Adelphi
2002
9788845916717
“È incredibile la quantità di cose che riesce a fare gente che non è mai nata: Romolo fondò Roma, Noè fece l'Arca, Robinson sopravvisse per vent'anni in un'isola deserta, con lo scomodo aggiuntivo di muoversi tra pagine e parole di un grosso libro, due volumi. Quale stupendo espediente dell'anima è, ad esempio, l'autobiografia immaginaria, o l'autobiografia anonima; e nella autobiografia tradizionale, chi è il personaggio e chi l'autore? Basta questo esempio per dimostrare come in nessun modo si possa catturare codesto autore. Esso non è che un indizio, una macchia di sangue, un giornale strappato, un urlo nella notte che nessuno ha sentito, eccetto un signore anziano che l'ha scambiato con il fischio di un treno” (Manganelli, “Pinocchio: un libro parallelo”, p. 43). Ovviamente.
Scriveva Mario Fortunato: il “Pinocchio” di Manganelli “rivela in pieno la strepitosa anima sub & surreale di un grande scrittore. Un’anima di lettore infingardo e gentile dei classici della letteratura e insieme di straordinario re-inventore linguistico di quel che rimane del romanzo contemporaneo. Il suo Pinocchio è un superbo esercizio di stile, una perfetta macchina narrativa. Dovrebbe essere un testo adottato in ogni scuola che si rispetti: in ogni contesto che sappia che cos’è davvero la letteratura” («L’Espresso», 7 marzo 2002).
Destinato a fare breccia nei cuori di tutti gli appassionati della creatura di Collodi, e a sostenere gli studenti liceali e universitari nell'approccio a un grande classico, “Pinocchio: un libro parallelo” è un'opera di critica letteraria “indiziaria”; spiegava Manganelli: “Direi che è un libro di tracce, orme, indovinelli, burle, fughe, che ad ogni parola colloca un capolinea” (introduzione all'opera, p. 8). L'artista che amava discendere e precipitare – e alla caduta aveva dedicato la sua opera prima, “Hilarotragoedia” – raccontando (non riscrivendo: interpretando, rivelando, analizzando) il libro di Collodi si ferma molto spesso a parlare di scrittura e di lettura; quelli sono i momenti più alti, in assoluto. Manganelli si mostra genio metaletterario. Come in questo frangente: badate al secondo verbo.
“Un libro non si legge; vi si precipita; esso sta, in ogni momento, attorno a noi. Quando siamo non già nel centro, ma in uno degli infiniti centri del libro, ci accorgiamo che il libro non solo è illimitato, ma è unico. Non esistono altri libri; tutti gli altri libri sono nascosti e rivelati in questo. In ogni libro stanno tutti gli altri libri; in ogni parola tutte le parole; in ogni libro, tutte le parole; in ogni parola, tutti i libri. Dunque questo 'libro parallelo' non sta né accanto, né in margine, né in calce; sta 'dentro', come tutti i libri, giacché non v'è libro che non sia 'parallelo'” (pp. 122-123).
Un libro non si legge: vi si precipita. E non c'è libro che non sia parallelo. Perché? Torniamo alle prime battute dell'opera: “Il libro si dilata, è tendenzialmente infinito. Eppure non è mai fittizio. Un grande libro genererà infiniti libri, e così a loro volta questi ultimi: né vi sarà mai l'ultimo” (p. 19). Perché ogni pagina, scrive GM, “si dilunga e si dilata e sprofonda” (ancora!), “ed anche emerge e fa bitorzoli, e cola fuori dai margini”.
Il libro è carne, ossa, sangue e spirito, sembra suggerire Manganelli; ecco che osservando Pinocchio scrive che quel legno è materia che chiama la distruzione e la cenere, e insieme vuole diventare e trasformarsi: come un libro, come l'esperienza della lettura. Ogni opera letteraria è potenzialmente uno straordinario viaggio in noi stessi, nella nostra memoria, nella nostra conoscenza, nei nostri stessi pensieri. Figuriamoci un ritorno sui passi di Collodi. Possiamo uscirne trasformati, possiamo ritrovarci cambiati, al termine del viaggio.
Rileggendo “Pinocchio”, rileggiamo la nostra infanzia, rileggiamo un antico paradigma, ritroviamo antiche paure. Secondo Giusepe Bonura, “Per Manganelli il capolavoro di Collodi è una metafora della Lettura. In altri termini, quando il bambino impara a leggere (e anche prima) nella sua mente si stampano tutti i luoghi fiabeschi e i meccanismi fantastici che poi ritroverà in Pinocchio. Anche noi crediamo in questa ipotesi critica. Con una differenza: mentre Manganelli crede che Pinocchio rappresenti i sogni e i terrori dell’adulto, noi crediamo che invece si limiti a rappresentare i sogni e i terrori del fanciullo. È nell’infanzia che ci assale il terrore innominabile di essere orfani di madre e subire tutte le angherie della vita, compreso l’affronto supremo della morte, a cui Manganelli dà un giusto rilievo” («Avvenire», 9 febbraio 2002)
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Forse siamo come Mastro Ciliegia, come quegli uomini che vengono rassicurati dal nulla: siamo singolari perché siamo privi di qualità singolari. Ci conforta l'esistenza di un libro che legge ogni simbolo e ogni dinamica di un romanzo che abbiamo già mandato a memoria, e forse non ha più niente di nuovo da comunicare; perché leggendolo ci sembra di riconoscere la possibilità di una condivisione universale di senso e significati, e ci piace che accada di riconoscere questa possibilità in bello stile. Ma forse ha ragione la Redazione di Italia Libri, quando scrive: “Quella di Manganelli, l’ha scritto Citati su Repubblica, è l’opera più bella: mai viste pagine così penetranti, meraviglie a cui «nessun critico è mai giunto». – Eppure questo non è un libro di critica. Rispetto al genere, ha difetti insormontabili: tanto per cominciare, è scritto troppo bene, e poi è troppo divertente, troppo complice, troppo vivo. Con Manganelli cadiamo subito – già dal «c’era una volta»! - nel pieno d’una suspense: come se non si conoscesse la favola, si resta turbati e si chiede “ancora!”. Sul filo dell’angoscia, nel pieno della meraviglia, di nuovo tra grilli, volpi e fate, si scopre di non sapere nulla di ciò che si sa. Che c’è tutto da riamare: esiste regalo più grande?”
A un tratto, Manganelli scrive che Pinocchio, maestro della menzogna, è una creatura totalmente vocata alla sofferenza; un 'burattino' che ignora se stesso, un ubbidiente e un gioco; è ribellione e devozione; all'inizio, si è arreso, ma la sua resa è una sfida. Io mi sono fermato per molte ore a pensare – anni dopo la prima lettura – a questo concetto insensato e stupendo. “La sua resa è una sfida”. Mi sembra modernissimo, fertile e disorientante. Come la scrittura di Manganelli.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giorgio Manganelli (Milano, 1922 – Roma, 1990), narratore, critico, traduttore, giornalista e saggista italiano. Si laureò in Lettere presso l'Università di Pavia; fu consulente editoriale Adelphi, Einaudi, Mondadori.
Giorgio Manganelli, “Pinocchio: un libro parallelo”, Adelphi, Milano 2002. Collana “Biblioteca Adelphi”, 420. Rassegna stampa: qui.
Prima edizione: 1977.
Gianfranco Franchi, luglio 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.