Garzanti
1942
9788811364542
«“Ritorneranno? Li ho sognati tutti, a occhi aperti, intorno a me, nella casa silenziosa, in questa mia camera: tanta luce veniva ancora dalla finestra”. La voce di Carolina aveva un quieto, dolce tono sognante, così raro in lei. Angela che era stata sempre lei a rassicurare con la propria fede sua madre, ora che sentiva, forse per la prima volta in quegli anni di guerra, sua madre abbandonarsi tutta alla speranza, provò un'angosciosa inquietudine. “Se uno dei tre, se più d'uno non dovesse ritornare?”
“Sì, mamma, ritorneranno. E sarà nella realtà. Entreranno insieme, io li accompagnerò da te. Tu li attenderai in questo tuo angolo. E anche papà sarà intanto ritornato. Rifaremo la nostra vita; ci metteremo tutti intorno alla tavola come una volta...”. Carolina sospirò, abbandonando la testa sulla spalla della figlia» (Stuparich, “Ritorneranno”, p. 367).
Il dramma di Trieste e di una famiglia triestina negli anni magnifici e atroci della Prima Guerra Mondiale: il senso e i significati del sacrificio di una generazione, e la rappresentazione dell'angoscia, dell'entusiasmo e del dolore assurdo di chi ha partecipato all'impresa; questi sono gli argomenti fondamentali del romanzo di Giani Stuparich “Ritorneranno”, originariamente pubblicato da Garzanti nel 1942, considerato da buona parte della critica come un libro “risorgimentale” più che novecentesco. Le ragioni sono facili da capire: il Risorgimento triestino è avvenuto nel 1915-1918, con un cinquantennio abbondante di differita rispetto al resto d'Italia; per i contemporanei, è innaturale associare lo spirito del Risorgimento a quello della Grande Guerra, perché hanno dimenticato per quale ragione si stesse combattendo, offuscati e confusi da una propaganda ultrasocialista, incredibilmente fortunata e velenosa che ha sporcato la memoria dei sacrifici dei nostri compatrioti.
Come se non bastasse, è opportuno ricordare che quel Risorgimento giuliano è stato fracassato e disintegrato dalle mutilazioni territoriali successive al 1945 e al 1954. Più onesto e giusto, dunque, sarebbe ascrivere a Stuparich il talento, il merito e l'intelligenza di aver ideato il romanzo che racconta a tutti gli italiani perché si sia combattuto nella Prima Guerra Mondiale, quanto grande sia stato il costo della guerra, quanto importante sia stato combatterla, pur di restituire libertà e patria ai nostri fratelli giuliani – nel mio caso, ai miei nonni giuliani. Senza quella guerra scriverei in dialetto, e non in lingua italiana. E forse mi ritroverei sotto regime d'una neo-nazione slava, adesso, costretto a difendere la mia identità culturale e la mia storia dalle menzogne della propaganda straniera. No che non mi dimentico, di quella guerra. E di Giani, e di suo fratello Carlo Stuparich, e del loro fratello elettivo Scipio Slataper. Tre combattenti, tre patrioti, tre grandi amici. Come i tre fratelli protagonisti di questo romanzo.
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Trieste. Famiglia Vidali. Madre e figlia parlano della guerra che s'avvicina: la madre è angosciata, la sua piccola Angela è più serena. “Ma è l'Italia, mamma. È quello che abbiamo desiderato tutti, da tanto: l'Italia vittoriosa, la liberazione di Trieste. È il ritorno dei tuoi figlioli” (p. 5). Tre figlioli, Sandro, Alberto e Marco, partiti tutti col consenso della madre: “straziata dalla lotta, s'era ritrovata intera cedendo (…). Chi l'avesse vista abbracciare i suoi figli nell'addio e benedirli col ciglio asciutto, l'avrebbe chiamata una madre spartana. Ma in realtà il suo cuore si svuotava e le ginocchia minacciavano di non reggerla” (p. 6). Non poteva immaginare, per quanta angoscia le dava la guerra, che i suoi ragazzi disertassero, che si ritrovassero infine a festeggiare la vittoria tra quei vigliacchi che profittano del sangue e dei sacrifici degli altri: soffriva, ma era convinta che tutto quel che stava succedendo fosse giusto. Da quelle parti la bandiera tricolore era e restava un sogno, e un'emozione vera: apertone uno, “i vivi colori che apparvero, furono come lo scoppio d'un grido represso. Quel verde, quel rosso e quel bianco esprimevano con intensa concretezza tutte le immaginazioni, le attese, le speranze che la passione per l'Italia aveva nutrito nei loro petti. In quei colori viveva un'Italia di sogno, un paradiso terrestre, la patria che non si ha e si desidera, una felicità pura, non ancora posseduta, a cui si anela come a una liberazione” (p. 42).
Prima delle perquisizioni degli austriaci, Angela andava a ripulire le stanze dei fratelli: libri, carte compromettenti, bandiere, tutto doveva sparire, anche se il cuore si ribellava e diceva di no; e magari, più tardi, poteva tornare a leggere alla madre le pagine dell'Alfieri, del Verga e del Manzoni che i suoi fratelli un tempo le leggevano, “Marco con accento armonioso, Sandro col suo tono profondo e Alberto col timbro volubile della sua voce adolescente” (p. 55).
Ecco, conosciamoli così – a partire dalle loro voci. Marco è il fratello maggiore, generoso e gentile, carismatico e umanissimo; Sandro è il mediano, introverso e taciturno; Alberto è il più piccolo, spiccio e rabbiosetto, pieno di sentimento. Marco sogna un'alleanza tra slavi e italiani contro il comune nemico, l'Austria; Sandro ha una scrittura che racconta l'aspetto adamantino del suo carattere, e la sua dipendenza dall'esempio di Marco; Alberto invece ha una scrittura disordinata e impetuosa, “irresistibile in lui il sentimento della libertà” (p. 62).
