Mondadori
2006
9788804557296
“Infatti l’Isolachenoncè è, più o meno, un’isola con meravigliose macchie di colore qua e là, e banchi di corallo, e vascelli pirati al largo, e selvagge tane solitarie, e gnomi che per lo più esercitano il mestiere di sarto, e caverne attraverso le quali scorre un fiume, e principi con sette fratelli maggiori, e una capanna che sta andando in rovina, e una vecchia signora straordinariamente piccola con il naso a becco” (Barrie, “Peter Pan”, capitolo I, “Presentazione di Peter”).
Il dolore può essere sconfitto. La sofferenza più lacerante può trovare un rimedio. Il rimedio che l’umanità più ama è la fantasia, il rifugio nell’immaginazione: siamo una razza visionaria, dipingiamo sogni e li popoliamo di invenzioni, poi chiudiamo gli occhi e la generazione successiva vive nella nostra primitiva illusione. La coscienza non è una soluzione: la coscienza è una maledizione. Non c’è altra salvezza che non sia l’immaginazione. Lo scrittore scozzese James Matthew Barrie è riemerso da un dolore lancinante d’adolescenza, la morte del fratello, trasfigurando la propria esistenza in un personaggio diventato archetipico: Peter Pan, il ragazzo che non crescerà mai, mentre il mondo, spietato, invecchia. Alison Lurie, nell’introduzione all’edizione indicata nella bibliografia, ricostruisce con precisione la vicenda biografica dell’artista: rinvio alle sue pagine quanti fossero interessati ad approfondire. Veniamo al romanzo.
Frainteso e semplificato dal mondo dei cartoni animati disneyani, contaminato da una serie di infedeli trasposizioni cinematografiche, il “Peter Pan” di Barrie è un libro che riveste grande interesse nella letteratura dedicata alla figura dell’aeternus puer, rivelandosi come il padre putativo del “Petit Prince” di Antoine de Saint Exupery. Il romanzo ha certamente elementi fiabeschi e si rivolge facilmente alla sensibilità di un bambino: tuttavia non è affatto un’opera elementare, e non soltanto alla luce dell’esperienza esistenziale dell’autore. I primi tre capitoli, in particolare, nonostante l’evidente accessibilità linguistica e una apprezzabile comprensibilità, nascondono simbolismi e significati complessi. La coscienza, autentico nemico di Peter Pan, è la protagonista delle prime battute del libro. “Tutti i bambini, tranne uno, crescono […] tutti, dopo i due anni, scopriamo questa verità. I due anni sono il principio della fine”. Wendy Darling, l’eroina del romanzo, rappresenta l’ultima difesa dell’innocenza e dell’immaginazione prima della resa incondizionata alla coscienza. Peter Pan è il rifiuto della coscienza e della realtà. Immaginazione pura.
Peter non ha madre. Non sa cosa sia un bacio. Non riceve lettere. Non conosce le favole (perché è favola o perché vive in una favola?), ed è ammirato da chi le sa raccontare. Non sa quanti anni ha, “ma devo essere molto giovane”, dice. È fuggito di casa il giorno stesso in cui è nato, “spaventato dalle ambizioni dei suoi genitori”: si è rifugiato nei giardini di Kensington, a giocare con le fate. Adesso vive nell’Isolachenoncè, capitano dei Bambini Smarriti. Nessuno di loro conosce le favole(perché la fantasia è la loro realtà?). Wendy conosce tante favole, e potrebbe insegnarle loro: ma non conosce la strada per arrivare all’Isolachenoncè. La strada è semplice: “la seconda strada a destra, e prosegui fino all’alba”; ma è necessario volare. Peter insegnerà a volare a Wendy e ai suoi fratellini: il segreto del volo è nel pensiero (nell’immaginazione): pensieri stupendi aiutano a volare via, ma si deve essere cosparsi di polvere di fata. Peter, nel corso dell’avventura, griderà la sua identità, in uno scontro con Uncino: “Io sono la giovinezza, io sono la gioia”. Per questo potrà affermare, splendidamente incosciente: “Morire sarà una grande meravigliosa avventura”.
Tutto è gioco e fantasia. La morte non ha più dominio. Wendy e i suoi due fratellini, Gianni e Michele, viaggeranno con Peter alla volta dell’Isolachenoncè, vivendo strabilianti avventure tra pellirosse, grotteschi pirati nemici (tra i quali un “Massone” e il famigerato Giacomo Uncino, già mutilato da Peter Pan) e comunità di coraggiosi e folli Bimbi Smarriti, fino a far ritorno nella casa dei genitori, per vivere al loro fianco (e crescere, ed entrare nella “realtà”). Ma l’abbandono della fantasia non è definitivo: Wendy parlerà di Peter alla sua bambina, Jane, e così via, per generazioni. Fin quando i bambini sorrideranno, nasceranno le fate, racconta Peter. E ogni volta che giureranno che le fate non esistono, una di loro morirà.
Interessante rilevare come una delle spie della “metà oscura” di Peter Pan, una metà addirittura carontica, si possa rinvenire in un dialogo tra Wendy e la madre, sempre nel primo capitolo. La bambina inizia a parlare alla madre dello stravagante figuro che popola i suoi sogni, (prima dunque della sua “incarnazione” o “apparizione”) ed ecco cosa avviene.
