Povera santa, povero assassino. La vera storia di Maria Goretti

Povera santa, povero assassino. La vera storia di Maria Goretti Book Cover Povera santa, povero assassino. La vera storia di Maria Goretti
Giordano Bruno Guerri
Bompiani
1984
9788845261022

SANTA POLITICA

“I falsi di un processo canonico e i veri motivi che convinsero la Chiesa a inventare una santità”, recitava la quarta di copertina della prima edizione di questo libro. Meglio: “L'idea della beatificazione nacque a una frangia della reazione ultracattolica per 'porre un argine all'immoralità dilagante', ma fu solo nel 1935, in pieno clima concordatario, che ebbero inizio i processi canonici”, e questo si leggeva nella bandella. Perché accadeva tutto questo? Perché serviva una santa locale nelle Paludi Pontine, dove si litigava sui santi per campanilismo religioso: ecco che una martire della miseria e dell'ignoranza, proprio come il suo assassino, veniva propagandata come martire della purezza (p. 71).

Dopo 27 anni di prigione, l'assassino smentì tutte le sue dichiarazioni precedenti. Mancava un passo alla santità: a firmarla fu, con eccezionale rapidità (come spesso accade), Pio XII, nel dopoguerra. E così, nell'immaginario collettivo, una bambina di 11 anni – di cui non esistono foto, se non una, dubbia, fosca – divenne poco a poco un'adolescente; e un'analfabeta massacrata dai pidocchi e dalla sporcizia fu trasformata in un esempio di castità. E adesso, nella Stanza del Martirio, località Le Ferriere – Nettuno – si possono apprezzare una ciocca di capelli stinti, un dente (radice nera, smalto corroso), tre bottoni spaiati, un brandello di stoffa (“pezzo del vestito”). Guerri dice che il suo libro è nato di fronte a questo spettacolo, e di fronte all'orrore della mercificazione della “santa”, venduta in posa sulle gondole di Venezia, sui picconcini da alpini, sui posacenere. Per ragioni politiche.

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“Ogni tanto Maria mi appare in sogno, come all'assassino. Ora è uguale all'immagine del santino, tutta gigli e candore, ora com'era davvero, tutta pidocchi e fame. A volte parla com'è normale per una santa, a volte con il più sboccato dialetto marchigiano, per dire cose che da lei non ci si aspetterebbero. Potrei gridare al miracolo, ma preferisco pensare a un banale fenomeno psicanalitico (…). Da sveglio (...) Maria (…) è una presenza (…) che mi parla per ricordarmi il dovere di difendere i deboli e lottare contro le superstizioni, l'irrazionale” (GUERRI, p. XXVIII).

Quando questo libro venne pubblicato per la prima volta, nel 1984, la cultura italiana fu scossa da un feroce dibattito sulla natura della santità d'una “santa semplice”, di grande culto popolare. Al Vaticano tutto questo non piacque affatto, e qualcuno decise di replicare.

Spiega, magistrale, Guerri: “La prima edizione di questo libro venne pubblicata alla fine del gennaio 1985. Il 5 febbraio, il cardinale Pietro Palazzini, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi – dopo avermi definito 'strumento del demonio' – annunciò l'istituzione di una commissione incaricata di replicare al volume. Una decisione fulminea quanto clamorosa, perché del tutto nuova nella storia delle millenarie contese tra Vaticano e intellettuali. Era capitato che i gesuiti si mettessero di buon impegno a scovare circa quattromila errori nell'Elogio della Pazzia di Erasmo da Rotterdam, e che il cardinale Pietro Sforza Pallavicino avesse individuato trecentosessantadue errori nella Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi. Molto più spesso, quando ancora esisteva l'Indice dei libri proibiti, era bastato alla Chiesa inserirvi le opere sgradite per condannarle senza appello. Ma non era mai accaduto che un papa (il cardinale Palazzini non può avere agito senza il consenso di Giovanni Paolo II) istituisse una commissione di studio per rispondere al libro di un laico. Come mai tanta attenzione al mio piccolo saggio?” (Incipit “Una risposta alla risposta”, cfr. p. XI). La Commissione pubblicò 153 pagine di “grande formato e denuncia”, denunciando 79 errori di fatto contenuti nel libro: a questi errori Guerri rispose nella successiva ristampa, punto per punto, riconoscendosene 1 (uno). Rilevando – a monte – e ribadendo che, post pubblicazione del suo libro, “L'accesso ai documenti della Congregazione per le Cause dei Santi è stato reso praticamente impossibile agli studiosi che non diano le massime garanzie di ortodossia” (p. XX). Fin qua ci siete? Bene. Avanziamo.

