M. Edizioni
2007
9788895638003
Opera prima di Marco Pasquini da Bologna, classe 1968, già parte del collettivo de “iQuindici”, “Rimini, ancora” inaugura la collana Incomprensioni della nuova casa editrice sassarese M. Edizioni. Si parte – vale per autore ed editore – con un romanzo che da un punto di vista della politica editoriale parla chiaro: l’ambizione è tornare sul sentiero tracciato da uno degli ultimi grandi letterati italiani, il troppo presto perduto Pier Vittorio Tondelli. Simbolicamente significa: raccontare il nostro tempo e la nostra società senza museruole ideologiche; credere nella Letteratura come frontiera del rinnovamento, e della rigenerazione; tornare, almeno in questo caso, allo spirito di “Rimini”.
Sostiene Pasquini: “L’idea è quella che la società raccontata da Tondelli sia ancora lì. Gli Afterhours cantano 'Non si esce vivi dagli anni Ottantaì con un eccesso di pessimismo. Gli anni Ottanta, visti con lo sguardo di Tondelli, hanno rielaborato dei concetti e li hanno riproposti in chiave postmoderna. Artisti come Tondelli hanno fatto uscire la sinistra dal ghetto della fabbrica. Il problema forse è che a qualcuno la situazione è sfuggita di mano. Gli artisti sono più lungimiranti dei politici. Proviamo a fare ancora un quadro della società. A partire da Rimini. Ancora.” (Fonte: sito di M. Edizioni)
Bene: il quadro della società, a partire dalla Rimini di Pasquini, è piuttosto facilitato; c’è chi vive del lusso e dei piaceri, assecondando il vizio con immonda superficialità (o abnorme leggerezza) e uncinandosi ai marchi e agli status symbol, e chi s’affida ai sogni, rischiando sofferenza e miseria, romanticamente. La divisione è piuttosto rigida e la soluzione elementare: la coppia appena scissa, protagonista dell’opera, vedrà il superficiale edonista sopravvivere a un coma per incidente stradale post-orgiastico o giù di lì, vagheggiando un ritorno al passato amore ormai impossibile; mentre la tenera e romantica ragazzina, lasciata dal ragazzotto col cuore infranto, troverà un nuovo amore e si lancerà come cantante. Qui la morale c’è, e non è proprio mascherata; che sia condivisibile è altro e comodo paio di maniche. Magari fosse tutto così semplice, magari la vita fosse tutta una “morale della favola”. Pasquini ci conforta suggerendo che chi sbaglia paga, e chi s’accompagna ai ricchi viziosi e decadenti si lascia bruciare; mentre chi prende la strada alternativa può diventare rockstar, tingendosi i capelli, fumando e bevendo, allegramente in compagnia e facilmente innamorata: vestendosi al mercatino in piazza, a costo zero o giù di lì.
Una volta ancora, mi richiamo alle parole dell’autore, che confermano questa pretesa d’una spaccatura tanto netta: “Rimini, ancora è la storia parallela di due ragazzi bolognesi che si lasciano all’inizio dell’estate e fanno questo percorso di tre mesi che in comune ha solo i luoghi usati come scenario. Rappresenta due modi diversi di intendere la vita, ma non è un libro generazionale. Non ci sono conflitti tra padri e figli. Mi ricorda un film di qualche hanno fa, 'Caterina va in città' nel quale si evidenziava questa continuità. I figli che camminano sulle orme dei padri. Nel libro viene espressa questa idea, che non ci sia un contrasto generazionale, ma che ci sia una spaccatura tra una parte di società che vive in modo edonistico ed una che vede in modo idealistico a prescindere dall’età, dal reddito, dal lavoro” (fonte: sito di M. Edizioni).
Al di là del valore della pellicola nominata, probabilmente la peggiore in assoluto di Virzì, proprio perché mendace nel suo cerchiobottismo qualunquista, colpisce questo desiderio di mostrare una spaccatura così semplificata; l’analisi – questa la mia impressione – è debole e inficiata proprio dall’assenza di terze, quarte e quinte parti. Che potrebbero essere: la piccola borghesia costretta a sopravvivere lavorando otto, dieci ore al giorno; incapaci di progettare altro che non sia un pagamento rateizzato e le ferie a casa degli amici, al mare, per via del mantenimento dei figli; limitata ai sogni, magari, grazie a un libro o a un film ben consigliato da un amico. Ancora: la nuova generazione di intellettuali, flagellata dall’assenza di stabilità e prospettive professionali; pure idealisti, si ritrovano malconci ad accettare lavori inadeguati e alienanti pur di distaccarsi da casa: e magari convivono non per amore, ma per necessità. Ancora: la media borghesia delle grandi città, che ha da tempo preferito una vita spartana per non indebitarsi, e intanto fatica a restare almeno spartana, e a non vendere casa e macchina prima di aver pianificato un trasferimento degno. Altro che edonismo e idealismo: qui il problema è sopravvivenza, o vivere in condizioni adeguate; e adeguate, poco dopo, ad allevare bambini, per farli vivere dignitosamente. L’idealismo diventa “romanticismo” coatto. Il guasto è che questo libro credo abbia qualche anno. I personaggi ragionano in lire: la band suona per le strade di Rimini a centomila a sera, le macchine nelle ville dei ricchi costano “minimo 50 milioni”; in macchina, la grande tecnologia è ancora il lettore da dieci cd, e qualcuno ha ancora i nastri tdk. A occhio e croce siamo alla fine degli anni Novanta, massimo primi anni Duemila (e non a caso: si nominano Magnus e Bonvi “morti da poco”, 1996…). Purtroppo, “Rimini, ancora” esce, da questo punto di vista, se non con grave ritardo almeno in differita. Ciò detto: bello l’auspicio di tornare a leggere Tondelli, di ripartire dai suoi passi, di restituirlo alla centralità del dibattito. Bella anche la dedica di Pasquini, “una ventina d’anni dopo Rimini è ancora come la raccontavi tu”; peccato che Tondelli non possa replicare. Davvero.
