Stampa Alternativa
2003
9788872267844
2004: viene pubblicato un libro che costituirà il primo, vero piccolo caso letterario della carriera di Gordiano Lupi: “Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura”, libello satirico, coraggiosa denuncia di vezzi e malcostumi e corruzione del sistema letterario e spietata e autoironica trasfigurazione diaristica della propria vita: l’editore è quel talent scout anticonformista e coraggioso che è Marcello Baraghini, per i tipi di Stampa Alternativa. In quel periodo Baraghini aveva sostenuto la pubblicazione di “Editori a perdere” di Miriam Bendia: assieme a questo testo e al suo seguito, “Nemici miei”, costituisce una sorta di trilogia del male nell’editoria italiana contemporanea. Tre denunce: chiare, limpide, necessarie. Non so dire, nel 2007, quanti e quali effetti abbiano sortito: certe case editrici a pagamento sono sempre attive, e continuano a guadagnare centinaia di migliaia di euro titillando la vanità del cittadino imbrattacarte; le recensioni sui media di riferimento, dai quotidiani ai periodici, rimangono tendenzialmente territorio esclusivo di certi gruppi editoriali; la stucchevole proliferazione dei corsi di scrittura non ha rallentato.
So tuttavia rivendicare la grandezza e l’onestà di questi pamphlet. In questo testo Lupi scrive con la solita immediatezza: la scrittura è fluida, divertente, accessibile; i richiami agli artisti amati e disprezzati sono vari e molteplici, e nient’affatto scontati; la condivisione delle proprie infauste esperienze con le riviste più apprezzate (da Fernandel a Il Maltese) e con le redazioni dei quotidiani è istruttiva. Lupi si mette, con umiltà, amarezza e generosità, a disposizione dei lettori. Ben sapendo che nel nostro tempo i lettori sono tendenzialmente scrittori, con rare eccezioni, rivolge loro una serie di consigli necessari ad accettare che la scrittura è un vizio che t’ammazza.
Perché sembra davvero che niente vada per il verso giusto. Perché a un certo livello non s’arriva senza robusto sostegno di medio-grande editore, o di adeguata lobby intellettuale; e in ogni caso non ci si riesce a vivere. Questo è il libro che racconta i muri eretti da un sistema che s’autoalimenta, avallando casi letterari fiacchi o immotivati (Faletti) o incomprensibili fortune di autori di genere (il più onesto Avoledo, lanciato da Mozzi e da una certa rubrica di critica letteraria d’un importante periodico), imponendo l’illusione di diventare grandi via corsi di scrittura (cfr. capitolo su Cotroneo) fondamentalmente destinati a rallegrare il conto in banca dell’ideatore: autore mainstream con tanta voglia di vivere del niente.
L’impressione è che Lupi abbia bastonato per bene gli effetti: a tutti i livelli, dai costi di spedizione delle riviste alla possibilità effettiva di assicurare pari circolazione di pubblicazione e circolazione alle pubblicazioni. È sulle cause che il lettore deve ragionare, provando a domandarsi perché – pur sapendo che in tipografia pubblicarsi costa poco – ci sia ad esempio chi continua a spedire manoscritti a loffi e infami editori romani, napoletani, siciliani, toscani, pugliesi, pronto a pagare migliaia di euro per essere illuso. Illuso d’andare in librerie che non esistono, d’essere presentato in eventi che nessuno organizza, d’essere recensito da quotidiani o periodici già adeguatamente vincolati all’editore unico. Il lettore deve domandarsi perché vengano pubblicizzati, in ambito televisivo, solo e soltanto certi autori di certi editori; stesso discorso vale – suggerisce Lupi – per gli autori pubblicati in certe riviste. L’impressione è che Gordiano abbia descritto l’esistenza di circuiti ai quali non si accede per nessuna ragione senza avere adeguato potere economico o adeguata serie di conoscenze e contatti. Tutto estremamente italiano, tutto estremamente plausibile.
Lupi chiarisce che non sente più differenze tra Mondadori-Einaudi e Feltrinelli: loro il controllo della distribuzione, delle apparizioni televisive, delle recensioni. E questo non si può smentire. Lupi racconta che la condizione di chi scrive con passione e dedizione, dopo anni dedicati alle letture e alla sperimentazione stilistica, è depressiva e difficile; si va per piccole pubblicazioni che faticano a superare le mille copie nelle vendite, per eventi organizzati per parenti e zoccolo duro di amici, per recensioni che circolano per oscure fanzine. E intanto ogni anno accade che spunta fuori un autore che senza aver ancora pubblicato il libro è già l’idolo della critica, e tutti devono leggerlo perché d’altro non si parla. Che so: Faletti, Avoledo, Melissa P., Piperno sono i casi più recenti. Ma io aggiungerei serenamente i misteriosi casi letterari degli allora esordienti o decisamente poco conosciuti Lara Cardella, Susanna Tamaro, Enrico Brizzi – nominato, non a caso, nel saggio. Nessuno di loro s’è mai ripetuto. Tutti bruciati, uno dopo l’altro, a parte, ripeto, l’onesto Avoledo, che da anni scriveva con diverso spirito e mi sembra estraneo in toto a certe dinamiche. Lupi lo critica molto, ma in questo caso esprimo relativo ma fermo dissenso. Succede: la critica spara la “next big thing”, a volte il gioco tiene, altre non eccessivamente (penso, che so, all’esordio mondadoriano dell’ex camerata Buttafuoco, oggi creatura ferrariana e berlusconide). Tuttavia inspiegabilmente è così.
