Guanda
2004
9788877465092
“Con le parole 'ordine' e 'libertà' si condurrà e si riporterà sempre il genere umano dal dispotismo all'anarchia e dall'anarchia al dispotismo” (Rivarol).
Jünger restituisce ai contemporanei senso e spirito della scrittura e della vita di un oscuro moralista francese, l'ultraconservatore Antoine Rivarol, sedicente conte, nato nel 1753 in Linguadoca. Brillante allievo di diversi istituti religiosi, grande lettore e magnifico conversatore, fu grande nemico della Rivoluzione Francese e fascinoso autore di epigrammi; esule in Belgio, Olanda, Inghilterra e Germania, incantò Burke (“Rivarol? Il Tacito della Rivoluzione Francese”) e Voltaire (“Il francese per eccellenza”); per Barbey d'Aurevilly era un dandy, definizione non condivisa da Jünger, che in Rivarol leggeva il profondo conoscitore di una antica civiltà e il suo legittimo erede. Morì appena quarantasettenne (per una “grave infreddatura”), esule, lasciando incompiuta la sua opera. Cinquantacinque anni dopo la sia morte, la su tomba era sparita dal cimitero di Dorotheenstadt; era stato completamente dimenticato.
“I grandi lavori di Rivarol – chiosa Jünger – sono rimasti dei frammenti. Tutto questo trova la sua spiegazione non solo nelle ingiustizie di un'epoca, che, d'altra parte, lo stimolò. Qui dobbiamo anche vedere il convergere della sua pigrizia e di un senso di responsabilità, che attesta e connota ogni autentico sforzo rivolto alla parola. Il tendere verso una formulazione migliore, verso un'espressione più affilata consumò la gran parte del suo tempo” (p. 24). E di questa pigrizia il francese era ben consapevole. Scrisse, per sé stesso, questo epitaffio: “La pigrizia ce lo rapì prima della morte”.
Fuori dal tempo e dallo spazio, Rivarol si batteva per qualcosa di perduto, domandando fosse restaurato; tra i pensatori della conservazione, scrive EJ, “si distingue per la sua obiettività razionale” (p. 54). Lasciò Parigi il 10 giugno 1792, pochi giorni prima dell'irruzione del popolo nelle Tuiléries: di lì a poco, sarebbero andati a bussare la sua porta. “Dov'è, dov'è il grand'uomo? Lo vogliamo accorciare un po'” (p. 36), dicevano i rivoluzionari. Si dedicò, di lì in avanti, tra una nazione e l'altra, a uno scritto sulla teoria dell'arte di governo e a un dizionario, rimasti frammentari.
Questa edizione include diversi frammenti di Rivarol, tradotti dal francese da EJ e restituiti ex novo in italiano da Brunello Lotti. Convinzione principe di Rivarol era che la sovranità risiedesse non nel popolo, ma nel governo: “Il popolo – asseriva – ha solo delle forze, e queste forze, quando sono disgiunte dal loro organo, ben lungi dal conservare tendono solo a distruggere” (p. 63): il popolo dava la forza, il governo la ragione; il popolo accordava il consenso, non la fiducia. “Un governo” aggiunge più avanti “sarebbe perfetto se potesse sempre unire la ragione alla forza e la forza alla ragione” (p. 69). Il popolo, per vivere, ha bisogno di territorio e religione: senza, morirebbe, come “il gigante Anteo, sospeso tra cielo e terra” (p. 77). Siamo dalle parti della più pura cultura reazionaria, senza nessun filtro che non sia la buona educazione e uno stile piano, di grande chiarezza espositiva. È così reazionario da sprofondare nel kitsch; in questo senso, Rivarol è davvero attraente.
Più avanti, ecco massime e aforismi d'argomento religioso e letterario. Notevoli le meditazioni di Rivarol sulla paura: essa è “la passione più terribile perché si dispiega contro la ragione; paralizza il cuore e la mente” (p. 100). Rimangono impresse episodicamente, queste sue battute, e nel mio caso con molta minor potenza rispetto a quanto l'artista tedesco avrebbe voluto. Mi colpisce quando Rivarol scrive d'accontentarsi d'aria, d'acqua, silenzio e solitudine, perché estranee al piacere e al tormento, perché si dice consapevole di non aver ricevuto niente di eccezionale dalla natura o dalla società (p. 117); eccezionale sarebbe stato comprendere il senso profondo dei mutamenti storici e politici che aveva vissuto, cavalcandoli e difendendoli, pur senza rinnegare sé stesso e le proprie convinzioni originarie. Bastava ammettere quanto grotteschi e assurdi fossero stati i privilegi dell'aristocrazia e del clero francese per non piombare in una comprensibile negligenza dei posteri.
Concludiamo con Jünger, perché è naturalmente lui e il suo pensiero ad interessarci, e non certo quello di Rivarol. Cos'è l'arte della traduzione per lo scrittore tedesco? “Non è casuale – spiega – né la scelta dell'autore né la selezione della sua opera. Entrambe saranno precedute da simpatia, da attrazione. Alla traduzione conduce allora il desiderio di giungere alla più profonda penetrazione di un'opera, alla lettura più intensa che sia possibile. Essa insegue uno spirito fin nei capillari, fin nei sentieri a precipizio e in quelli più sotterranei. Come in pittura la riproduzione dei maestri del passato, così, nella lingua la traduzione può essere considerata uno dei migliori esercizi, un duro corso con un maestro di scherma” (p. 9).
Esclusivamente per aficionado di EJ. Trascurabile per neofiti e curiosi. Ampiamente.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 - Wilflingen, 1998), scrittore e filosofo tedesco. Esordì pubblicando “Nelle tempeste d'acciaio” nel 1920. Studiò Filosofia e Scienze Naturali a Lipsia.
Ernst Jünger, “Rivarol. Massime di un conservatore”, Guanda, Parma, 1992. Traduzione di Brunello Lotti e Marcello Monaldi. Collana “Quaderni della Fenice”.
Prima edizione: “Rivarol”, 1978.
Gianfranco Franchi, novembre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Esclusivamente per aficionado di EJ. Trascurabile per neofiti e curiosi. Ampiamente.