Parliamo dell’elefante

Parliamo dell'elefante Book Cover Parliamo dell'elefante
Leo Longanesi
Longanesi
2005
9788830422957

«Duclos, giorni fa, diceva: “Signori, parliamo dell'elefante (un giovane elefante di cinque anni che destava la curiosità dei parigini); è la sola bestia di una certa importanza di cui si possa parlare, in questi tempi, senza pericolo». (Grimm, “Correspondance”). Ma “Parliamo dell'elefante”, secondo Pierluigi Battista, è un titolo che depista: perché in queste pagine accade proprio il contrario, “non si capisce bene con quale grado di consapevole sfrontatezza”, perché si va allegramente e con grande naturalezza a bucare l'omertà paracula dei suoi contemporanei. Dando vita a uno stile che rimarrà impresso nella memoria degli italiani.

1947. “Parliamo dell'elefante” è composto dai frammenti d'un diario d'un intellettuale atipico, anti-antifascista, borghese e anti-italiano: il padre libertario Leo Longanesi. Racconta il periodo 1938-1946, delicato, doloroso, sbagliato, tragico e deludente, con intelligenza, personalità, con molto coraggio. Sa spiegare limiti, vezzi, vizi e talenti dei suoi compatrioti (“Sono fanatici, ma non senza conservare qualche amicizia fraterna nel campo avversario”, 27 luglio 1938); sa prendere le distanze dal regime senza odio, con carattere e intelligenza; sa prendersi gioco degli alleati americani con un pizzico di veleno.

È un diario d'autore, brillante davvero negli aforismi, nei paradossi, nelle massime e nei piccoli ritratti degli artisti e dei letterati incontrati strada facendo, come vedremo. Cominciamo dai paradossi: dall'ultimo, perché è uno dei miei preferiti: “Conservatore in un paese in cui non c'è nulla da conservare” (18 novembre 1946). Qualche passo indietro: 15 dicembre 1938. “Fanfare, bandiere, parate. Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica”. E c'è poco da glossare, credo che i riferimenti siano chiari per tutti.

7 maggio 1939. Un certo B.C. dice che un tizio “non capisce, ma non capisce con grande autorità e competenza”. Chiosa Ottone Rosai: “Dipinge in dialetto”.

Massime. 4 ottobre 1944. “Finalmente una esatta definizione del fascismo di Alberto Consiglio su 'L'Italia Nuova' di oggi: 'Un assolutismo temperato dalla costante inosservanza della legge”. Passo indietro, novembre 1938, Longanesi lapidario: “Veterani si nasce”. Stesso stile, 15 marzo 1938: contro l'avarizia. “Vissero infelici perchè costava meno”.

Freddure intellettuali. 20 dicembre 1938: “La parola 'pompiere' è stata messa al bando. D'ora innanzi si dovrà dire 'vigile del fuoco'. È un ordine personale di Mussolini, ordine che piace a tutti: accontenta dannunziani e socialisti”.

La più atroce: “Il professore di lingue morte si suicidò per parlare le lingue che sapeva” (17 novembre 1945). Freddure politiche. Italia repubblicana, 6 gennaio 1946. “Una domanda che non dobbiamo mai rivolgere a nessuno: 'Ma dove ci siamo già incontrati?'”. Questa ci mette un po' ad arrivare, ma poi arriva per bene. E mi sembra molto italiana.

Italia fascista, 28 novembre 1938: “Gerarchi: la grande attività di chi non ha nulla di serio a cui pensare”. Italia liberata, 16 gennaio 1944: “Gli ufficiali italiani sono incorreggibili, camminano per le vie di Napoli in divisa coloniale, speroni e vasti petti coperti di decorazioni. 'Non abbiamo più colonie, non abbiamo più cavalli e abbiamo perduto la guerra', dico. 'Sono distratti', mi risponde un ufficiale inglese.

Italia rivoluzionaria, 27 maggio 1940: “Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola”.

Italia libertaria, 9 dicembre 1943: “Non c'è posto per la fantasia, ch'è la figlia diletta della libertà. La libertà è morta perché si è troppo estesa; il suffragio universale della libertà ha ucciso la libertà”.

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Anti-antifascismo. Una selezione di bordate. Roma, 1 luglio 1944. “Ritorno a Roma. Nulla è cambiato, tutto è intatto. Il fascismo è eterno; quel che accadde ieri si ripete nello stesso modo. Nell'Avanti! di oggi leggo questo brano a firma Leto: 'Operai sono quelli che hanno il viso più chiaro, le spalle più erette, la camminatura più forte e scandita in questi giorni di convalescenza politica e morale'. Una nuova retorica comincia; bisogna aggiornarsi”. Come a dire: l'antifascismo, come insegnava Maccari, è nato a immagine e somiglianza del fascismo.