A voi dunque questo ancora valido libro di controlezioni di scrittura creativa, “prese per il culo di scrittura creativa”, al costo di 7 euro e 50 contro le centinaia pretese dai vari “istruttori” (altro che insegnanti…) che non sento di nominare per evitare pubblicità: Gordiano li nomina, serenamente, uno per uno. E racconta la vita di quelli come me: sconosciuti che escono per piccoli editori coraggiosi, mal distribuiti, disprezzati soltanto per i loghi della copertina dall’establishment. Ricorda che pochi spendono 100 euro per dieci libri, ma volentieri ne investono 400 per un corso di scrittura. E nomina – pian piano – i suoi riferimenti: Gutierrez, Tabucchi, Cassola, Moravia, Pasolini, Pavese, Céline, Bukowski, Fante, Buzzati; anche Nori, ovviamente Zelli, a latere il musicista Jannacci e quei registi, Deodato, Fulci, D’Amato, che ama come ricordo d’un tempo e d’una vitalità differente nel nostro Paese, d’un altro “cuore”. È proprio quella la parola. “Cuore”. Dileggia Busi, che disprezza quel suo pallino cubano, Torreguitart Ruiz, che pure verrà recensito dall’Espresso; attacca Drago e Il Maltese, Mozzi e Vibrisse, Cotroneo e Baricco, quando per questioni di politica editoriale, quando per questioni di educazione, quando per libri-bolle di sapone, quando per questioni di corsi di scrittura; attacca Il Tirreno, e i finanziamenti comunali per i concorsi di poesia locale. E intanto ricorda Piombino (p. 15) com’era, negli anni delle passeggiate sul Corso e dei cinema da terza visione: racconta il divorzio e l’umanità d’un’amica avvocato, racconta le letture rubate in ufficio. Racconta la sua vita, il suo coraggio, la sua casa editrice e i suoi Maggioni e Panerini, antichi compagni di battaglia. Racconta i suoi libri e la sua ricerca di giustizia. Invita alla ribellione: ricorda che è necessario leggere e studiare e sperimentare. Soprattutto, saper scegliere: spegnere la televisione, avanzare come rabdomanti nel camposanto dei piccoli editori; là c’è qualche fuoco fatuo che s’aggira, magari è qualcuno che s’è suicidato perché non veniva capito eppure era grande, altri che vivono a stento perché sono stanchi del niente, del sacrificio invano, dell’ingiustizia reiterata, della corruzione, dell’insolenza del potere. E della mediocrità degli scrittori che insegnano a saccheggiare Carver; non solo nei singhiozzi, ma nel parlare del niente. E si fanno pagare per raccontartelo.
Asfaltiamoli con l’indifferenza. Andiamo a scandagliare i cataloghi degli editori puliti, ed estranei ai giochetti. Non è difficile, basta saper leggere.
Libro umano, malinconico, cattivo: giusto. Da avere.
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“Cosa dire di Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura che già non abbia detto? Di questo libro se n’è parlato molto e ha venduto tanto, è il primo libro che ha toccato le 2000 copie vendute e le ha superate, è il primo libro che mi ha fatto incassare una cifra decorosa di royalties. Ma non l’ho scritto per questo motivo, come invece hanno insinuato tanti maligni interessati. Quasi quasi… è frutto di una solenne incazzatura, come avrebbe detto Bianciardi, nei confronti del mondo letterario italiano, soprattutto verso i tanti che hanno la puzza sotto il naso e di solito raccontano le vicissitudini del loro ombellico. E’ un libro contro l’editoria a pagamento e pure contro i presunti scrittori che la incentivano pagando per stampare le loro patetiche memorie. Quasi quasi... è anche un libro di narrativa perchè racconta le vicissitudini di uno scrittore sfigato che vive in una provincia depressa come Piombino, lavora in banca, nessuno lo pubblica e lui è incazzato con il mondo. C’è molta fiction, mica tutto è vero, il personaggio sono io soltanto in parte, ché mica sono così sfigato e mica sono così incazzato. Ecco, questa cosa non tutti l’hanno capita. Una giornalista di Piombino (che chiamarla giornalista è dura, una che intervista i poeti a pagamento e i sindaci-scrittori) mi ha definito: ‘un presuntuoso arrogante che si crede Hemingway e parla male di tutti’, solo perchè avevo parlato male di lei... Ecco, questo è un mio libro che amo, che è parte di me stesso, che l’ho scritto con il sangue e che mi ha fatto male scriverlo e sopportare le critiche. Ma ho fatto bene a farlo, credo” – così Lupi su questo importante libro nel maggio 2007.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gordiano Lupi (Piombino, 1960), romanziere, poeta, saggista, recensore, soggettista, sceneggiatore, traduttore, editore italiano.
Gordiano Lupi, “Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura”, Stampa Alternativa, Viterbo 2004.
Gianfranco Franchi, Maggio 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.