«Rogozov, il peso degli altri», di Luigi Loi
Quando nel 1944 Sartre ha scritto “l’inferno, sono gli altri”, avrebbe potuto immaginare una variazione tipo “l’inferno è il denaro degli altri”, dove il denaro può essere variamente declinato in benessere, lifestyle, consumismo? Avrebbe dovuto, peccato non l’abbia fatta. L’ho fatta io finendo di leggere Rogozov di Mauro Maraschi, appena licenziato da TerraRossa. Questa variazione sartriana è degradata e imbarbarita quanto la cosiddetta trickle-down theory. Prendiamo seriamente questa teoria sorta in ambito socio-economico negli anni di Reagan: dice che la ricchezza accumulata da pochi – che intanto possono permettersi la piena realizzazione della propria identità e dei propri sogni – porterà benefici positivi anche sugli strati sociali svantaggiati, portando tutti gradualmente, dal soddisfacimento dei bisogni di base (sicurezza, salute e lavoro, sostentamento dei figli), alla piena e volontaria soddisfazione degli stessi sogni che prima si guardavano dal basso.
Secondo questa teoria, la ricchezza accumulata in alto, per gravità sgocciola letteralmente verso il basso. In questo mito efficentista – e classista – piove ricchezza. Ma se piovesse percolato? Se l’idiotismo di certe filosofie “inconciliabili con l’Occidente civilizzato” (per dirla con Maraschi) fosse l’unica doccia che oggi lava gli strati sociali svantaggiati? Succede questo a Ruggero Gargano, il protagonista in de-relato di questo romanzo. Gargano sembra un proletario del ‘900, sgradevole e stupido quanto lo è stato il Giacinto di Brutti, sporchi e cattivi. Ma il secolo è passato da più di vent’anni e certi paragoni sono ormai politicamente impropri. Gargano allora è un picaro che sembra fare il verso a certi abbrutiti del primo Gianni Celati? Forse, ma è anche qualcosa di più, purtroppo: è passato apparentemente indenne attraverso il consumismo e le forche della post-modernità da cui è piovuta la mistura che lo impregna. Infatti Gargano è tutt’altro che ignorante, ha persino qualche rudimento sociologico e filosofico da autodidatta. È un salutista, ma di un salutismo ironicamente tutto votato al malessere suo e di chi lo circonda (en passant, sarà la figlia di Gargano la vittima delle sue deliranti diagnosi mediche). E ancora: ama il bello, è un poeta che frequenta parassitariamente il demi-monde letterario romano per derubarlo di cellulari e spiccioli. In sintesi: Ruggero Gargano è semplicemente povero.
Rogozov parte da questo presupposto di fondo, e si articola tutto sulla presentazione dei personaggi e sulle loro interazioni: Gargano è l’assistente di un ipovedente grafomane, ma pure il garzone del noto Taddeo Tebaldi, parodia tra le più divertenti che abbia letto dell’intellettuale esteta: personaggio che vive tra redazioni giornalistiche e radio, prospera nei festival estivi romani, immerso (e ignaro di esserlo) in quella benzina comica, teorizzata da Tommaso Labranca, che è il trash.
Ruggero Gargano ha tutte le carte in regola per essere un protagonista respingente, ostico per il lettore, a tratti disumano quanto possono essere disumani certi ingranaggi che muovono assieme stupidità e povertà. Ma si farebbe un torto a vedere soltanto questo dato macroscopico. Proprio perché illusoriamente deterministico, quando in questo romanzo sembra mancare un orizzonte logico etico, arriva l’intreccio a dare la giusta prospettiva ambientale: in parole povere c’è un contesto vero che non alleggerisce le responsabilità dei personaggi, anzi, le incastona in una glaciale catena di eventi dove riconoscere la vera responsabilità etica, la scelta, il libero arbitrio. Per questo si tratta di una storia che non può accontentarsi di un lettore distratto in cerca di umorismo grottesco e di personaggi bizzarri. Basterebbe guardare alla comicità disperata intessuta dal narratore intorno a Topologia di una città fantasma di Robbe-Grillet, un frammento abitato da un profondo senso del tragico proprio perché sfrutta la situazione paradossale e l’assurdo come chiave di lettura per aprire il mondo.
Quindi, qual è il mondo di quest’esordio narrativo curioso e sofisticato? È un mondo così iperrealistico da risultare deformante? Probabilmente aspira, anzi, finge di esserlo. Potrei citare il sistema di note a piè pagina – e gli apparati meta-testuali in coda al volume – ideato da Maraschi, colta mescolanza di vero e fittizio che fa capolino in Rogozov, quasi che l’autore volesse mettere ironicamente tra parentesi le tentazioni bernhardiane della sua scrittura, del suo modo di intendere il mondo, giacché come giustamente ha sostenuto Berardinelli “la citazione sta al posto della cosa, allude, ammicca, fa balenare, eccita, esalta, addolcisce, sublima, mitiga. Soprattutto, nel postmoderno, elimina la distanza fra culture e contesti, sdrammatizza gli attriti”.
Eppure, sebbene la tentazione di schermirsi dell’autore ci sia, c’è pure l’attrito, eccome. Basterebbe guardare al titolo stesso, a quel “Leonid Ivanovič Rogozov (1934-2000), medico sovietico, si operò da solo di appendicectomia”. Sembra un’allusione cifrata, una dichiarazione d’accidia e al tempo stesso la condanna di questi personaggi. Sentono tutti il peso del vivere uno accanto all’altro, (imprigionati nei propri ruoli sociali), ma sono pure tragicamente incapaci di operarsi da soli, di vivere nella piena e soddisfacente solitudine dei dispersi.
BREVI NOTE
Mauro Maraschi (Palermo, 1978) è traduttore e redattore editoriale. È stato editor della narrativa di Hacca, per la quale ha curato l’antologia ESC (2013). Ha tradotto, tra gli altri, Complex TV di Jason Mittell (minimum fax, 2017), Masscult e Midcult di Dwight Macdonald (Piano B, 2018) e Il codice delle creature estinte di E.B. Hudspeth (Moscabianca, 2019). Ha curato la selezione dei diari di Henry David Thoreau intitolata Io cammino da solo. Journal 1837-1861 (Piano B, 2020) e, insieme a Micaela Latini, Una conversazione notturna (Portatori d’acqua, 2020), trascrizione di un’intervista del 1977 al suo amato Thomas Bernhard. Collabora con riviste e blog di ambito letterario, tra cui «L’indice dei Libri del Mese».
Mauro Maraschi, “Rogozov”, Terrarossa, 2021.
BIBLIOGRAFIA e FILMOGRAFIA MINIMA
Alfonso Berardinelli, Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione, Quodlibet Macerata 2007; Tommaso Labranca, Andy Warhol era un coatto, Castelvecchi, Roma 1994; Alain Robbe-Grillet, Topologia di una città fantasma, Guanda, Milano 1983; J. P. Sartre, Le mosche. Porta chiusa, Bompiani, Milano 2013; Ettore Scola, Brutti, sporchi e cattivi, 1976.
Luigi Loi, novembre 2021