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Maria Goretti (1890-1902), marchigiana, nacque in anni di miseria assoluta: terzomondista o quartomondista. In Italia, moriva un bambino su cinque prima di compiere 5 anni; nelle Marche, uno su 4. Per questo, la Chiesa imponeva il battesimo dei bambini entro le 24 ore dalla nascita: un medico lombardo, nell'Ottocento, si disperava di questo “egoistico pregiudizio” che durante il rigido inverno poteva essere fatale, per i neonati. Vita media dell'epoca, 17 anni. 17. 60, se si escludono le morti infantili. Si moriva per le malattie infettive, non per infarti o tumori; oppure per le malattie mentali o del sistema nervoso (80mila l'anno contro i 5mila odierni).

Erano anni in cui per votare (1890) si doveva essere maschi, alfabetizzati, almeno ventunenni, in grado di pagare almeno 5 lire di tasse l'anno: su 32 milioni di italiani, soltanto 2 milioni e 750mila corrispondevano all'identikit. La metà di essi andò a votare. Rapine, estorsioni e sequestri erano il 25 percento in più degli anni Ottanta. Un chilo di pane costava un quarto del salario giornaliero di un operaio, nel 1890.

Erano anni in cui fuggivamo all'estero: 600mila all'anno nel primo decennio del Novecento, 282mila all'anno nel decennio precedente.

Si uccideva spesso: 4000 omicidi volontari soltanto nel decennio 1890-1900, contro i 1400 degli anni Settanta: con qualche milione di abitanti in più. Guerri aggiunge: “Nel Lazio di quegli anni (1890-1910) si registra un numero di reati pari al triplo della media nazionale: è di gran lunga la regione più criminosa, il doppio della Sardegna o della Campania, e le paludi contribuiscono enormemente ad alzare la media” (p. 30)

Emigrata assieme ai suoi genitori, contadini poverissimi, Maria Goretti scende nel Lazio con tutte le proprietà della famiglia: racchiuse in una cassapanca nera. Ha un solo vestito, e un gatto. Si ritrova a vivere in una casaccia di legno e terra, a nutrirsi di pane di granturco, a coltivare una terra secca e povera, assieme alle sorelle e ai genitori. Il padrone affianca loro un'altra famiglia marchigiana, i Serenelli, padre e due figli. Il maggiore diventerà matto. Le due famiglie, licenziate qualche tempo dopo, trovano nuovo padrone nelle Paludi Pontine: in un rettangolo di 50 chilometri per 30 tra Anzio, Cisterna, Terracina e il Circeo. Premio? Casa in muratura e pane di grano. Apriamo una parentesi. A fine secolo, nell'Agro Pontino abitavano stabilmente 16mila persone: divisi in 761 case, 435 capanne, 34 grotte. Grotte? Grotte. Ospitano tante persone. Ce ne erano anche a Prima Porta (sette) e sulla via Flaminia, un quarto d'ora a piedi da piazza del Popolo. In quegli anni da queste parti i gatti avevano vita breve. Chiudiamo la parentesi.

La nuova casa dei Goretti è – incredibile – un lusso o quasi per quella terra poverissima. È una vecchia costruzione del Seicento: un ex deposito di grano, rude, rossiccio. Niente acqua corrente. I panni si lavano alla fonte. Le lenzuola si cambiano ogni uno o due mesi, la camicia (l'unica che hanno, tendenzialmente) ogni venti giorni. Niente bagno o latrina. La luce è quella delle candele, o delle lampade a olio. I Serenelli abitano sul lato opposto della casa. Il paese più vicino, Conca (oggi Borgo Montello), è a due chilometri. Non ha nemmeno una scuola; ha una fama sinistra.

Maria è un mistero: “di lei – personalità, pensieri, intelligenza – non si sa niente, come fosse un santo delle catacombe. Raschiando nei suoi 11 anni e mezzo di vita decine di biografi di buona volontà non sono riusciti a racimolare (…) che una mezza dozzina di frasi sue, di patetica banalità” (p. 70). Guerri ne parla come di una “bambina disgraziata, ottusa dall'ignoranza propria e altrui”: in lei, la religione agì come “freno dello sviluppo mentale”. Non ha biancheria e non ha scarpe. Non ha niente.

Momento di gloria – in quella vita miserabile – è la sua prima comunione. Sarà la prima di tre comunioni prese in 13 mesi, prima di morire. Poche per una santa, osserva Guerri. Falsando le prime dichiarazioni, riuscirono a farle diventare 5 (pp. 85-86). Lo storico racconta “con quanta spietatezza le fosse instillata la sessuofobia”: “fa da mamma ai fratelli di 2, 4, 6, 8 anni: li nutre, controlla i loro miserabili giochi, li mette a letto ma la madre le ha proibito di spogliarli (...): non vuole che li veda nudi (…) perché altrimenti si offendeva il Signore” (p. 91). Sarà bene ricordare che in quell'epoca i confessori reputavano “pericolosi” addirittura i “movimenti disordinati”: la masturbazione era peccato mortale (p. 92). Danze, balli e spettacoli erano “lussuria”. Lussuria.

