Mondadori
1987
9788804306658
1987. Cinquantaduenne, Tomizza pubblica il suo sedicesimo libro: “Quando Dio uscì di chiesa. Vita e fede in un borgo istriano del Cinquecento”, stampato da Mondadori, è una interessante incursione nella quotidianità d'un paesotto istroveneto, in provincia di Pola, in un periodo storico in cui l'Istria avrebbe potuto soltanto ambire a essere “un granaro di Venetia, tanto più commodo et utile quanto più vicino” [p. 21]; vale a dire un granaio della grande Repubblica di San Marco, erede della tradizione di Roma e di Costantinopoli, madre del benessere dell'Istria. Il disastro, come registrava un funzionario, era che per via di una serie di pestilenze sempre più terribili quella terra, bella e generosa, era sul punto di tornare “al suo primitivo stadio di distesa pietrosa ricoperta da una macchia impenetrabile, la quale premeva sui radi campi fertili benché arsi, dall'inconsueto colore 'tra 'l rosso e il rovano' [pp. 15-16].
Pola e i suoi dintorni, per esempio, mostravano un panorama di vera decadenza; case fatiscenti o in rovina, borghi desolati e disabitati, mentre gli stupendi resti dell'epoca Romana sembravano accentuare, scrive Tomizza, “lo stato di distruzione e di abbandono, facendolo sembrare voluto dal destino”. E la botta stava per arrivare – la peste bubbonica del 1630, quella che avrebbe ridotto Pola a trecento abitanti, era ancora di là da venire.
Già in quel periodo in Istria si registrava la presenza di abitanti diversi dagli istroveneti latini, o dalla minoranza slovena e croata. Racconta Tomizza che nel 1540 aveva avuto inizio un primo sbarco di greci e ciprioti, ortodossi, martiri della ferocia turca; venivano da Nauplia, da Malvasia e da Famagosta. Dopo di loro fu la volta dei Morlacchi, vale a dire i dalmati dell'entroterra montuoso tra Spalato e Zara, già esuli dalla Bosnia; erano riusciti a scampare alla violenza dei turchi solo per un breve lasso di tempo, ecco che erano costretti a fuggire più a nord - ad avvicinarsi a Venezia, o a Vienna. In questo contesto, i nuovi emigrati non venivano sempre accolti con fraterna amicizia e con solidarietà; la povertà era tanta, e Venezia sembrava punire il popolo preferendogli cittadini stranieri, assegnando loro terre e promettendo nulla tassazione per venti anni. È a questo livello che Tomizza entra nel vivo della narrazione: "Le vicende che mi accingo a narrare sono state desunte dagli atti di una serie di precessi susseguitisi senza interruzione dal 1580 al 1586 contro uomini indiziati di eresia, in specie luterana, del borgo di Dignano d'Istria". Entra nel vivo suggerendo quanto articolate potessero essere le cause di una rivolta religiosa, in quel periodo storico, e finisce per riferire tutta una serie di episodi, ciascuno in poche pagine; il libro diventa una sequenza di sketch e di bozzetti, non sempre felice o particolarmente ispirata.
La contestazione dei protestanti istriani della veneta Dignano non nascondeva un “ingenuo e gustoso timbro popolaresco”, racconta l'artista, fedele interprete di una comunità contadina e artigianale lontana cinquecento anni. “Pur assumendo spesso carattere di protesta sociale e politica, rimaneva in sostanza una contestazione in ambito religioso, mirante al sovvertimento del sistema cattolico accusato di aver tradito la chiesa degli apostoli, falsato la parola rivelata, per darsi un potere dispotico e corrotto” [p. 30]: ma non escludeva, questa protesta durata oltre trent'anni, ragioni come la presenza nel territorio istriano di popolazioni e singoli estranei al ceppo latino, magari famiglie di greci ortodossi esuli da Cipro o dal Peloponneso, complici le ripetute aggressioni turche, come si diceva, come la famiglia Callegaro (cfr. p. 30 e p.107).
