Mondadori
2001
9788804504078
Venezia, settembre 1955. Nella Fondazione Cini si incontrano un gruppo di intellettuali provenienti da diversi Paesi islamici e dall'Italia: uno di loro è Guido Piovene. Si incontrano per parlare delle relazioni e dei conflitti in atto tra le civiltà occidentali e quelle orientali: per discuterne e per trovare soluzioni ai contrasti. Due anni più tardi, Mondadori pubblica il suo resoconto di quelle giornate; un documento unico, di sicuro interesse e di profonda attualità a oltre cinquant'anni dalla sua prima edizione. Purtroppo.
Contestualizziamo l'opera, intanto, con l'aiuto del postfatore della nuova edizione Mondadori, 2001, Franco Monteforte. Nel 1955 il clima internazionale era meno drammatico di quello odierno, ma non meno carico di tensioni: “Proprio queste tensioni, più che motivi di ordine culturale e religioso, chiamavano allora in causa prima di tutto la politica e l'economia” – racconta lo studioso, accennando subito agli ultimi fuochi del colonialismo europeo allora in atto tra Nordafrica e Medioriente. “La discussione di Venezia su Islam e Occidente si situa esattamente a metà tra la crisi algerina e quella di Suez, scoppiata nel 1956 quando, al rifiuto degli USA di finanziare la costruzione della diga di Assuan, Nasser rispose nazionalizzando la Compagnia del canale e assicurando il proprio appoggio alla sollevazione algerina” (p. 85). E così Israele occupò Gaza, concertando l'azione con Francia e Inghilterra, e via dicendo.
Monteforte rileva qualcosa di particolare in questo atipico “reportage culturale” (non trova definizione diverse: in effetti... “atti commentati” ha scarso appeal) di Piovene: “C'è qualcosa di più del semplice gioco delle idee in contrasto sul tema dell'Islam e dell'Occidente, c'è un modo di guardare a questo contrasto come incarnazione di un eterno conflitto che agita la storia, la società e gli stessi individui: 'Le antitesi del mondo' scrive Piovene 'si rivelano eguali dovunque si posano gli occhi; in ogni parte del mondo, e in ogni uomo singolo, vi sono un Occidente e un Oriente; siamo tutti nello stesso gioco” (p. 93). Entriamo nel gioco, allora. Approfondiamolo.
Il titolo del convegno della Fondazione Cini era proprio “Processo dell'Islam alla civiltà occidentale”: il presupposto, spiega Piovene, era la constatazione che “il mondo islamico riteneva, a ragione o a torto, di essere stato offeso dall'Occidente. I rappresentanti islamici erano perciò invitati a stendere all'inizio il loro atto d'accusa; gli occidentali, a respingerlo o ad accettarlo” (p. 8). La discussione doveva essere culturale e politica. Si partiva da un presupposto italiano: “Bisogna amarsi per conoscersi”, perché non basta conoscersi per amarsi. Vero. Vero ma molto spesso dimenticato. I musulmani seppero fare distinzioni tra la nostra civiltà occidentale e le nostre azioni, concentrando le loro critiche su queste ultime. In altre parole, come vedremo a breve, seppero salvaguardare la religione e la cultura, limitandosi a denunciare gli aspetti più biechi del colonialismo, e le forti responsabilità dei poteri economici delle nazioni ricche.
Tra i presenti, nelle fila musulmane c'erano Taha Husein, scrittore ed ex ministro egiziano, grande protagonista dei dibattiti, lo storico persiano Hassan Taqizadeh, l'inglese convertito Philby, lo storico e filologo iracheno Giawad Ali, il professor Mogtaba Minovi dell'Università di Teheran; tra gli italiani, professori orientalisti come Giorgio Levi della Vida, Francesco Gabrieli, Alessandro Bausani, professori di Diritto come Francesco Carnelutti, di Fisica come Luigi Fantappiè, di Scienze Economiche come Pasquale Saraceno (nomen omen), di Letteratura come Vittore Branca, di Teologia come padre Giuseppe Bozzetti. Presenziò anche Bonaventura Tecchi, senza tuttavia prendere mai la parola. Peccato. Taha Husein diede un'impostazione classista e tutto sommato condivisibile, nelle sue critiche, dichiarando che sebbene l'Occidente avesse insegnato all'Oriente i metodi di ricerca scientifica, risvegliato il mondo dell'Islam, dandogli coscienza dei suoi diritti, al contempo l'aveva oppresso. La responsabilità non era del popolo né degli intellettuali; ma dei politici, degli uomini d'affari, dei banchieri. Husein accusò la colonizzazione, opera delle classi dominanti, e la vanità del senso ingiusto di “superiorità” nei confronti degli altri. Insomma: “Ben venga l'Occidente, ma non da conquistatore”, come sintetizzò lo storico persiano Taqizadeh.