Chi la ucciderà, Alessandro Settimelli, bifolco diciannovenne, è uno che per timidezza non è mai andato a donne, ma delle donne ha desiderio. Lei è l'unica femmina “a portata di mano”, scrive Guerri: sua madre, vedova, è oggetto del desiderio del padre di Alessandro. Lo storico ricorda che nell'Agro c'erano all'epoca 3000 femmine per 13mila maschi, tutte guardate a vista da mariti, padri e fratelli. Alessandro tenta più volte di sedurla, nei campi. Non riesce, forse perché impotente. Lei, per difendersi, l'ultima volta ripete: “Dio non vuole queste cose, tu vai all'inferno” (p. 111). Poi, a quanto pare, ripete “sì”, ma è troppo tardi. Massacrata, durante l'agonia – più tardi, in ospedale: servivano cinque ore per l'ambulanza dell'epoca – dice “Perdono tutti” (p. 122). Tutti.

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Nel 1950 viene proclamata santa: perché ha gridato “Dio non vuole” a chi voleva violentarla. Guerri ha un parere diverso. Sostiene che “le miserabili condizioni culturali e sociali della bambina”, analfabeta, escludono abbia sviluppato una religiosità consapevole; che la sua santità venne accreditata, specialmente tra 1929 e 1935, con mezzi leciti e illeciti; che nei processi canonici l'assassino venne “cooptato a dire quello che si voleva dicesse”: ad esempio, nel processo del 1938 si contraddisse in continuazione, e forse non a caso la sua deposizione non venne trascritta. La beatificazione fu – infine – decisamente voluta in Vaticano, nel secondo dopoguerra, per creare un buon esempio per i giovani (p. XII), in un momento in cui le nostre donne costavano poco per i soldati stranieri liberatori.

Il “buon esempio” della Goretti ha già dato 3 morti – in Batusoland (1950), Spagna (1952), e Florio di Albino, Bergamo (1957). Tre ragazzine cattoliche che avevano ben presente il paradigma della “santa”. D'altra parte, sua madre prima di morire disse: “Ho pianto molto perché Marietta è morta. Ma avrei pianto assai di più se non si fosse fatta ammazzare” (p. 186).

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“Forse una nuova attualità di Povera santa, povero assassino sta proprio in questo: non basta chiedere perdono per le Crociate, l'Inquisizione, Galileo: la Chiesa dovrebbe chiedere perdono anche a Maria Goretti, santa” (p. IX). Perché l'ha strumentalizzata.

Morale della favola. “Questo saggio – scrive Guerri nella Premessa alla ristampa del 2000 – è dispiaciuto tanto in Curia perché analizzava criticamente metodi e procedure delle cause di canonizzazione, ovvero di quella che anche in Vaticano viene chiamata la 'Fabbrica dei Santi', ma non ha impedito che il papa proseguisse in una sua politica precisa: dotare ogni Paese dei suoi santi, scegliendo di preferenza tra i cattolici che (…) sono stati vittime del potere politico per fedeltà alla Chiesa e alla sua religione”. Giovanni Paolo II ha proclamato, in nemmeno quindici anni, quasi un migliaio tra beati e santi, contro le precedenti 79 beatificazioni e 98 canonizzazioni in 75 anni. Qualcosa dovrebbe significare.

In appendice, per gli scettici e gli studiosi, le “risposte alle contestazioni della commissione” del grande storico Giordano Bruno Guerri, patrimonio indiscutibile dei cittadini democratici, cittadino sensibile e coraggioso.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Giordano Bruno Guerri (Monticiano, Siena 1950), scrittore, giornalista e storico italiano. Si è laureato in Lettere con una tesi su Giuseppe Bottai, poi pubblicata da Feltrinelli (1976). Già direttore del mensile “La Storia Illustrata”, collabora col “Giornale”. Ha lavorato come redattore per Bompiani e Garzanti.

Giordano Bruno Guerri, “Povera santa, povero assassino. La vera storia di Maria Goretti”, Bompiani, Milano 2008. Collana “Saggi Tascabili”. Include un inserto fotografico. L'opera è completa di bibliografia e “Risposte alle contestazioni della Commissione”

Prima edizione: 1984.

Gianfranco Franchi, ottobre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Quando questo libro venne pubblicato per la prima volta, nel 1984, la cultura italiana fu scossa da un feroce dibattito sulla natura della santità d’una “santa semplice”, di grande culto popolare. Al Vaticano tutto questo non piacque affatto, e qualcuno decise di replicare.