«“È Peter Pan, capisci, mammina?”. Dapprima la signora Darling non capì, ma dopo, ritornando con il pensiero alla sua infanzia, rammentò proprio un Peter Pan che dicevano vivesse con le fate. Si raccontavano molte strane vicende intorno a lui; per esempio, si diceva che allorché i bambini morivano, egli li accompagnasse per un tratto di strada perché non avessero paura. Ella aveva creduto in lui a quel tempo; ora che era maritata e piena di buon senso dubitava dell’esistenza di un tale personaggio”».
Una prima interpretazione di questo passo è metaforica: quando i bambini crescono, “muoiono come bambini” e vivono una metamorfosi irreparabile, diventando adulti. Una seconda interpretazione, letterale, suggerisce che Peter Pan fosse una sorta di spirito degli Inferi: non si deve trascurare, come suggerisce la Lurie, l’alto tasso di mortalità infantile dell’epoca dell’artista. L’Isolachenoncè poteva diventare (essere) “l’Ade dei bambini”? Avremmo dovuto domandarlo all’autore. Una terza interpretazione è, per così dire, psicanalitica. In questo passo, Barrie ha forse inconsciamente suggerito l’origine della storia: il suo desiderio di “addolcire” la morte del fratello. Non escludo nessuna delle tre ipotesi.
Meno interessanti le figure dei genitori dei piccoli, eccettuato questo frammento legato alla signora Darling: Agenore, il marito, è una creatura fredda e insensibile, ossessionata dai problemi economici(accidenti, un adulto!). Le difficoltà economiche attanagliano, obbiettivamente, la serenità della coppia: tata dei piccoli è una specialissima cagnetta Terranova, “Nana”: spazzola i capelli, assesta le pieghe delle gonne, attende i bambini all’uscita della scuola, li assiste durante il bagno. I bambini sembrano vivere in un ambiente soffocante e segnato dalla miseria: ed è proprio in questo contesto che Peter inizia ad apparire prima nei loro sogni, suonando il flauto (Pan!) seduto ai piedi del letto, e poi nella “realtà”, una notte, vestito di foglie secche e della linfa che stilla dagli alberi. La madre lo vede, si spaventa, e riesce a farlo fuggire via con l’aiuto di Nana. Ma l’ombra di Peter rimarrà impigliata, e lui dovrà tornare a recuperarla, assieme alla fata Trilly (può un’ombra vivere senza ombra?). Wendy s’accorgerà della loro presenza…e la fine della storia non è proprio necessario sintetizzarla. Un libro adorabile: intelligente e originale. Ma non così leggero e divertente come si poteva pensare: è nato nell’abisso di un dolore, serviva come sostegno e come consolazione, s’è rivelato trionfo dell’immaginazione. Da leggere.
«“Non ho mamma” rispose Peter. E infatti, non solo non aveva la mamma, ma non aveva nemmeno il più debole desiderio di averla. Riteneva che si attribuisse alle mamme eccessiva importanza. Wendy ebbe subito la sensazione di trovarsi di fronte a una tragedia ed esclamò: “Non mi stupisco, perché tu piangevi”. Saltò giù dal letto e corse con sollecitudine a lui. “Non piangevo per il fatto di non avere madre”, dichiarò egli piuttosto adirato “piangevo perché non posso riattaccarmi la mia ombra. E poi non piangevo nemmeno!”» (Barrie, “Peter Pan”, capitolo III, “Venite via, venite via!”).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Sir James Matthew Barrie (Kirremuir, Forfashire, Scotland, 1860 – London, England, 1937), drammaturgo, giornalista, critico teatrale e romanziere scozzese.
James Matthew Barrie, “Peter Pan”, Mondadori, Milano, 1996. Traduzione di Pina Ballario. Cronologia di Stefania Benini. Introduzione di Alison Lurie. Il libro è strutturato in diciassette capitoli, numerati progressivamente, ciascuno dei quali provvisto di titolo.
Prima edizione: “Peter and Wendy”, Hodder and Stoughton, London, 1911.
Bibliografia consigliata: nella sua splendida e organica introduzione all’opera di Barrie, Alison Lurie segnala due romanzi dell’artista scozzese: “Sentimental Tommy” del 1896 e “Tommy and Grizel” del 1900, “notevoli e attualmente quasi sconosciuti romanzi autobiografici […] inaspettatamente seri e psicologicamente sottili”.
Ulteriore indicazione interessante: nella cronologia, la Benini afferma che la matrice di “Peter Pan” è “L’isola di corallo” del suo connazionale Robert Michael Ballantyne. Stampato nel 1858 (titolo originale: “The Coral Island: A Tale of the Pacific Ocean”), il libro destò l’ammirazione di Robert Louis Stevenson e probabilmente costituì un contraltare per l’isola di Golding del “Signore delle Mosche”).
Gianfranco Franchi. Settembre 2003.
Prima pubblicazione: Lankelot.
“Nulla di quanto accade dopo che abbiamo raggiunto i dodici anni fa alcuna differenza”. (James Matthew Barrie, “Margaret Ogilvy”, 1896)
Prima edizione: “Peter and Wendy”, Hodder and Stoughton, London, 1911.