Psicopatologia del cellulare

Psicopatologia del cellulare Book Cover Psicopatologia del cellulare
Luciano Di Gregorio
Franco Angeli
2004
9788846449443

2003. 43 milioni di cellulari in circolazione soltanto in Italia: quasi uno a testa, escludendo bambini e anziani isolati. Significa il 90 percento di coefficiente di penetrazione, secondo quanto riferisce Luciano Di Gregorio, psicologo e gruppoanalista milanese, autore di questo interessante “Psicopatologia del cellulare”. L'autore analizza senso e significati della fortuna del nuovo medium, percepito come “connaturato al mondo moderno”, osservandone le evoluzioni tecnologiche (UMTS per video-chiamate; apparecchi sempre più piccoli e sottili, multimediali; etc), le successive trasformazioni del paesaggio cittadino (riduzione delle cabine telefoniche), le nuove dinamiche interazionali (abnorme frequenza telefonate; crescita esponenziale della connessione a distanza; creazione nuovi “bisogni” di comunicazione), soffermandosi sia sugli effetti della smania di uso del telefonino (al volante con una mano sola; a tavola il cellulare vicino al bicchiere; tutti involontariamente in ascolto, sul bus o in ufficio, di conversazioni altrui; creazione di apparecchi status-symbol; esibizionismo per suggerire l'idea d'essere persone molto ricercate e molto contattate, e via dicendo), sia sulle conseguenze cerebali (s'accenna, ad esempio, alla riduzione delle capacità di concentrazione e di memoria: sembra, stando alla Swinburne University of Technology di Melbourne, che venti minuti di conversazione abbiano sul cervello l'effetto d'una seduta di ipnosi, p. 11), sia sulle cause. E qui il discorso si fa davvero affascinante.

Secondo Di Gregorio – sulla scia di una battuta del sociologo De Masi – il telefono è diventato una sorta di appendice psico-tecnica: la relazione con il cellulare sembra essere feticistica. “Se prestiamo attenzione al rapporto quotidiano che la maggior parte delle persone ha col proprio telefonino, siamo indotti a pensare che esso alimenti condotte relazionali che facilmente potremmo considerare patologiche, quasi una forma di feticismo, in quanto l'investimento affettivo e il piacere del possesso sono molto intensi, sono rivolti verso una cosa, un oggetto inanimato, e sono in grado di renderlo significativo” (p. 13). L'autore accenna all'ipotesi che chi tiene sempre in mano il gingillo al silicio potrebbe ripete le abitudini onanistiche caratteristiche della prima e della seconda infanzia.

Come è stato possibile che il telefonino assumesse questa centralità? Perché non è rimasto uno strumento funzionale? A quali lacune e quali aporie sociali o individuali è andato incontro? Le pubblicità esaminate da Di Gregorio suggerivano che servirsi del telefonino, trovandosi lontani dalla famiglia, aiutava a sentirsi a casa propria: annullando le distanze, illudendo il cittadino di poter azzerare problemi spazio-temporali. Oppure, le pubblicità ribadivano che l'uso del cellulare poteva migliorare la conoscenza del mondo del suo possessore: mutando l'orizzonte d'osservazione della realtà, essa poteva essere analizzata riducendo limiti e confini della percezione della realtà (“La connessione a distanza attraverso il cellulare ci permetti di modificare la percezione della dimensione spazio-tempo e di modellarla alle nostre esigenze, facendole assumere una caratteristica più consona alle nostre aspettative (…): col telefono fisso, il contatto dipendeva da una postazione e dalla vicinanza ad un centro abitato”, p. 36). Come se non bastasse, gli spot battevano sulla questione del business: affari a portata di mano, telefonata e via, non importa trovarsi al mare o in montagna. E ancora: invitavano a partire per le vacanze, perché in ogni caso si restava in contatto con i propri famigliari senza nessuna difficoltà. Vuoi mettere gli sms o gli mms con le vecchie cartoline? Oltretutto costano anche di meno... (p. 35). Infine, puntavano sul solito discorso dell'esclusività, a certi livelli; sei un appassionato? Vuoi essere diverso dagli altri appassionati? Questo modello offre tot opzioni e tot gadget; tot accessori per personalizzarlo; il design è x e y... e ti mostra chi sei. È lo specchio della tua personalità, e del tuo ruolo. Tu sei il tuo cellulare. Perché? La ragione potrebbe essere semplice: “il telefonino ci fa mostrare la nostra intimità e ci consente di entrare profondamente nel merito di quella degli altri” (p. 27): in un'epoca che costringe tutti alla visibilità come criterio primo di sopravvivenza (nel lavoro e non solo), pur di evitare l'anonimato sociale (o l'assenza di contratti dignitosi), la telefonata in pubblico è uno strumento per conquistare “visibilità a buon mercato” (p. 29). Esibizionismo per una società di guardoni, di voyeur. È una pratica malsana che si rivela necessaria a quelle intelligenze che si sentono magari isolate, o che hanno bisogno di considerazione maggiore. È una “pratica allusiva alla dimensione interiore del mondo affettivo ed è una richiesta implicita di ascolto rivolta agli altri del gruppo sociale” (p. 34). In certi contesti, è una forma di masturbazione condivisa con degli spettatori: involontari e coatti.

