Dieci anni (e mezzo) di autonomia e di ricercatezza, caratterizzati da una sincera dedizione ai filosofi libertari e ai pauperisti [Thoreau, Emerson, Peguy, Bloy], da una verace e radicale professione di ambientalismo [loro un Monbiot e il suo equivalente italiano, Sturloni], da una ripetuta serie di coraggiosi e sofisticati recuperi [dal “Typee” di Melville a uno Jünger laterale, dall’autobiografia di Tesla a “Masscult e Midcult” di MacDonald, da Alan Watts all’introvabile “Ventre di Gravebürden” di Persio Nesti] e da qualche apprezzabile divagazione italiana contemporanea (loro le spumeggianti e pallonare “Sforbiciate” di Gabrielli, loro il doloroso documentario “I treni non esplodono” di Federico Di Vita e Ilaria Giannini), i pianobisti sono uno dei microcosmi più vivaci e incandescenti dell’editoria di progetto. Incontriamo i due carismatici e schivi papà: Alessandro Miliotti e Andrea Guarducci.
Questa storia ha inizio a Prato, parecchio tempo fa. Ha inizio come una storia d’amicizia, o forse come una storia d’amore: voi due e le vostre compagne, oggi vostre socie, sognavate di fondare una casa editrice. Perché? Quali erano i vostri modelli? Quali erano le vostre muse?
AM: Direi anzitutto perché ci piacciono i libri; poi perché “fare libri” permette di proporre idee, anche molto diverse fra loro, e in un certo senso di cambiare la vita e le menti degli altri (oltre che le nostre). In qualche modo è “fare politica”: portare le persone a riflettere sulle proprie scelte, passate e future. Se dovessi citare un modello e una musa, io direi Guanda: non so bene il motivo ma mi sono sempre piaciuti i loro libri, forse perché ho letto i primi libri di Jünger, e anche per Febbre a 90° e Alta fedeltà, di Hornby, che ho letto da ragazzino.
AG: Quello che ci ha guidato è stata la passione per i libri, e per quanto mi riguarda anche l’idea di poter lasciare una traccia concreta, una scia; che anche quando Piano B non ci sarà più qualcuno potrà condividere, seguire o magari continuare. Ogni copia di ogni libro che lascia la tipografia è come un seme, e magari qualcuno gli darà la possibilità di nascere. È un seme delle nostre piante, che parla di noi e delle nostre idee.
Cosa ha rappresentato, per voi, l’esperienza pluriennale nello Studio 451, ben prima di fondare la Piano B? Quanto mestiere avete imparato e quali soddisfazioni vi siete levati? Quanta fatica e quanti sacrifici?
AM: Abbiamo imparato le basi del lavoro editoriale: la cura del testo, delle immagini, la carta – dell’oggetto libro in generale. Ci ha permesso di fare i primi errori e d’imparare di conseguenza. Fatica e sacrifici più che altro in relazione al fatto d’iniziare un percorso nuovo, senza contatti lavorativi importanti, e quindi la necessità di farsi conoscere “da zero”. Problema, quest’ultimo, che in scala più grande si è ripresentato con la casa editrice.
AG: Lo Studio451 ci ha permesso di capire cosa ci sarebbe stato dietro una casa editrice, almeno nella sua parte tecnica e operativa. Abbiamo imparato a usare gli strumenti del mestiere, grazie anche agli editori con i quali abbiamo collaborato e ai tecnici della stampa con i quali, per primi, ci siamo confrontati. Abbiamo confezionato dizionari, guide turistiche, cataloghi d’arte e organizzato convegni, ma sapevamo che quella non sarebbe stata la nostra strada. Sentivamo di dover costruire qualcosa di nostro, di dover provare a dire qualcosa. Il nostro Piano B è nato così.
Alessandro Miliotti ha studiato Filosofia a Firenze; s’è laureato con una tesi su Martin Heidegger e la questione della tecnica. Andrea Guarducci ha studiato Storia dell’Arte a Firenze e ha concluso la sua avventura accademica con una tesi in estetica su Luciano Anceschi. Quanto ha avuto peso la vostra formazione nella vostra successiva attività editoriale? Qual è l’eredità dei vostri anni universitari?
