Voland
1999
9788888700526
Non poteva mancare, nell’eclettica ed eterogenea produzione narrativa di Amélie Nothomb, una prima, esemplare e cupa incursione nella science fiction: “Ritorno a Pompei” è un romanzo quasi esclusivamente dialogico, che profitta d’una suggestione dell’autrice-narratrice per confinarsi in un futuro anteriore (2580) caratterizzato da un tetro dominio del quoziente d’intelligenza e da un deteriore e goffamente oggettivato culto per la bellezza. L’artista belga dà vita a una lettura apocalittica del futuro – a una distopia, per restare fedeli alle codificazioni degli studiosi – di sinistro fascino e accettabile credibilità; fondandosi sulle intuizioni di Einstein, le civiltà future hanno appreso come intervenire sul passato e hanno decretato – per ragioni che rimarranno oscure fino alla fine del romanzo – la distruzione dell’elegante e sontuosa città di Pompei, esempio della raffinatezza e della civiltà Romana.
È un romanzo fondato quindi sul consueto topos del cortocircuito o del paradosso temporale: una volta artificiosamente architettata la struttura portante del testo, l’artista ha mano libera per poter inventare o prefigurare una visione del futuro. Ed è un futuro degradante, e alieno alla nostra etica, come vedremo – d’un’umanità capace d’atti d’un cinismo ineguagliabile, e tuttavia convinta della bontà e dell’equità della sua condotta.
Motore dell’azione è un dialogo che la protagonista, poco prima d’un ricovero in clinica per un’operazione al ventre, ha con uno sconosciuto interlocutore: riflettendo a proposito della distruzione di Pompei, giocando sull’antico e mai abiurato principio del cui prodest?, si spinge a immaginare che gli archeologi del futuro abbiano voluto modificare il corso del passato, distruggendo la città più elegante dell’antica civiltà Romana, mediante l’esplosione del Vesuvio. Movente: preservare il gioiello storico dell’ars vivendi (p. 10). Operata, si risveglia in una sala inconsueta; riesce a scendere (penseremmo: precipitare) da un letto distante due metri dal terreno, apre la porta e sprofonda nel vuoto.
Amélie si ritrova di fronte al suo antagonista: Celsius, scienziato ponentino della basilica, intellettuale di assoluto rilievo nel nuovo sistema, diviso tra levantini e ponentini. È il 27 maggio 2580: soltanto un anno prima, lui e un gruppo di suoi colleghi hanno provveduto a seppellire l’antica città di Pompei, nell’anno 79 d.C, scegliendo quella data per preservare degli affreschi altrimenti destinati a essere sostituiti da opere di minor rilievo. La scrittrice si ritrova in un altro secolo perché ha avuto modo di intuire la verità a proposito dell’eruzione del Vesuvio, e quindi costituisce un pericolo per i secoli a venire: “convocata”, perché provocava “insicurezza”. Da questo punto in avanti, ha luogo un dialogo mozzafiato, grottesco, paradossale e allucinato, che trascina il lettore fino all’ultima riga; e si chiude il libro con qualche rammarico, perché s’è sentito vivo e forte il desiderio che non finisse mai, e che sempre nuove considerazioni e suggestioni terminassero il loro percorso sedimentando nel nostro inconscio.
Parliamo adesso del 2580 secondo Amélie Nothomb. Non esistono più nazioni, come s’accennava, ma “orientamenti”: ponentino e levantino, appunto. La stampa è stata soppressa. I cittadini non indossano più abiti, ma ologrammi – per ragioni di risparmio energetico. All’autrice del ventesimo secolo, viene riservato un peplo sottratto alla sartoria d’un teatro. Il matrimonio è diventato un contratto rescindibile ogni tre anni. È il tempo della responsabilità, non dell’amore. Celsius spiega che esiste solo una linea, una storia, una politica: l’energia (p. 17). Domina un Tiranno, per evitare di ripetere le ipocrisie del (nostro) passato tempo: è crollata l’illusione precaria della democrazia. Questo Tiranno, tuttavia, è sorretto e sostenuto (controllato, congetturiamo) da un’oligarchia energetica, assunta al potere dopo severi esami condotti sulla base di tre requisiti: intelligenza (comprendendo la cultura), carattere (apprezzando l’onestà), salute (esaltando la bellezza). Istintivamente, nasce nel lettore il desiderio di vivere in quel tempo, per assistere all’atteso e invocato trionfo dell’intelligenza e della bellezza; l’entusiasmo s’attenua allorché si comprende che i criteri di valutazione di questi naturali e adorabili talenti sono solo apparentemente oggettivi: risibili test di Q.I., fumose “basi oggettive” per valutare l’estetica. Peccato – l’evoluzione non avverrà prima del 3000.
La scrittrice è trattenuta per “precauzione politica”. L’uomo che ha di fronte, è il diretto responsabile – l’artefice, l’ideatore e il coordinatore – della conservazione particolare di Pompei. Celsius sembra aver perduto il senso della moralità, e il rispetto della vita umana: ragiona rispettando altri criteri e confidando in un’altra prospettiva, non comprensibile agli occhi della narratrice; ne derivano equivoci, polemiche, incomprensioni e fraintendimenti.
E deliziosi paradossi – come questo, a proposito della distinzione tra Bene e Bello. Spiega Celsius: “Il Bene non lascia alcuna traccia materiale – e dunque nessuna traccia, perché lei sa quanto valga la gratitudine degli uomini. Nulla si dimentica in fretta quanto il Bene. C’è di peggio: nulla passa tanto inosservato quanto il Bene, perché il vero Bene non pronuncia mai il suo nome e, se lo pronuncia, cessa di essere il Bene per diventare propaganda. Il Bello invece può durare per sempre: in sé è la sua stessa traccia. Si parla di lui e di coloro che lo hanno servito. Il che dimostra che il Bello e il Bene sono retti da leggi opposte: più si parla del Bello, più diventa Bello; più si parla del Bene, meno esso lo è. (…)” (pp. 33-34).
Dal romanzo è bene attendersi appassionanti sprazzi filosofeggianti come questo, seducenti riflessioni a proposito dei mali e delle fortune del presente, accattivanti digressioni a proposito dell’apocalissi che l’umanità potrebbe scatenare, cedendo a sempre nuovi falsi idoli.
Non è compito del recensore accompagnare il lettore fino alla fine del romanzo, né tantomeno di interpretare la natura del legame che sembra stringersi tra Celsius e Amélie; è compito del recensore quello di segnalare un’opera che – al solito, quando si tratta d’un’opera della Nothomb – brilla per intelligenza, letterarietà e atipicità, rivelandosi sempre assolutamente godibile: nessuna flessione, nessun intervallo, nessuna incertezza; il miracolo di questi dialoghi consiste nella loro coesione, coerenza e varietà; senza intaccare un’uniformità stilistica che impedisce di dubitare che si tratti di un romanzo dell’autrice belga. Da leggere.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Amélie Nothomb (Kobe, Giappone, 1967), scrittrice belga di lingua francese. Ha esordito nel 1992 pubblicando il romanzo “Igiene dell’assassino”.
Amélie Nothomb, “Ritorno a Pompei”, Voland, Roma 1999. Traduzione di Biancamaria Bruno.
Prima edizione: “Peplum”, 1996.
Gianfranco Franchi, settembre 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.