UME
2003
«(…) muoio in un treno / mentre il sogno crea / diaspore senza peso /neve e roccia / e un urlo sommerso / che mi accompagna e spia / ma non è sguardo immane / o grassa fede / io faccio come un uomo la mia abiura / io fornico / stentoreo non m’inoltro al cielo / non ho armonia dentro / che non sfiori l’osso / tra assenze oscillo / e ciò che ho mi uccide / sciatto e blando la sera». (Magnanti, “Finché finestre schianti”, 14, p. 23)
Il lettore di poesia vive in un momento storico che lo costringe a farsi rabdomante. Pensateci: gli scaffali delle principali librerie delle grandi città sono naturalmente sedotti dall’arroganza e dalla prepotenza delle grandi case editrici, la produzione parassitaria dell’editoria a pagamento ingombra gli scaffali delle librerie di quartiere, sempre meno credibili e informative risultano articoli e recensioni pubblicate sulla stampa specializzata – quando non si tratta di amichevole o interessata restituzione d’un favore, si ha l’impressione che l’oscuro (o meno) redattore vagoli tra una riga e l’altra, sospirando l’agognato epilogo della sua impresa, disorientando lo sventurato pubblico. E così, il lettore contemporaneo di poesia può ridursi a brancolare tra un rigattiere e l’altro, tra una bancarella d’un mercato e una biblioteca di quartiere, coltivando la fioca speranza d’indovinare almeno l’acquisto della buona edizione del classico di turno. A volte può capitare che questa sua episodica e rabdomantica missione abbia fortuna: e meraviglia e stupore e puro godimento estetico non tardano a sublimare mesi (quando va bene) di frustrazione. L’alternativa è semplice: attendere d’essere contattato dall’artista. A questo, oggi siamo – a dover pregare gli dèi d’esser riconosciuti o salutati dal poeta, e da lui invitati alla lettura. Perché altrimenti non c’è rimedio – o si accetta di leggere, senza eccessivo sarcasmo, i versi d’un’ex attrice (che, misteriosamente, molto circola) in edizione Mondadori, o ci si diletta di qualche satira a danno degli autori pubblicati da certe case editrici previo versamento milionario. Sto semplificando? Niente affatto.
Che la poesia si stia difendendo, esausta, dalle logiche commerciali e dalle piogge di stampe “tipografiche”, è un dato di fatto – e il baratro che divide cultori e specialisti da amatori e dilettanti è assolutamente incolmabile.
E quando si prende atto della corruzione estetica delle collane delle ex grandi case editrici – allora non rimane che invocare la buona sorte. Buona sorte m’ha condotto a questa pregevole raccolta di versi di Ugo Magnanti, artista nettunense erede della grande tradizione della prima metà del Novecento italiano – prima della foiba delle avanguardie, per intenderci, e delle aberrazioni della stampa di massa, e delle micidiali radiazioni della spazzatura popolana statunitense. Magnanti conosce la grazia, l’intelligenza e la profondità di un Luciano Erba – ecco, lo stile del poeta milanese, egualmente sensibile alla lezione del maestro Ungaretti, mi sembra possa essere ascritto tra i modelli più felici della raccolta “Rapido blé”.
Versi contraddistinti da una notevole musicalità, scarnificati sino all’essenziale e, in più d’una circostanza, votati a un lirismo puro. Penso a “L’ora viva”, ad esempio: “L’ora viva / mai m’imbeve l’ala / mai rovescio tesi ingorde / sull’estate che si avvera / resta il gelo di ieri / tra qualche voce / un dire a cui tremo / un fare immondo / esala un vino dalle cose / mi richiama / il latte”.
Magnanti è un poeta accecato dal gelo: tende a una visione lucida e distaccata della realtà, ritirandosi in una prospettiva laterale, difendendosi quasi, con l’estraneità, dal fuoco (“dentro il sole brucia / il tuo fuoco imbelle” si legge in “Nei pazzi”, 36, p. 46) del sistema.
“Oggi sono una nuvola / o un’idea a cui pensi / e vedi” (“Non evito”, 41, p. 54): ed è condizione sospesa e cristallizzata, consapevolezza dell’attesa (concetto chiave: numerose le attestazioni del vocabolo), aspirazione a incedere lungo un sentiero dimenticato dagli uomini: “il cammino / è la patria remota / imminente / sopra un’erba / senza sguardo / al cielo lodato / che muta” (“Per il grembo”, 50, p. 65).
Settanta poesie, introdotte da un richiamo baudelairiano (“Seigneur mon Dieu, accordez-moi la grâce de produire quelques beaux vers qui me prouvent a moi-même que je ne suis pas le dernier des hommes”), a costituire l’origine d’un percorso che accompagna il lettore fino alla visione del “rapido blé”, contro cui il poeta scaraventa sassi (come l’allora esordiente Josè Minervini, sedicenne, in “Marciapiedi di giorni”, 1972): è davvero “il fragile addio / di un’unica rondine” (“Con i passi che avverto”, 9, p. 17).
Un libro di segreta bellezza. Sbanda e trascolora la percezione della realtà di Magnanti; infine, il poeta si sospende e si fa nuvola, e canta... «dal fondo / attendo / un’onesta luce / un dolore che affermo / su un vuoto di passioni / e di cadute / la crisi di una fronte scossa / che mai più illumini un ricordo / il pianto / il bandolo / la scoria / il nome / ma non la cosa / che mi infiamma / sul ciglio della fine» (Magnanti, “Dal fondo”, 10, p. 18)
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Ugo Magnanti (Nettuno, 1964), poeta italiano.
Ugo Magnanti, “Rapido blé”, U.M.E., Roma, 2003. Collana di poesia “Altri sali”, volume zero. Il volume è stato impresso in una tiratura non venale di cento esemplari.
Gianfranco Franchi, agosto 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.