AM: Molto semplicemente, studiare filosofia ti porta a conoscere tanti autori, libri e idee; e ogni buon libro ha il pregio di rimandare sempre a qualche altro buon libro: in questo senso direi che ha avuto un ruolo molto importante.
AG: In realtà non so quanto l’università mi abbia aiutato nel mio percorso. La passione per i libri e per la lettura me la porto dietro da molto tempo prima, dalle medie, dal liceo. Sono le intere settimane passate a leggere Tolkien invece di studiare, che mi hanno segnato; sono i librogame di Lupo Solitario letti nei pomeriggi d’estate che hanno scatenato tutto. Il mio percorso universitario è stato a metà tra l’arte e la sua critica; tra la rappresentazione e il suo messaggio, implicito o esplicito; l’arte ha stimolato una certa sensibilità per le immagini e per il design, e questo sicuramente è servito. Probabilmente se avessi fatto Economia e commercio avrei fatto altro: tutto ma non l’editore. Ma siccome non avrei mai potuto finire Economia e commercio, eccomi qua. Diciamo che non si impara all’università, come diventare editore.
Prato è Curzio Malaparte, Prato è Persio Nesti, Prato è il leggendario Sandro Marcovaldi. Prato, un tempo, era, per le sue stamperie, la Lipsia d’Italia, ci avete insegnato nel vostro ormai raro “Itinerari d’autore“, curato da Francesca Goti e Martina Grassi: adesso Prato che cos’è? E voi, cosa state predicando? Come state cambiando la vostra città? Cosa sognate?
AG e AM: In tutta onestà non predichiamo nulla di particolare alla nostra città, sarebbe un nobile proposito che dovremmo prefiggerci, il fare qualcosa in questo senso, perché in qualche modo è da qui che siamo partiti. Abbiamo cominciato il nostro percorso dalla ricerca sulla storia locale. Saremo sempre grati a Umberto Mannucci e Franco Riccomini, figure di riferimento della cultura pratese, per la fiducia che ci è stata data, e a Franco Neri, storico direttore della biblioteca della città, che ci ha commissionato i primi lavori come studio editoriale. Sarebbe grandioso se il coraggio e lo spirito d’iniziativa che hanno caratterizzato la storia dei pratesi si rivolgessero oggi a quei temi di cui abbiamo parlato e che ci stanno a cuore: un’educazione alla libertà di pensiero e alla tutela della natura…
Adesso passiamo a una questione più tecnica e comunque strategica: la distribuzione. Cosa ha significato, per voi, il passaggio a Messaggerie, nel 2018? Qual è stata la vostra esperienza, sin qua, dai tempi dei vostri esordi, promossi dalle Dehoniane? Quali sono stati gli aspetti oscuri e quali, invece, quelli più positivi?
AM e AG: Passare a Messaggerie ci ha obbligato ad avere un approccio più professionale al lavoro distributivo: uscite, rifornimenti, rese, etc. Abbiamo dovuto affittare un magazzino più grande e organizzare il lavoro in modo meno artigianale e più industriale, per così dire. Fin qui l’esperienza è positiva, anche perché le precedenti esperienze distributive erano finite come peggio non potevano: due fallimenti (uno con concordato, non ancora risolto) con i relativi gravi strascichi sul nostro lavoro. Tra gli aspetti più importanti è che i libri escono il giorno in cui devono uscire, i rifornimenti sono più puntuali e in generale stiamo allargando il giro di librerie con cui entriamo in contatto. Il giudizio ci pare molto positivo.
Perché è stato così difficile incontrarvi in fiera, nel corso di questi anni, tolta qualche incursione pisana? Perché abbiamo dovuto aspettare fino al 2018 per vedervi a Roma, nella famigerata Nuvola di Fuksas? È stata una scelta tattica? Preferivate essere cercati – essere immaginati soltanto, oppure “parlare soltanto coi libri”? Timidezza? Accorta e saggia economia?
