Lacaita
1980
“Scende adagio una gradinata / ha la città sotto è appena l’alba / A metà gradinata è il massimo della fitta / la gradinata è molto larga / prende tutta l’anca della collina / non è che possa fare altro / perciò / ora che non lo vede / la gente del marciapiede / e quella del tram / si alza in case belle / A metà gradinata / si rende improvvisamente / conto di tutto / al grande peso sopra / non può appoggiarsi / come se il cielo calasse in blocchi azzurri / è proprio adesso che si rende conto di tutto / che tutto parla / a chi è giunto a meta” (Troisio, “Metà gradinata”).
Tutto parla a chi è giunto a meta, scriveva il magister patavino: ma non illudetevi di andare incontro a versi come questi, visivi e allegorici, facilmente interpretabili e interiorizzabili. Assolutamente. Perché questi versi si nascondono in un introvabile libro del 1980, periodo sperimentale della ricca produzione artistica di Luciano Troisio.
“Precario”: un titolo decisamente (profeticamente?) contemporaneo. 1980, quando i versi del Professor suonavano psichedelici; distorsione e alterazione della realtà, contaminazione del senso (il suono prevale e detta legge nuova: s’assimilano significati per allitterazioni, analogie; neologismi pretendono filologico scavo, reminiscenze s’annidano ad ogni strofa), sperimentazione della gioia anarchica d’una creazione magmatica, sregolata, imbizzarrita. Chiuso il libro ho provato a ordinare le mie sensazioni e i miei appunti. E ho messo sul piatto un vecchio live dei Doors. Per Luciano Troisio, il nostro letterato padovano classe 1938, che a un certo punto della sua vita scriveva come chi pretende il delirio e il disordine totale dei sensi. Deragliava, e deragliava in un modo favoloso. Favoloso, e del tutto dimenticato. Rimediamo, va.
Sul mio blocco note, avevo trascritto una serie di elementi chiave. Cominciamo. Incomprensibile, indecifrabile, lisergico, criptico e politico, pubblicitario-illeggibile: questi aggettivi si riferivano a una serie di versi pubblicati nelle prime due delle nove sezioni che compongono Precario.
Condivido, allora, gioioso. Incomprensibile: alludo ai primi versi, quelli di “Officinalis didattico”. Eccoli. “Officinalis didattico / ipersuono ultra calante fischio nello speco istante attonito / affacciandosi con candidato terrore / sull’estensione geografica / caboto rappresentante da appunti con proiezione / di Mercatore parabolando fabliaux verbo-palabra / Autobiografia senza lettere lì nella gonfia / gola arcaica atemporale vertiginosamente / due usano insieme / randellato creola quarantenne / nello scenario del carnevale / dolce rugata dolce ridente la viola nomade mantenuta / e quanto abbiamo goduto sotto il fascismo (…)” (p. 11): sto pensando a Cacciatore, ad Arbasino e a Ottonieri, ma non voglio rovinare tutto con la mia sensibilità di astuto contemporaneo. Voglio restituirvi l’impatto devastante d’una libertà come questa: finalmente indecifrabile, del tutto, qui: siamo sempre nella sezione prima, “Pretium sceleris”.
“Stagione della pioggia ininterrotta dovunque dentro casa / e solo attendere fumare / bestiari d’amore erbari celebrati / (ma limitare il negativo delle proprie argomentazioni / non demonizzare l’avversario) / pronubica defazione prefezione previssuta ars habendi / aniconico conglutinatio nella serie di fastidi sottoinsiemi / ti fai e stai bene un casino / eppoi della vita che m’importa / mondo lacane mondo ladro (…)” – magnifico, sperimentale e discretamente drogato: ecce Troisio maudit. Ma quanto ci piace? Così inatteso. Avanziamo.
Lisergico. It was the greatest night of my life. “Cancrillare cancrizzare pioidrizzare nella dila / delazione / burospiralizzinflazione frena il progetto pialla / via il 20% dei fondi stanziati / ostruzionale oc-clusio oc-caso / il possessore di astragali superstar senza glutammato / dilaziona il medio evo certo di / resistere e avendo cap che non c’è pad epperciò / giustif per la sua mancanza di gerarchiadival / alla gestione dell’onnilecitina totopossibil / nel plaisirgaudio supra legem” (p. 19).
Cosa stavate cercando, negli anni Settanta? Il segreto della formazione delle parole nuove? L’ipotesi nuova attraverso la frammentazione del senso? L’esasperazione dei significati – e quindi il potere assoluto lasciato all’immaginazione del lettore, quando si scriveva “L’autore è morto, il testo non esiste”? Qui Troisio sembra scrivere versi come fossero musica. C’è un ritmo impressionante. Peccato che il senso non esista. È un treno colorato che spumeggia nei boschi, questa poesia. Evviva, non vuol dire niente. Ahahah. Ma suona. Suona, professor. Suona. Extra legem.