Veniamo ad altre osservazioni. La vicenda del diciannovenne Martino e della sua ex Anna l’abbiamo accennata; Martino la lascia, dopo tre anni, va a godersi il mare in cabrio, pensando che finalmente potrà puntare altre donne e via dicendo. Gli amici sono il solito branco di cazzoni (e fanno “ballotta”), che millantano leggendarie imprese sessuali e nel frattempo badano a vestirsi carini. Bevono tanto, fumano tanto, scopano poco. A parte Martino, ma ci arriviamo più tardi. Anna soffre, soffre tanto, ma dopo qualche giorno si tira su; è giugno, tutti e due lasciano Bologna per Rimini, in testa desideri diversi. Divertirsi e dimenticare. Lei diventa una fata turchina, bazzica il circuito delle amicizie alternative (e degli “eroi perdenti”, quelli delle storie senza lieto fine), ha l’avventura col vagabondo coetaneo Max e si rilancia come cantante sulla passeggiata.
Martino soffre molto per qualche manciata di secondi, e quando soffre davvero si dimentica di mettersi le mutande o non abbina a dovere i colori. È un bell’automa: “Le condizioni mentali in cui si trovava non gli permettevano di avere la concentrazione necessaria per studiare. Nonostante questo uscì poco dopo di casa con un paio di libri sotto braccio (…)” (p. 117); del resto, quando si chiede dove Anna sia, lancia una cicca verso la sabbia, torna in macchina e va a dormire, tanto “avrebbe ritrovato quel mondo lì allo stesso posto il giorno successivo” (p. 101). È attratto anche da tre donne contemporaneamente; si ritrova sotto le grinfie della miliardaria, appariscente e stupida Bubi (con tanto di Jacuzzi), e della sua sodale: l’esito è prevedibile, varianti incluse: ma non pronosticavo certe descrizioni.
Come questa: “Cavalcò il suo stallone, scegliendo lei il modo, il tempo, il ritmo e facendo di volta in volta comparire o scomparire il suo corpo nudo dietro ad onde di seta colorata” (p. 137). Ma soprattutto questa: “Martino perse il controllo degli orgasmi. Poco dopo ne perse anche il conto. E quando, riaprendo gli occhi, tentava di riprendere l’iniziativa, veniva riaffossato vedendo, come se passasse su uno schermo, quello che gli stava succedendo” (p. 169). Spacconate davvero notevoli. Davvero da bar, assieme alle riflessioni varie sul “punto di non ritorno” a letto: che all’epoca, forse non a Bologna o Rimini ma altrove, era entrata nel gergo giovanile da questa canzone qui.
Possibile che sia tutto così facile e lineare, così netto e dicotomico? Magari… Linguisticamente, il registro è piano e piuttosto colloquiale, non estraneo a prestiti dal dialetto; laddove si tentino salti di qualità, si va dalla perifrasi grottesca (esemplare: “(…) sbottare muovendosi nervosamente alla ricerca di una zona coperta, sferrando colpi al malcapitato trabiccolo per telecomunicazioni, aggiungendo bestemmie al solito brontolio”, p. 111) alla ridondanza (il display è naturalmente “a cristalli liquidi”, p. 10), fino al disastro in –mente (“era convinta, fino a quel pomeriggio, di essere infinitamente triste a causa del ruolo estremamente marginale che poi in poi avrebbe avuto Martino nella sua vita, mentre ora era assolutamente felice. Se lo ripeteva mentalmente” (p. 102) – mente, mente, mente, mente! Mente.
A sostegno della letterarietà, qualche richiamo poco indovinato, ancora tra la Via Emilia e il West (ancora?): “Adesso era sulla strada, proprio come in quel libro di sua madre, o come in quel film con Peter Fonda e Jack Nicholson (…)” (p. 150); e chiaramente registriamo un cammeo della Pivano e di Ginsberg (p. 142), a retrodatare la società raccontata; qualcosa di nuovo, nel frattempo, da quelle parti è stato pubblicato; “Easy Rider” e “On The Road” rimangono opere ovviamente importanti, ma sempre meno influenti. La Pivano, intanto, parla bene di Jovanotti. Qualcosa è cambiato… su.
Il libro – è bene anticiparlo – è disseminato di marchi e griffe: a occhio e croce direi che si tratta della moda locale di allora, come qui: scarpe di tela ***, jeans ***, polo ***, felpa ***, occhiali da sole *** (cfr. p. 11; per i redattori dei mensili di moda, dico. Modernariato!).
Rimango in attesa di nuove opere del Quindicino Pasquini: che non ha voluto raccontare cosa fa nella vita privata, nelle biografie. Mi sembra un peccato, da quel che leggo nel web, dico davvero. Nel frattempo, esprimo ogni migliore auspicio per l’evoluzione e il futuro della nuova casa editrice, confidando che da Tondelli derivino sempre nuove e fertili suggestioni. Questo non è tempo di ripetizioni.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Marco Pasquini (Bologna, 1968), scrittore italiano. Fa parte del collettivo de “iQuindici”. “Rimini, ancora” è il suo primo romanzo.
Marco Pasquini, “Rimini, ancora”, M. Edizioni, Sassari 2007. Collana Incomprensioni, 001.
Gianfranco Franchi, settembre 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.