AM: Da buon pratese direi anzitutto “accorta e saggia economia”, con forse una spolverata degli altri elementi che citi. Il costo di uno stand e di un soggiorno a Roma equivaleva per noi alle spese di tipografia di almeno un paio di nuovi libri. E ai nostri occhi, con un catalogo non così ampio, sembrava non valerne la pena. Quest’anno è stata una bella esperienza che ripeteremo: vedere negli occhi chi compra i tuoi libri, rispondere alle loro domande, osservare quello che loro osservano in uno stand, aiuta a capire meglio il nostro lavoro e quello che stiamo facendo.
AG: Concordo con Ale. È stato un grande piacere conoscere i nostri lettori, tanti sono venuti a trovarci per fare due chiacchiere, sembravano davvero contenti! Abbiamo venduto molti libri e siamo rientrati con le spese, quindi molto evidentemente abbiamo aspettato troppo a partecipare a PLPL 😉
Passiamo alle copertine. Avete collaborato con il m° Maurizio Ceccato, per la notevole collana Zeitgeist (quella di “Homo Interneticus” di Siegel), avete “giocato in casa” per la vecchia, adorabile collana Elementi – quella che mi aveva ricordato, tanti anni fa, per l’intelligenza e il mestiere nelle scelte, Stampa Alternativa – e più recentemente, a volte, sembrate essere diventati “americani” [ad esempio, per la copertina di Jurek]. A che gioco si gioca? Mimetismo? Camaleontismo? Duttilità? Differenziazione selvaggia?
AM: Io sono per la differenziazione selvaggia, ma delle copertine si occupa quasi esclusivamente Andrea, quindi lascio a lui la parola.
AG: Duttilità mi piace, è una bella parola. In verità tentiamo solo di cucire addosso a ogni titolo il vestito giusto. È una sfida complessa, e ogni volta si riparte da zero. Da qualche tempo, per i titoli di Disport e Fuoricollana stiamo cercando di fare proprio questo, con formati e stili sempre diversi e unici. Un approccio “americano”, e per quanto mi riguarda anche molto stimolante. Un breve esempio, se posso: a fine mese uscirà un bel libro, Pensare come una montagna (A Sand County Almanac) di Aldo Leopold, il padre della moderna ecologia. I temi sono universali, pur essendo ambientato in Wisconsin, nelle zone intorno alle Baraboo Hills. Avrà in copertina un’elaborazione grafica di una mappa del 1856, esattamente di quella zona, che un formidabile grafico americano, Scott Reinhard, ha modellato con effetti tridimensionali.
Credo che sia questo il senso della duttilità, l’elasticità di cercare sempre il miglior risultato, prima nei contenuti e poi con il contenitore.
La nostra collaborazione con Maurizio Ceccato – amico e maestro – prosegue nelle collane Zeitgeist e Avantiveloce; mentre La mala parte e Elementi, le collane più vecchie, continuano a sottostare alle loro leggi. Sono quelle altre due, dannate teste calde, che fanno quello che vogliono.
Adesso facciamo un gioco. Vorrei che mi raccontaste i tre libri (o le tre operazioni) che avete mancato per un soffio (e ci tenevate, parecchio, a farli vostri); e poi, i tre libri sbagliati (stanno in catalogo, e se ci pensate allargate le braccia: succede…).
AM e AG: Lavorando con i diritti esteri non sono poche le operazioni che volevamo fare ma che, per una ragione o per l’altra, non siamo riusciti a concludere. Spesso il motivo è che editori più grandi hanno la precedenza e/o maggiori disponibilità economiche. Se dovessi citarne qualcuno tra gli ultimi direi On Trails di Robert Moor, un bel libro sul camminare che è stato pubblicato credo l’anno scorso da Corbaccio; un altro recente è la vita del Buddha, di Kerouac, i cui diritti sono stati vacanti per un po’ prima di essere ripresi da Mondadori.