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Secondo Di Gregorio, “La funzione del telefono, da un punto di vista affettivo e relazionale, è sostanzialmente quella di un regolatore soggettivo della distanza e di un moderatore della separazione. Quando si parla di separazione non ci si riferisce tanto a una distanza fisica, ma sostanzialmente all'intollerabile distanza sentimentale, al sentimento della mancanza che origina dalla perdita di contatto diretto con l'altro” (p. 25). L'autore è convinto che l'uso sistematico del cellulare determini dei cambiamenti psicologici sia cognitivi che affettivi, alterando le interazioni tra persone; in primis, falsando (e plasmando) le relazioni a distanza (cfr. pp. 16-17): chi sopporta male la solitudine cercherà contatti facili, comunicazioni mediate “per colmare la distanza temporanea e il vuoto dell'assenza” (p. 63). La distanza, ribadisce, non è solo questione di spazio e di tempo: è un fatto affettivo (p. 38). Illudersi di poter controllare e dominare la distanza (e la vita delle persone: p. 53, p. 94) soltanto telefonando può essere grottesco e pericoloso; e tuttavia avviene. Illudersi di tenere viva la memoria con supporti tecnologici è altrettanto sbagliato (p. 77): il telefono non ravviva il ricordo né “presentifica la relazione affettiva”. È un surrogato di umanità, c'è poco da fare, e non potete baciare un pezzo di plastica anche se ha la voce del vostro amato, una o due o tre volte al giorno. Ha voce, ma non ha lingua. È bene che qualcuno se ne ricordi sempre. È uno strumento di piacere sadico anche quando viene tenuto spento al momento opportuno, facendo soffrire la persona che dovevate incontrare e a cui vi andate negando (p. 124). E via dicendo. Questa nuova tecnologia non può diventare tiranna o padrona delle nostre vite. Va tenuta a bada e considerata schiava delle nostre necessità, non deve diventare un viatico alla creazione di necessità (e spese) nuove.

L'approccio di Di Gregorio eccede, a mio avviso, nella freudiana lettura del cellulare come feticcio. La mia sensazione è che feticcio sia per una minoranza assoluta di cittadini – che vorrei chiamare “consumatori”. Piuttosto, si direbbe uno strumento illusionistico – straordinariamente credibile – per tenere vivi rapporti e relazioni altrimenti non quotidiani né presenti; materializzandoli, almeno parzialmente, nelle esistenze di ciascuno. Quasi uno strumento medianico. In questo senso, potenzialmente molto pericoloso. Infine, allarmante per la sua capillare e irrichiesta presenza nel territorio e tra i cittadini; una serie di investimenti pubblicitari senza precedenti ne hanno sancito “normalità nell'uso abnorme”, diciamo così, e polifunzionale. Sebbene l'utilità di un apparecchio che sia al contempo macchina fotografica, videocamera, radio, telefono, display per sms e per navigare sul web (a costi anomali) sia decisamente discutibile per un cittadino che non sia giornalista o comunicatore di massa o manager, è evidente che larga parte dei possessori di telefonini possa avvalersene. Con gravi conseguente sulla concentrazione, sulla “presenza” nel momento che si sta vivendo, sulla consapevolezza di sé, sulla mamoria; sulla vita affettiva, periodicamente falsata da comunicazioni immateriali.

Materia da meditazione collettiva.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Luciano Di Gregorio, psicologo e gruppoanalista, psicoterapeuta a Milano. Saggista.

Luciano Di Gregorio, “Psicopatologia del cellulare. Dipendenza e possesso del telefonino”, Franco Angeli, Milano 2003. Collana “Le Comete”.

Gianfranco Franchi, aprile 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot