Adelphi
2013
9788845928062
La Resistenza raccontata da Landolfi non poteva non essere allegorica. E – va da sé – gotica, allucinata evasione dalla realtà. È il 1947 quando Vallecchi pubblica il romanzo “Racconto d’autunno”, che nelle prime battute va configurandosi come una narrazione classica d’una fuga per boschi durante quel periodo in cui, come Landolfi ricorda, due eserciti stranieri si scontravano sul nostro territorio; i cittadini fuggivano da invasori o “liberatori”, a seconda di convinzioni, opportunità, appartenenze: una minoranza assoluta viveva “da bandito” (parole di Landolfi), durante quegli anni di scontri duri e cruenti, nel tentativo di rovesciare il regime, salvarsi la vita e – chissà, io lo aggiungerei – liberarsi dei liberatori. Il protagonista del romanzo sfugge a una cattura e si ritrova, scappando, di fronte a una vecchia casa apparentemente abbandonata.
Questo è il principio d’un romanzo che – chiuso il libro – non sembra affatto accidentalmente contestualizzato negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale; perché è la storia dell’incontro tra questo “bandito” nascosto nei boschi e un vecchio pazzo e ossesso che evocava la moglie morta tempo prima; celando, nelle segrete stanze della sua villa, la giovane figlia, sulla quale aveva calcato la memoria e l’identità della moglie, snaturandola e segregandola all’esistenza.
La liberazione che pareva poter avvenire nel romanzo è – una volta morto l’anziano ospite della vecchia casa di campagna – quella della giovinetta, che già s’era innamorata del viandante fuggiasco; saranno tuttavia – annunciati da una sua crisi epilettica – i soldati africani dell’esercito straniero “liberatore” a massacrarla, sotto lo sguardo impotente del protagonista.
È evidente che si possono andare cercando diverse chiavi di lettura; la prima, biografica, interessa meno e probabilmente andrebbe a scardinare segreti contrasti interiori dell’artista, drammi sentimentali o irrisolti rapporti famigliari. Stupisce che la giovane che ha preso il posto della madre, in punto d’essere assassinata dai “liberatori”, prometta di tornare e dica “è la mamma”; naturalmente la tentazione è di prendere determinate vicende come trasfigurazioni di qualcosa di vissuto. Proviamo invece a darne una lettura politica, rischiando qualcosa.
L’esercito “detto liberatore”, per usare le parole di Landolfi, in questo romanzo ha la funzione princeps di essere omicida d’una giovane (l’Italia?) che era da diverso tempo (anni della guerra) tenuta nascosta dal padre (il regime impazzito) in una residenza secondaria, giacché l’altra era andata in rovina (gli eserciti, quali che siano, sembrano nemici del vecchio ospite: sempre). La suggestione che ho percepito è quella – m’è sembrato chiaro – d’un rifiuto della tenace propaganda che ha voluto salutare nei “secondi invasori” dei liberatori, sic et simpliciter; di fatto, era il “bandito”, il “resistente” italiano a liberare – si badi: involontariamente. Lui si limitò a cercarne le tracce, il padre morì all’improvviso – la giovane nascosta, costretta dal padre ad assumere l’identità della perduta madre (la libertà?). Questa liberazione vera dura poco.
Ho letto qua e là letture di questo romanzo tese a salutarne lo spirito gotico e allucinato; la casa diroccata, il vecchio ospite ossesso, la necromanzia (apparente?), descritta con febbrile puntualità contribuiscono a concentrare l’attenzione del lettore sugli aspetti per così dire fantastici d’una narrazione che personalmente – sarò mal tarato – ho trovato diversamente allegorica e piuttosto satirica, diciamo così.
Nell’introduzione, ad esempio, Carlo Bo propone (si badi: parlando dell’opera landolfiana in generale, a un punto, e deviando dalla trama di “Racconto d’Autunno”): “Il primo nome che viene alla memoria per questo Racconto è Barbey d’Aurevilly e il rapporto che ci sembra giustificato proprio per la carica di passione, per quel tanto di studiato e di eccessivo che troviamo nella rappresentazione landolfiana (…). Romanticismo, dunque, come espediente e come protezione della verità che sarebbe apparsa in tutta la sua luce molti anni dopo col potere di spiegare i camuffamenti, i pudori e gli accorgimenti del primo Landolfi. La memoria della madre, della casa, il senso di desolazione, il ricorso allo stratagemma del gioco non sono che gli anelli di una sola catena, i termini stessi della vicenda umana di Landolfi”.
Ecco qui: “Racconto d’Autunno” viene letto come un romanzo romantico, con tanto di epifania nel fuoco d’una madre morta, tradotta in una giovane segregata dal padre nelle misteriose stanze d’un’antica casa. Mi sembra che Bo abbia incredibilmente glissato sul contesto storico e sulle prime pagine d’un romanzo che, altrimenti, parrebbe davvero lugubre e romantico; avvincente e d’una malinconia schiacciante, con la presenza d’eserciti stranieri che potevano trovarsi sul nostro territorio in uno qualunque degli oltre quindici secoli di dipendenza e vassallaggio e assenza di sovranità.
Quale che sia la vostra interpretazione, mio dovere è ribadire la grandezza d’uno stile e d’una capacità narrativa di respiro europeo; reminiscenze classiche – l’arte d’evocare i morti non credo valga soltanto un richiamo a un francese minore – si fondono con la letterarietà e la verve d’un’intelligenza limpida ed estranea a stilemi e dettami estetici o partitici.
La trama è un tessuto che si frantuma in un momento senza il controllo lessicale e senza la piena coscienza del peso d’ogni singolo atto dei protagonisti; in questo senso, Landolfi si è dimostrato, in “Racconto d’autunno”, maestro d’equilibrio e compostezza; pure quando quel che si sta narrando non è altro che tetra fantasia, o oscura trasfigurazione dei propri sentimenti (che significa: della realtà).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Tommaso Landolfi (Pico Farnese, Frosinone 1908 – Roma, 1979), scrittore, critico, saggista e traduttore italiano. Si laureò in Lingua e Letteratura Russa nel 1932, con una tesi su Anna Achmatova.
Tommaso Landolfi, “Racconto d’autunno”, Rizzoli, Milano, 1975. Introduzione di Carlo Bo.
Prima edizione: Vallecchi, Firenze, 1947.
Quindi, Vallecchi, Firenze, 1963; Rizzoli, Milano, 1975 e 1990; Adelphi, Milano, 1995.
Approfondimento in rete: Centro Studi Landolfiani / Wikipedia
Gianfranco Franchi, marzo 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.
La Resistenza raccontata da Landolfi non poteva non essere allegorica. E – va da sé – gotica, allucinata evasione dalla realtà.