Intendiamoci: siamo decisamente dalle parti di quelle pubblicazioni destinate, al di là di una prima, fortunosa apparizione mainstream, addirittura per Mondadori, a una circolazione poco più che locale, e a una comprensione diciamo quando veneta, quando slava – e per essere più puntuali, croata, al limite slovena e serba. Ma vale la pena trattarla, questa pubblicazione, a venticinque anni di distanza dalla sua prima stampa, forse proprio per questo; vale a dire perché oggi un simile suicidio commerciale sarebbe forse impensabile addirittura per un marchio caotico e a volte indecifrabile come Mondadori, e non ha troppo senso fantasticare su diverse e straordinarie sensibilità etniche, culturali e storiche dei popoli veneti – istroveneti in prima battuta – per giustificarne la presenza in un catalogo così commerciale e ormai incolore.
Mondadori aveva idee diverse, si vede, almeno nel 1987 – e pensava che parlare dei protestanti di Dignano del tardo Cinquecento potesse avere un vago appeal per i lettori italiani. La ragione? Forse è questa: “Tomizza è riuscito a 'diventare un uomo di quel tempo e di quel luogo”, scriveva Domenico Porzio, nella bandella, “a trasmetterci il suo stupore per il credito che quei lontani eretici analfabeti attribuirono alla parola scritta e al Libro, a tradurre in messaggio culturale e in gesti narrativi quei risentimenti religiosi e a condividere sulla pagina 'usi, parlati, passioni, aspirazioni' pur così remoti. Il che è consentito a chi sa appartarsi, schivo di vani presenzialismi giornalistici e mondani, in una sua dura e paziente vocazione: solo così tra troppi e sempre più confondibili scriventi, una generazione e un tempo maturano alcuni autentici scrittori”. Probabile, sì.
In più, Tomizza ha restituito una serie di descrizioni notevoli; per esempio, della vecchia Dignano: “Dignano dista da Pola una decina di chilometri. Vi si respira un'aria completamente diversa, anche in senso letterale, tanto che il provveditore e il vescovo amano trascorrervi almeno le estati. È anche più popolata del capoluogo, non dandolo a vedere. I suoi tremila abitanti si assiepano tra la chiesa madre di San Biagio e il Castello, dal quale si dipartono due quartieri più recenti, del Forno grande verso il villaggio di Gallesano, e della Calnova in direzione della contea asburgica” [vale a dire, dalle parti di Pisino]. “Il nucleo medievale di case in pietra nuda, addossate le une alle altre sì da formare vicoletti per i quali occorre procedere di fianco, gira intorno alla chiesetta di san Giacomo, già principale luogo di culto. [...]. La popolazione è mista, pur prevalendo in larga misura gli italiani: sia nativi, i quali parlano l'antico 'istrioto' particolarmente sgradevole all'orecchio di Dante, sia avventizi ” [pp. 25-26].
Oppure, della vicina Fasana: “Porto su cui si frangono le onde del mare di Brioni e che volge le spalle al villaggio di Peroj, tuttora abitato da una comunità montenegrina di religione serbo-ortodossa giuntavi un secolo dopo. Da Fasana muove il commercio di pesce, per lo più minuto, destinato alla popolosa cittadina interna; carri e carri di sardelle ma anche di sardoni, che poi sono ancora più piccoli, di mènole, suri, guati, spari...” [p. 98].
C'è qualche rarità lessicale perduta nell'italiano corrente [“zago” per chierichetto; proprio come i nomi di quei pesci, i “suri” e i “guati”, per “codaspri” e “ghiozzi”] e ci sono diverse tracce di vecchi usi popolari veneti [il mitico “filò”, ritrovo delle signore tra loro, per parlare fitto e accudire i bambini] che vanno a costituire episodica ragione di ulteriore interesse. Forse non è abbastanza per parlare a tutti di un fenomeno così marginale come un movimento di protesta religiosa nella campagna veneta del tardo Cinquecento, ammettiamolo – ma è testimonianza del discreto valore storico-documentaristico di questo strambo saggio romanzato.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Fulvio Tomizza (Giurizzani di Materada, frazione di Umago, Istria, Italia; 1935 – Trieste, FV-Giulia, Italia, 1999), scrittore e giornalista istriano. Esordì, come narratore, pubblicando “Materada” nel 1960.
Fulvio Tomizza, “Quando Dio uscì di chiesa. Vita e fede in un borgo istriano del Cinquecento”, Mondadori, Milano, 1987.
Prima edizione: Mondadori, 1987. 9788804306658.
Approfondimento in rete: WIKI it
Gianfranco Franchi, maggio 2012.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Interessante incursione nella quotidianità d’un paesotto istroveneto, nei gloriosi anni della Serenissima…