Il leitmotiv, spiega Piovene, fu – vale per tutti – l'osservazione che Islam e Cristianesimo non contrastano, e mai potrebbero farlo se restassero fedeli alla lettera dei loro insegnamenti; e che entrambi derivano dall'inserzione “del pensiero greco sul ceppo del monoteismo semitico” (p. 18). Insomma: religioni sorelle. Husein ricordò, naturalmente, che gli islamici credono alla verginità di Maria e alla nascita divina del Cristo; ma non credono ch'egli fosse un dio. Tuttavia si sentono depositari del suo sepolcro, più degli idolatri cristiani.
Bausani osservò che l'Islamismo, rispetto al Cristianesimo, costituisce un ritorno verso la saggezza classica, estraneo ad inviti alla rinuncia e al sacrificio di sé. E che Il Corano è anche un codice, a differenza del Vangelo, che tiene ben diviso l'insegnamento religioso dal mondo laico in cui si opera in libertà. Husein ricordava che nell'Islam non può esistere il laicismo, perché l'Islam non ha Chiesa: nella loro religione Dio si rivolge agli uomini direttamente.
Il convertito inglese Philby deplorava che l'Islam, occidentalizzandosi, avesse smarrito i principi cardine della propria cultura, sporcandosi del materialismo occidentale. Husein tuttavia ricordava che il Corano, non essendo dogmatico, aveva implicato una presa dalla civiltà occidentale di ciò che più conveniva agli islamici. Insomma: cum grano salis. In estrema sintesi: la politica, e non la religione, aveva determinato le diversità principali. I fondamenti delle due società erano molto simili: ci si riconosceva in cinque caratteristiche comuni (civiltà scientifica, meccanica, dinamica, giuridica, economica), non nel materialismo, non nell'ateismo occidentale. Comuni a buona parte degli intellettuali presenti sembravano essere le istanze spirituali; e la denuncia dell'errata pretesa di superiorità culturale, da tutte le parti. La cultura non è mai superiore. La cultura è sempre diversa. E sempre dialettica. Il denaro e le armi non dialogano.
L'opera è forse eccessivamente sintetica; la nuova edizione è completa di un ottimo saggio di Monteforte capace non solo di contestualizzare, ma di attualizzare a dovere i termini della questione e del confronto. Quello di Venezia fu un piccolo grande evento, eternato dalla presenza d'un giornalista e d'un letterato di grande spessore come Guido Piovene. Oggi avremmo bisogno di qualcosa di simile – daccapo – per tornare a discutere del senso e dei significati del Mediterraneo, della bellezza d'una storia condivisa, secolarmente, in questo Mare, sino al secolo scorso; e della necessità d'una dialettica politica che sappia, definitivamente, dare pace alla Palestina, e legittimità a Israele, e indipendenza e autonomia all'Iraq massacrato dalle guerre. Dovremmo tornare a discutere della compatibilità tra le nostre religioni, considerato che c'è chi se n'è voluto armare per prendere le distanze da una o da un'altra parte. Dovremmo tornare a parlarci, tra letterati, tra scienziati, tra intellettuali di nazioni religioni e culture diverse, in campi neutri come Venezia; antica porta per l'Oriente, socchiusa soltanto dalla sempre più confusa politica europea contemporanea. Piovene ci ha insegnato come fare.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Guido Piovene (Vicenza, 1907 – Londra, 1974), giornalista, scrittore e critico letterario italiano, discendente da antiche famiglie aristocratiche. Esordì pubblicando la raccolta di racconti “La vedova allegra” (Torino, 1931). Si laureò in Filosofia con una tesi sull'Estetica di Vico.
Guido Piovene, “Processo dell'Islam alla civiltà occidentale”, Mondadori, Milano 2001. Postfazione di Franco Monteforte.
Prima edizione: 1957.
Gianfranco Franchi, aprile 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.