeto tuttora, Saba scomparso da una decina d'anni, Svevo molto prima ma presente più che mai […]. Di questo piccolo gruppo di lettere che viene così ad integrare l'epistolario appena edito di Svevo [Dall'oglio, 1967] e quello ancora inedito di Saba, oltre allo sfondo idealmente comune, balzano netti tre profili personali. La stessa prosa 'parlata', talvolta disinvolta nella sintassi, si incide di volta in volta del segno caratteriale di ciascun scrittore: la stanca rassegnazione di Svevo che puntualizza la sua antitetica natura di pessimista rispetto a quella di Comisso; la caparbia misantropia di Saba, la sua polemica talvolta drastica con la sordità dei critici, il suo chiudersi di fronte ai tempi nuovi. E, di riflesso, la presenza più giovane e generosa di Comisso [...]”.
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Ecco. Questa presenza “giovane e generosa” sembra, nel 2010, incredibilmente rimossa. La prima cosa che mi viene in mente, chiusa la plaquette del vecchio Gruppo di Lettere Moderne di Padova – ah quando l'università era Università: aridatecela – è che Comisso dobbiamo prendere e restituirlo ai contemporanei. Già avidi lettori di Saba e Svevo, non soltanto a scuola, potranno scoprire un letterato avventuriero e avventuroso, pieno di spiritualità, gentilezza e grazia. Ci prendiamo questo impegno, allora? Svevo e Saba sono d'accordo, ve lo garantisco.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Umberto Saba (Triest, Austria, 1883 – Gorizia, 1957), libraio e poeta triestino. In giovinezza, declamò versi nei caffè fiorentini con lo pseudonimo di Umberto da Montereale. Non piacque a Papini.
Aron Hector Schmitz, alias Italo Svevo (Triest, Austria, 1861 – Motta di Livenza, 1928), scrittore italiano. Ha esordito pubblicando i racconti “La lotta” (1888) e “L’assassinio di via Belpoggio” (1890) sul quotidiano triestino “L’indipendente”.
Giovanni Comisso (Treviso, 1895 – Treviso, 1969), scrittore italiano. Reduce della Prima Guerra Mondiale, partecipò alla Liberazione di Fiume con D'Annunzio e Keller. Esordì pubblicando “Il porto dell'amore” nel 1924.
Mario Sutor (a cura di), “Saba-Svevo-Comisso. Lettere inedite”, Gruppo di Lettere Moderne, Padova 1967-1968. Lettere pubblicate a cura di Mario Sutor, Luciano Troisio.
In copertina, “Giovanni Comisso che sogna un veliero per andare a trovare il suo amico Italo Svevo”. Disegno di Comisso, proprietà Letizia Fonda Savio, Trieste.
Gianfranco Franchi, aprile 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.