Sono partiti per il fronte e in due, almeno – Sandro e Marco – si sono ritrovati a combattere fianco a fianco; hanno pianto la notizia della morte del loro amico triestino Cesare, che sognava con loro di dimostrare, coi fatti, che Trieste rappresentava l'avanguardia dello spirito italiano, “capace di trasformare e unificare la cultura e la vita d'Europa”, assieme a un gruppo di artisti e intellettuali amici, poliglotti e aperti allo studio delle altre culture.
Hanno sofferto, i tre fratelli, la nostalgia della cara mamma; e hanno maledetto il destino austriaco del padre, arruolato e spedito sotto le insegne giallo e nere a combattere in Galizia, lontano dal cuore, lontano dai suoi desideri, costretto a servire l'imperatore che amava maledire.
Marco ha conquistato la fiducia dei soldati, è un ufficiale che ha già due medaglie d'argento appuntate sul petto. Non ha importanza soffrire e faticare: ha importanza combattere. Combattere per Trieste italiana. Artiglieria nemica e pioggia riducono trincee e camminamenti a poltiglia, ogni tre giorni viene distrutto ciò che era stato conquistato, e si deve ripartire; ma lui sogna un nuovo assalto, sempre. E da quando ha Sandro vicino a sé, la fraternità ha esaltato i suoi slanci: “uniti, si erano sostenuti a vicenda. E quando, nell'azione, i loro compiti erano stati diversi, ognuno aveva adempiuto il suo come se insieme adempisse anche quello dell'altro, con un senso quasi d'ebbrezza” (p. 150). Purtroppo il destino è spietato; Marco cade, ferito a morte, e morendo almeno ritrova la serenità di certi tramonti triestini che ben conosceva, “senza veli né contrasti” (p. 152), e non gli importa di morir giovane. “Soltanto lo spirito con cui era vissuto, importava, e in qualche parte del mondo forse avrebbe germogliato. Moriva con un supremo senso di leggerezza. Aveva accettato, nella verità della sua coscienza, di potersi sacrificare alla patria. Ora sentiva che la patria gli si allargava in qualche cosa di più vasto. Nell'armonia di quei suoi ultimi istanti provava dominante un sentimento che in altri momenti gli aveva solamente sfiorato l'animo: l'accordo con Dio, della creatura con Dio. Non restava in lui neppure la memoria del nemico, della ferocia, dell'odio” (p. 152).
Muore, mistico, vicino a Dio e vicino a tutti i popoli; suo fratello Sandro, che s'è precipitato a cercarlo sotto il fuoco nemico, viene ferito da una scheggia, e rimane cieco. Aveva vissuto la guerra come una tragedia madre della catarsi. La sua catarsi comincia allora. Quando, molto tempo dopo, tornerà a parlare ai soldati, la sua voce non sembrerà meccanica, modulata o artefatta, superba o sicura: ma sembrerà venire dal profondo, “un poco trepida come se cercasse la via, la più difficile via del cuore; ma tranquilla, e, a poco a poco, quasi sciogliendosi da un tormento, si rasserenava e diventava calda e fluida” (p. 350). Quanto diversa dai giorni in cui si cantava “Le ragazze di Trieste”; quanto nuova.
A casa, intanto, la mamma supera miracolosamente una brutta malattia: in città si soffre, si campa di stenti e si sopravvive col mercato nero (p. 197); finita la guerra si presenterà l'influenza spagnola a decimare tanta povera gente, perché intanto “la denutrizione e l'esaurimento hanno preparato il campo per un cimitero” (p. 424). A casa, intanto, tutti sognano il ritorno dei tre ragazzi. Marco non potrà tornare, Sandro tornerà senza più poter vedere, Alberto cadrà, eroicamente, perché non vuole smettere di combattere, e non vuole rinunciare a comandare i suoi uomini. “La nostra guerra è una guerra viva, di persuasione. I difetti, le debolezze che portiamo in essa, vengono puniti; Caporetto è un castigo che ci siamo meritati; ma la nostra fiducia nella giustizia per cui combattiamo, non può crollare” (p. 317).
Sandro diventa il testimone del sacrificio dei suoi fratelli, del dolore e dell'amore di tutti: è il simbolo di Trieste che infine abbraccia l'Italia, ma senza nascondere le sue ferite. Adesso, ha un compito. Ricostruire il futuro – questo promette a sua madre – con la mitezza di Marco, con la fede di Alberto; con l'amore di lei. Adesso vede – vede più in là dei nostri poveri occhi. Vede l'Europa.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giani Stuparich (Triest, Austria, 1891 – Roma, 1961), giornalista e scrittore italiano, di madre triestina (Gisella Gentili) e padre di Lussino (Marco Stuparich). Iscritto all’Università di Praga, si trasferì assieme a Slataper all’Università di Firenze. Si laureò in Letteratura Italiana con una tesi su Machiavelli. Esordì pubblicando “Colloqui con mio fratello” nel 1925.
Giani Stuparich, “Ritorneranno”, Garzanti, Milano 1976. Prima edizione: Garzanti, 1942.
Approfondimento in rete: Wikipedia
Bibliografia completa degli scritti di Giani Stuparich: André Thoraval (Trieste, Alcione, 1995); Bibliografia critica: Giusy Criscione (Trieste, Alcione, 2001).
Gianfranco Franchi, gennaio 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Il massimo risultato di Stuparich come romanziere.