Mondadori
1975
“Eppure era accaduto. Così seppi che le cose più vicine possono nascondere un risvolto imprevedibile e quelle più fedeli riservare il tradimento. Divenni più cauto nei miei rapporti col mondo” (Sgorlon, “Regina di Saba”, capitolo I).
Una madre, Regina, insonne come Amleto. Folle e visionaria si aggira per le stanze, di notte. Del marito non si parla: che sia morto, o fuggito via per inseguire i suoi sogni di teatro e di altre libertà, ciascuno sembra preferirlo ignorare. Una sorella, Corinna, trasandata e dissacratrice, che ha perso il fidanzato partito per la guerra, e da allora s’è lasciata andare, poco a poco. Questa la famiglia di Silvano, nel Friuli incantato e magico di questo romanzo di Sgorlon, “Regina di Saba”. Un paese, Ligolais, tutto incanto agreste, sospeso nel tempo e ovattato dagli echi delle mai rinnegate tradizioni di streghe e spiritelli. Silvano, al principio del racconto, è un collegiale nutrito da utopie letterarie e dalla magia della sua terra; sembra cercare la non realtà della letteratura e delle leggende di Ligolais per evitare di riconoscere che vive una vita difficile, soffocato da due figure femminili avvizzite e opprimenti, tutte contraddistinte da un’assenza.
Alla madre pesa l’assenza mai motivata del marito; alla sorella, quella del fidanzato. Sono due figure sinistre, donne che rifiutano di vivere e rifiutano di spegnersi, rimanendo costrette nel microcosmo di una piccola casa in un piccolo paese. Sono donne sospese, e il niente che vivono stinge e scolora i loro volti ogni giorno. Amleto è diventato la Regina, per così dire. Lo spettro è sempre il Re perduto.
Il padre ha lasciato simboli e segni. Burattini, trofei di caccia, libri. Silvano ha ricostruito la sua identità per via di quegli oggetti. Ha setacciato i ritagli di giornale, analizzato i volumi presenti in biblioteca, giocato in teatrini inesistenti con i burattini e le maschere del papà. Sembra quasi che ricostruisca ogni giorno l’essenza del padre tramite tutto quel che testimonia la sua assenza.
Questo ingombrante spettro s’annida in ogni angolo della casa. Tutto ricorda colui che più non è, se non nella fantasia. Il primo “romanzo”, allora, è forse davvero quello mai scritto, composto e limato dentro di sé, dettato dall’immaginazione che rifiuta la realtà, e trasfigura e muta tutto, perché tutto si avvicini a come sarebbe dovuto e potuto essere: in un equilibrio ideale e epico, trascendente.
Il libro di Sgorlon non si ferma a questo spaccato familiare, che pure poteva essere promettente: ma si concentra nel raccontare il contrastato rapporto sentimentale e spirituale tra Silvano e il suo amore d’adolescenza, amore d’adolescenza che diverrà pietra miliare e amore d’una vita. Isabella.
Isabella è una giovane musicista. È un’albina, dagli occhi tagliati leggermente a mandorla. Veneziana, d’origine slava e d’adozione triestina. Studia al conservatorio, e nel periodo delle vacanze si trova dalla nonna, Zora (Aurora), a Ligolais. Silvano (nomen omen: uomo dei boschi) incontra Isabella (altro nome parlante: la più graziosa) durante un incendio. Rapito dai suoi lineamenti e sconcertato dal bianco dei suoi capelli, se ne invaghisce e la insegue.
L’amore appare durante un incendio, e sempre in circostanze irreali tornerà ad apparire. C’è la poesia della terra del Friuli, il suo inspiegabile matrimonio con la natura e la magia, nella loro passione. Sembrano essere diventati elementi, aver perso l’originaria umanità. Spiriti, simboli. Le stagioni si susseguono, e Silvano sembra viverle nel segno dell’assenza di Isabella, che aveva appena conosciuto; ogni volta che torna dal collegio per godersi le vacanze a Ligolais, attende segni della sua presenza per vivere. Vuole viverla, e questo è tutto.
Diventano amici, trovano l’intesa; poi, fatalmente, si innamorano. Una grotta, all’interno del bosco; un momento atteso anni, desiderato e sognato fino a star male, una vita vissuta nel segno di quell’istante. Tutto perfetto, allora? Silvano è un elemento dei boschi. Una figura non solo e non più umana. È assenza e magia. Precipita in una febbre d’origine sconosciuta, che lo lascia tra la vita e la morte per venti giorni. Al suo risveglio, Isabella è ripartita per Trieste.
La madre, Regina, odia le altre donne. Nega d’aver ricevuto visite della sua compagna. La sorella, Corinna, è troppo indifferente alla vita per curarsi degli amori del fratello. Silvano va in cerca di Isabella, a Trieste, a Venezia, in Slovenia. Invano. Sembra essersi dissolta.
È allora il romanzo di una ricerca, e di un amore d’adolescenti che avvolge tutta una vita; è il libro di una figura femminile che è Regina di Saba e Giulietta, e incarna in sé ogni altra donna. Isabella è l’eterno femminino.
Silvano si lascia accecare, nulla più avrà senso nella sua vita. Esistono ritorni. Nessuna esitazione. La vita è un disegno incomprensibile di eventi, sensazioni, sentimenti, mutamenti. Puoi scoprire d’aver vissuto venti anni perché tornasse quel momento. E che nell’epica e nell’ideale trascendente della tua giovinezza fosse già iscritto il codice del tuo cammino.
Bel libro di vita, d’amore e di morte. Isabella e Silvano entrano, a pieno titolo, nella galleria delle più affascinanti figure d’innamorati nella Letteratura italiana. Sgorlon ha uno stile intenso ed evocativo, sa incenerire il tempo e cristallizzare l’istante. Conosce l’incanto della sua terra, e ne è dominatore. Non è un illusionista, né un artigiano. Artista puro, e di apprezzabile originalità. Lingua letteraria curata e sempre comprensibile, notevole uniformità nelle scelte lessicali, pregevole la capacità descrittiva. Un libro destinato a chi vuole scoprire l’incanto del Friuli e a chi vuole ricordare cosa altro può significare amare. Perdersi, certo. E poi, smascherata la vita, disertare. Nel sogno.
“Sapevo, ovviamente, che si trattava di fantasie. Ma in esse, come nella figura svariante di Isabella, che era il loro supporto, io avvertivo d’istinto qualcosa di più reale di Corinna e di Regina, e di ciò che avveniva nella nostra casa popolata di mummie e di fantasmi. Avevo l’impressione che la realtà delle cose non fosse in rapporto al loro succedere, al loro allinearsi nelle quinte del mondo, alla loro consistenza spaziale e temporale, ma con qualcosa d’altro, di più intimo ed essenziale, posto all’interno di esse” (Sgorlon, “Regina di Saba”, capitolo II, “La nave alla deriva”).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Carlo Sgorlon (Cassacco, Udine, 1930 – Udine, 2009), narratore e saggista italiano. Si è laureato alla Scuola Normale di Pisa con una tesi su Kafka e si è specializzato a Monaco di Baviera. È stato insegnante. Il suo primo romanzo, “Il vento nel vigneto”, è stato pubblicato nel 1960.
Carlo Sgorlon, “Regina di Saba”, Mondadori, Milano, 1975.
Gianfranco Franchi, giugno 2003.
Prima pubblicazione: Lankelot.