Una cosa che personalmente mi sarebbe piaciuto fare è un’edizione del Walden, con una traduzione del nostro curatore di Thoreau, oltreché amico, Stefano Paolucci. Purtroppo (o per fortuna, dipende) ci sono ormai diverse edizioni del Walden, anche di grandi editori, e noi faremmo fatica a proporne una nostra a un prezzo concorrenziale.
Tra i libri sbagliati non saprei davvero, direi che non rifarei il Trattato dei tre impostori e Stupefatti!, tra i nostri primi libri; ma in generale, sarà perché sono relativamente pochi (circa 130), guardo ancora i nostri libri come una mamma guarda ai suoi figli: anche se sono brutti e disgraziati, gli si vuol bene lo stesso.
… e invece i cinque libri dei quali siete stati più orgogliosi, almeno fin qua? Quali sono i cinque titoli che credete siano più rappresentativi del vostro lavoro, i cinque portabandiera del vostro catalogo?
AM e AG: La semplice verità, una selezione inedita dei diari di Emerson e Thoreau, rappresenta anche un simbolo del nostro lavoro: cercare e proporre libri e testi dimenticati, o ignorati, dalla grande editoria; I treni non esplodono, per tutto quello che c’è dentro; La battaglia come esperienza interiore, perché pubblicare un inedito così potente di Jünger è una grande soddisfazione per una piccola casa editrice; L’unico mondo che abbiamo, di Wendell Berry, perché sa scrivere con semplicità cose molto profonde, ed è una dote rara; cito anche una delle nostre ultime uscite: Lo zen nell’arte di scrivere, perché Bradbury è un genio. E poi vorremmo ricordare L’arte del Piano B. Un libro strategico, di un certo Gianfranco Franchi, vero libro-totem per tutti i pianobisti: sei stato il primo che ha intravisto qualcosa nel nostro progetto, e che ha creduto in quello che facevamo. Ci hai dato un sacco di consigli e ci hai dedicato anche il tuo libro – non smetteremo mai di ringraziarti.
Veniamo a qualche anteprima. Cosa bolle in pentola? Cosa state preparando, a cosa state lavorando, in questo periodo? Sarà l’anima pianobista libertaria e pauperista, ad emergere, o quella ambientalista ed ecologista? Tornerete a essere i ragazzacci di Prato che pubblicano i migliori tra i loro fratelli toscani oppure sarete i sofisticati editori capaci di recuperare inediti o rarità di Melville, di Sherwood Anderson, di Balzac, di Jünger?
AM e AG: Come ti dicevamo, abbiamo appena portato in tipografia la prima edizione integrale italiana di A Sand County Almanac di Aldo Leopold, un testo fondamentale dell’ambientalismo e un capolavoro della letteratura naturalistica, che uscirà a fine marzo. Per l’inverno prossimo avremo una selezione dei Diari di Thoreau, con la curatela e la traduzione di Mauro Maraschi.
Poi abbiamo acquistato i diritti di Alone in the Wilderness, l’autobiografia di Richard Proenneke, una bellissima storia di solitudine e di amore per la natura, che negli anni Settanta, non appena in pensione, pensò di costruirsi una capanna nelle terre selvagge dell’Alaska. Ci rimase trent’anni, da solo. In America è un libro molto amato. C’è anche un bellissimo documentario girato proprio da lui, si trova in rete. Speriamo possa uscire entro l’anno.
Poi ancora nuovi inediti di John Muir e Rachel Carson, ma anche Gandhi e Gauguin. Diciamo che la nostra parte ambientalista ed ecologista avrà ancora molto da dire, perché ci siamo resi conto che parlare di ambiente, di natura e della sua tutela è probabilmente una delle cose più importanti da fare in questo momento, uno dei pochi argomenti di cui valga davvero la pena parlare. Inoltre l’ecologia è un tema che, a cascata, mette in discussione tutto il nostro mondo, obbligandoci a ripensarlo in modo radicale.
Gianfranco Franchi, marzo 2019.
Per approfondire: Piano B Edizioni in Porto Franco + sito ufficiale Piano B Edizioni.
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