Saggiatore
2017
9788842823537
Lucio Lunfardi, ex giornalista finito a spasso, ateo, “spregiatore e indolente e sgraziato”, invecchiando ha maturato un sogno: che Roma finisca sommersa dalle acque del fiume Tevere, che quelle acque malsane, torbide e gorgoglianti possano cancellare l'Urbe, rione per rione, quartiere per quartiere, senza pietà. Lui vuole agevolare l'impresa. Vive in un cunicolo mal rischiarato, sotto l'antica Santa Maria in Xenodochio, odierna Santa Maria in Trivio: un “covo underground” arredato con altari abbandonati, vecchie sedie e specchiere da salone di barbiere; là progetta e vagheggia un attentato eccezionale, la distruzione dei famigerati muraglioni che tengono al riparo l'Eterna dalle periodiche piene del Tevere; ogni tanto se ne va in giro, mascherato da prete e da postino, deprecando l'abnorme presenza dei turisti e il collasso e la decadenza di tutto. È un aspirante bombarolo che schiuma rabbia, espressione di un livore cieco contro tutto ciò che è romano: “Era già una fogna e una fogna soltanto, 'sta città. Non meritava di vivere-vegetare-sopravvivere. Niente era e niente era stata mai, poco ma vero”. Pensa anzi, alla stregua dei suoi amati enciclopedisti francesi, che i sette colli oggi “non servono che per tomba alla città”. La nostra vecchia Roma Lunfardi la vuole vedere “smembrare, dilapidare, dissanguare, sfasciare, terminare da bunuelesche figure salmodianti, tipo i 'fratelli della morte' di via Giulia”; Lunfardi smania pensando a lugubri cortei sulle rive del fiume, s'emoziona perché pretende che Roma possa finire annegata. È ossessionato. La sua è “ansia massimalista di un gesto terminale”, una “miseranda utopia”: “ogni cosa svanisce e tutto s'ammarana, e tutto muore”. Suoi compari sono figure come il “pingue, statuario, scaciato e caracollante” Duilio De Angelis, detto “er sola”, ex fruttivendolo di Campo de' Fiori, esperto di ufo, e Maria Elena Fantasia, detta Ariela, la Banksy di Testaccio, sua vecchia conoscenza dei tempi dei giornali. Roma ha retto le piene del 1927, del 1937, degli anni Settanta e Ottanta: quei muraglioni sono stati davvero “un trucco sleale”... quanto potrà durare?
Scombinato e velenoso, il nuovo romanzo di Vittorio Giacopini, scrittore e giornalista romano classe 1961, gioca su una lingua letteraria arruffata, non estranea a velleità autoriali; vorrebbe forse rivendicare somiglianze con Manganelli o al limite col molto più modesto Dante Virgili ma finisce per somigliare agli esiti meno felici di Genna, o peggio; la scrittura è autoreferenziale, allucinata e tanto torrenziale che sembra pura incontinenza, spesso sembra quasi caricaturale (e non si capisce che lettore possa incontrare, se non il povero disgraziato in casa editrice o in redazione, in genere). Giacopini mescola una sorta di letterarietà allucinata, con accenti quasi brancaleoneschi, con un romanesco greve e sudicio; strapiomba, periodicamente, in elenchi vertiginosi, in liste sterminate, riuscendo a metà strada tra un tuttocittà in acido e un Remo Remotti in piena logorrea. A un certo punto riesce addirittura a scimmiottare il famigerato (almeno al di qua del Raccordo Anulare) “Me ne vado da Roma” di Remotti. Ma santo Dio.
L'impatto di questi elenchi interminabili e leziosissimi, inizialmente anche buffo, dopo tre o quattro ripetizioni diventa irritante. Giacopini gigioneggia, perché questo è un libro presuntuoso – e regolarmente sprofonda in un rasoterra urticante, periodicamente pallosissimo, perché fonde il berciare del maniaco alla puntualità del cronista, con singolare fortuna. L'esito è molto negativo proprio perché, pur condividendo, ovviamente, buona parte del malessere e della frustrazione dell'autore per l'orrida decadenza della nostra capitale, non si capisce che senso abbia accompagnarla alla morte umiliandola con una scrittura così noiosa e così scombussolata, con un romanzo dalla trama così “fracica” che non so (in quattrocento pagine capiteranno quattro cose, tutto il resto è borborigmo); questa spocchia è proprio fastidiosa, e finisce paradossalmente per ordinare al lettore di pregare per la cosa più improbabile e impensabile, cioè in una restituzione di Roma alla sua grandezza e alla sua bellezza, massacrate dagli ultimi centocinquant'anni di speculazione edilizia, dai Savoia in giù.
Gianfranco Franchi, settembre 2017
Prima pubblicazione: Mangialibri.
Scombinato e velenoso, il nuovo romanzo di Vittorio Giacopini, scrittore e giornalista romano classe 1961, gioca su una lingua letteraria arruffata…