Politico-criptico. Ma non troppo. “Incidere incisione sul meta/llo/reale / metallurgici cangiare / tutta la vita a quella charlotiana catena di montaggio / mentre fuori la Olivetti tiene in gabbie usignoli / tucani cocorite e nel patio equibaronale / rimbalza fresca l’acqua con echi dissalata / della Kuwait Airlines in waiting list” (p. 21): allucinazione completa, ideologica senza eccedere, al fianco dei lavoratori (altrove si ricordano gli operai che non possono viaggiare): felicemente sgranata la realtà si fa spettro semantico.
Pubblicitario-illeggibile. Parecchi di noi hanno solo studiato la vecchia pubblicità dei jeans Jesus. Qui era presente e affissa, a un passo dalla censura. Cristallizzati nei versi d’una trans/iper/missione sorvolo vision veduta “permissiva velluto-jeans Jesus / nella illeggibile silenziosità tilt / oblunga ambigua catena di legazioni / embricature confricanti la docile fistola dell’Universo / tram/tramando / vetus quaedam depositio pecuniae / assedio riciclaggio allegralacre / suggestions-complaints / il tonduto tutti gli altri tonde / firmato illeggibile”.
Appunto. Nonsense, marketese, latino, inglese, neologismo: libertà che doveva distruggere tutto, la rivoluzione significava appropriarsi del linguaggio, rovesciarlo e rinnovarlo; si sperimentava così, ludici e furiosi, intellettuali e inaccessibili. Memori della tradizione, per abiurarla ed eternarla; penso ai versi romanzi, in “Tutto sulla vera fine del freak Guillem” (pp. 59-62), alla campanata “Scherz” che suona “Rimbombo bombo bom bombo rimbombo / piede sul rombo sul lombo / piede sul bordo piede sull’argine / piede sull’ordo sull’orlo sul fondo / sull’ambo rotondo sul ditirambo (…)” (pp. 32-33) infine vira nel delirio.
La raccolta, a un tratto, accantona la lucida follia della sperimentazione e ritorna al significato, all’immagine non estranea ad un senso univoco e non equivoco. Suggestiona, ad esempio, leggere Troisio – letterato viaggiatore, erede d’una tradizione grande e dimenticata: quella dei Barzini, dei Gozzano – scrivere, quarantenne, “Visitai mondi lontani / vidi l’unicorno impagliato / sulle alture i palazzi del rajà / vuoti delle meraviglie echeggianti / attraversando confini acquerellati / non potetti evitare il free love / di sirene alternative”, scrive in “Storia dell’arte”, p. 68, o ritrovarlo lirico e sempre giocoso in “Per pochi giorni le occasionissime” (p. 97).
Sembra addirittura lineare in “Essere diverso” (p. 45): “Vennero a trovarmi / erano due / quand’ero con loro non / avevo peso mi / invadevano con la loro felicità esplosiva / un’allegria buona mi possedeva / equilibrata nella stabilità / credo che così sia / il massimo effetto delle droghe / con loro si stava solo bene / e mi volevano con loro / con la loro macchina / raggiungevamo luoghi incantevoli (…)” e nei vari omaggi all’amico artista Zancanaro sparsi qua e là, ad es. in “Quando piove nel centro storico” e “Il foglio di Tono”.
Si (ri)stampi (si scampi) – scriverei oggi, rinnovando la lezione della “Storia dell’arte” troisiana. A differenza di tanti avanguardisti che confondevano lo screzio con la logica con la Letteratura, Troisio ha saputo sperimentare senza abbandonarsi al niente colorato e furioso della ricerca del suono, e dell’artificio intellettuale: forse perché, a un tratto, ne “Le premier bond” scriveva:
“Viene avanti il Futuro, affrescata già vedo la Partenza / passato remoto futuro anteriore / futuro remoto passato anteriore / passato remoto futuro anteriore futuro remoto passato / anteriore passato futuro remoto anteriore futuro passato / remoto anteriore / Adelante futuro già vedo mi ricordo la Partenza / la storia progetto proietto l’occhio che toccherà / dall’alto il suolo libero / bontà della prima volta (perdono della prima volta) / felicità felicità della prima volta / […] irreversibilità della prima volta / (Stato attuale delle conoscenze) / buona notte si chiude buona notte”
che si fosse nella wasteland dell’avanguardia era forse chiaro. Non a tutti. Luciano si prendeva gioco di tutto: di se stesso, della realtà, della sperimentazione, della poesia. Con qualche anno di anticipo sui suoi sodali, guardava alla scrittura col giusto disincanto. Fondamentale, sì, allo stato attuale delle conoscenze: delle coscienze: delle competenze: delle condivisioni: del non senso che io non ho. Io non è, niente.
Viaggio terminato col sorriso di chi ha frainteso, ma non se ne dispiace. “Sorridere perdio sorridere / sorridere sempre”, è il Canone. Altrove è inutile. Qui. qui. Tra chi non ha rinunciato al senso.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Luciano Troisio (Monfalcone, Go, 1938 - Padova, 2018), ricercatore del Dipartimento di italianistica dell’Università di Padova, ha insegnato nelle Università di Pechino, Shangai, Bratislava, Lubiana.
Luciano Troisio, “Precario”, Lacaita, Manduria 1980.
Gianfranco Franchi, gennaio 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot