Coniglio Editore
2007
9788860630902
Sostiene Veneziani che i libri di Paris, letterato abruzzese classe 1944, romano dal 1957, abbiano sempre un retrogusto dolce-amaro: il retrogusto di quella scrittura che “parla di carne e spirito, di terra e di aria, di realtà e di sogno”. Paris è un autore dalla scrittura “pulita e lineare”, “sorgiva”: le sue pagine, scrive il maestro, “sanno di pane appena sfornato e di sesso consumato con rabbia”. È il padre di quel “Cani sciolti” (1973) diventato espressione proverbiale, e il poeta nato dall'amore per Guillaume Apollinaire, tradotto e omaggiato in una biografia, per Tristan Corbière, per Dario Bellezza.
Moravia, quando Paris aveva 33 anni ed era in crisi esistenziale, ripeteva che il giovanotto era una promessa. Paris scriveva sulla Olivetti, dono di nozze di Moravia; Moravia era mentore e amico. Scriveva che “Cani sciolti” presentava la novità della rabbia sessantottesca inserita nel quadro tradizionale del paese meridionale: Paris ribadiva che si trattava di personaggi “rivoltati” e non di “rivoluzionari” - distinzione non da poco. Segno d'una sconfitta.
Da allora sono passati dodici romanzi – incluso l'ultimo “La vita personale”, Hacca, 2009 – qualche libro di poesia, traduzioni e diverse pagine di critica: tutto discusso a dovere in questa lunga intervista di Antonio Veneziani, documento fondamentale per orientarsi nella poetica e nella visione del mondo di Renzo Paris: nella sua Roma e nella scena romana degli ultimi cinquant'anni.
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Paris racconta la storia della sua famiglia (da Celano e da Cepagatti), probabilmente di lontana origine ebrea sefardita o galeotta francese, e descrive lo scenario della sua infanzia (cfr. “Frecce avvelenate”, “I ballatroni”); illustra le prime letture (Pascoli, Shakespeare, Dickens, Thackeray) e accenna alle prime esperienze sessuali. Dolorosamente, rivela che la sua generazione ha conosciuto l'emigrazione attorno a fine anni Cinquanta: nel suo caso, fortunatamente, dall'Abruzzo a Roma; altrimenti, Canada, Argentina, Germania, Australia... l'adolescenza del suo popolo se ne andava in giro per il mondo. Diaspora.
“Io sono nato in un mondo di analfabeti, nel senso che non sapevano mettere nemmeno la firma sotto un documento. In casa mia non c'erano libri (…) Non scrivo per i miei vicini di vita, né per gli analfabeti, come si vantava Elsa Morante, né per le persone fintamente colte. Mi sento un estraneo, soprattutto a me stesso, per giunta vissuto in una periferia disastrata” (pp. 23-24)
Veneziani accompagna Paris nel giardino della sua memoria: dal Liceo Mamiani ai primi versi futuristi pubblicati su una rivista studentesca, alla Roma di fine anni Cinquanta, primi sessanta. Sentiamo.
“Pochissime macchine. Si poteva passeggiare sui marciapiedi. La domenica mi facevo a piedi dalla Balduina alla stazione Termini, tutto d'un fiato. Le piazze ancora erano dechirichiane. Elio Vittorini poteva tranquillamente sostenere che Roma era ancora una città agricola, mentre Carlo Levi parlava del ruggito dei leoni che sentiva dal Colosseo. E Penna parlava di 'calmo volo dei ciclisti'. C'era Er Ciriola, un locale sul Lungotevere dove si poteva rimorchiare e una volta mi parve di aver visto lì due signori in giacca e cravatta che ballavano coi ragazzetti. Si chiamavano Pasolini e Arbasino” (p. 33)
Università: superato il dazio dell'anno di Giurisprudenza per volontà paterna, finalmente Paris passa a Lettere: segue le lezioni di De Mauro, Rosario Romeo e Giacomo Debenedetti. In quegli anni, e da quegli anni in avanti, si nutre di Musil, Dostoevskij (le vecchie BUR!), Balzac, D'Annunzio (“anche quello meno realista”), Faulkner (“L'urlo e il furore” su tutti), Stendhal; preferisce Fenoglio e Vittorini a Pavese; affronta i surrealisti minori, Crevel e Desnos; frequenta qualche presentazione e incontra Moravia, Ungaretti, Pasolini; scrive il primo romanzo (“Il signor Pietrobono”), poi scartato da Bompiani dopo mesi di riflessioni. Ecco la prima pubblicazione su “Nuovi Argomenti” e l'amicizia con Enzo Siciliano; la possibilità di proporre un nuovo romanzo (“La stanza”) a Garzanti, sfumata senza una vera ragione, l'antagonismo col Gruppo '63; gli incontri col vecchio Palazzeschi e con Attilio Bertolucci (incerto), i giorni felici della Scuola Romana. Finalmente la stesura di “Cani sciolti”, post sessantottina.
Paris si sentiva “fuori da tutto e da tutti. Mi dissi che non ero contemporaneo di nessuno, che ero uno scrittore, contemporaneo dell'eternità. Ma non lo confessai ad anima viva, nemmeno al mio amico Dario Bellezza, per non essere bollato di paranoia” (p. 47). Scriveva poesie – modelli: Catullo, Marziale, Apollinaire, Corbière – e osservava e viveva, critico e indipendente, la realtà: sempre perplesso di fronte alla politicizzazione, che pure a volte non rifiutava. In ogni caso: “Non sono mai stato stalinista e il comunismo sovietico mi faceva vomitare. Quelli del PCI non mi erano simpatici per niente. Li sentivo lontani, vecchi. E se avessero vinto loro e avessero potuto installare una dittatura in Italia io non avrei trovato più un editore” (p 55) – mi sembra una posizione limpida e intelligente. Paris rifiutava il realismo ideologico (p. 58); non è mai stato tesserato PCI né PDS né DS né PD. E andiamo. Aggiunge: “Togliatti mi pareva l'altra faccia di Totò” (p. 70). Non vi stupirà che sia stato definito “eretico del Sessantotto”. Io dico soltanto: scrittore, e letterato. E io per letterato intendo una categoria nobile. Com'era in principio. Come deve tornare a essere.
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Il maestro e il padre spirituale? Moravia. Quando muore (1990) per Paris è un dramma. “Era un padre alla rovescia, Moravia, ma sapeva essere presente, come quando mi separai e lui, sapendo che stavo male, mi telefonò per dirmi che non dovevo pensare nemmeno lontanamente al suicidio. Ecco chi era Moravia” (p. 54). A Paris mancano soprattutto la sua “conversazione, per nulla accademica, piena di energia e di verve”: la sua fede nella Letteratura (“meglio una vita letteraria che da piccolo borghese professionista” (p. 56), la sua presenza. Doveroso sarebbe, a questo proposito, studiare la biografia del maestro, pubblicata nei primi anni Novanta, oggi edita Mondadori.
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Secondo Paris, tutti gli artisti sono schizofrenici e vivono al dieci per cento: “sono in sintonia con gli oggetti della loro stanza, li vivono come fossero persone per restituirli sulla carta. Dentro di me c'è una vera folla di persone che vogliono uscire all'aperto” (p. 68)
“I due io che si scrivono, è vero, non hanno volto. Sono le due facce dell'io narrante, a cui, nei miei romanzi, non sono mai riuscito a dare nome. (…) Nel romanzo quello che mi interessa di più è il tono, la voce. Ora, tono e voce non hanno faccia, come nei sogni” (p. 17).
… e come nei sogni, nella copertina del suo nuovo romanzo; “La vita personale”, c'è un uomo con due volti affiancati e in parte sovrapposti. L'erede di Moravia ha cantato – ne parleremo presto – un'intera generazione. Viatico ideale alla lettura e alla comprensione di questo nuovo, fondamentale romanzo, questa pubblicazione: curata da un suo vecchio amico e sodale, senza partigianeria e senza nessun intento agiografico – ci mancherebbe – ma con equilibrio, intelligenza e completezza.
Per chi ha amato Paris: per tutta la nuova generazione di letterati, non solo romani.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Antonio Veneziani (Piacenza, 1952), poeta, narratore, critico ed editor italiano, pura Scuola Romana.
Renzo Paris (Celano, 1944), romanziere, poeta, saggista e traduttore italiano. Professore di Letteratura Francese all'Università di Viterbo.
Antonio Veneziani, “Renzo Paris”, Coniglio, Roma 2007. Contiene “Cinque domande di Alberto Moravia a Renzo Paris a proposito di Cani sciolti” e un romantico inserto fotografico. In appendice: Materiali critici ed estratti; Scritti su Renzo Paris; Nota bibliografica. Collana “Contemporanei all'imbecillità”.
Gianfranco Franchi, marzo 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
È il padre di quel “Cani sciolti” (1973) diventato espressione proverbiale, e il poeta nato dall’amore per Guillaume Apollinaire, tradotto e omaggiato in una biografia, per Tristan Corbière, per Dario Bellezza…