Magnifica quella del 9 ottobre 1944: “Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano queste idee”. Giurerei d'averla letta ieri sul sito dell'Unità, curiosamente attribuita a Roberto Benigni. Non sono gli errori che mi spaventano, ma le testate che presentano questi errori.

Il comunismo è “qualcosa che ognuno costruisce secondo i propri desideri”: Longanesi dice che ha incontrato generali convinti di vincere qualsiasi guerra perché col comunismo il soldato sarebbe stato più obbediente. 14 agosto 1944: “Molta paura in tutti del comunismo; molta paura in tutti di non sembrare comunisti; molta paura nel comunismo di non piacere a tutti”.

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Anti-americanismo. Napoli, novembre 1943. Per le strade, “la solita scena di ogni giorno: due soldati americani ubriachi barcollano e urtano i passanti. Uno tiene in pugno una bottiglia di liquore che porta di tanto in tanto alla bocca, l'altro grida e canta. A un tratto, entrano in una modisteria, palpano le commesse, le inseguono fin sulla strada, poi ritornano in negozio. Strilli”. Segue descrizione di altre bravate simili, su questi americani che barcollano e prendono ragazze per strada, le svestono e ridono. “La città è piena di negri enormi che camminano lenti e dinoccolati, con le lunghe braccia pendenti e le grandi mani aperte come ali di pipistrello. Vagano per la città sorridendo, mostrando i loro denti bianchi; vanno a caccia di ragazze, di orologi, di penne stilografiche e di alcol. Appena casa il sole non sorridono più, non pagano più, non baciano più i bambini scalzi; rubano e puntano le pistole contro i trepidanti napoletani, che non sanno davvero più chi odiare”.

Quando appaiono i primi soldati francesi degollisti, Soldati chiosa: “Udirli parlare francese mi commuove. È il primo segno che esiste una solidarietà europea nei confronti degli americani” (30 novembre 1943)

Febbraio 1944. “Questi omaccioni che con un pugno sfasciano una porta chiusa in realtà sono molto fiacchi, lenti a capire, senza iniziativa. Il loro modo di divertirsi è infantile, denota la loro scarsa fantasia. Bevono macchinalmente, senza gustare quello che trangugiano; poi si inferociscono e rompono quel che capita loro sottomano. Con le donne, i loro rapporti sono fanciulleschi; tengono per mano le ragazze, in silenzio per ore ed ore, oppure le aggrediscono come bruti e le picchiano. Dapprima superbi nei rapporti civili, si fanno poi di zucchero. Gli americani, come diceva Talleyrand, vanno lusingati, e il giorno che sono lusingati sono vinti”.

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Letterati. Leo ne ha per tutti. Silone: “I suoi personaggi sanno di vivere in un romanzo che sarà tradotto all'estero” (17 novembre 1946).

Moravia sotto regime: 1 febbraio 1941. “Non fidatevi di A., è una spia. Lo so di sicuro”, ci dice Moravia. “Ma se da dieci anni parliamo con lui ogni giorno!”. “Questo non significa nulla; viene il giorno in cui ci si pente di non averci denunciato e si rifà del tempo perduto”.

Ezra Pound: “Ezra Pound viene a trovarmi in ufficio, accompagnato da un comune amico ungherese. È un vecchio uccellaccio, con gli occhiali a pince-nez, alto, trasandato nel vestire, caotico nel discorrere, timido e impostore. Le sue idee sono molto confuse; crede nella grandezza del fascismo, nell'ingegno di Rossoni, nel tramonto delle razze anglosassoni, nel corporativismo, nel futurismo, in Rimbaud e in Ibsen” (18 dicembre 1938).

Soldati, che vaga da una stanza all'altra implorando un caffè, nella Napoli del 1943: “Sono vecchio, sono un povero vecchio! Ho bisogno di caffè. Sono un profugo politico!”. Chiosa Longanesi: “Il napoletano non chiede l'elemosina, ve la suggerisce” (11 novembre 1943).

D'Annunzio. 4 maggio 1945: “Ci si accorge, a un tratto, che Gabriele D'Annunzio a paragone delle polpette di oggi è un gigante. Dominò il suo tempo, creò uno stile, riuscì a interessare quaranta milioni di italiani ai suoi capricci e, morendo, si trascinò indietro l'ultima Italia ancora presentabile in pubblico, la sua. Una Italia nella quale vissero Giolitti, Turati, Gemito, Verga, Mancini eccetera. Se ci guardiamo attorno, che nebbia!”

Letture segnalate: “splendida” la “Storia dei Trent'anni” di Schiller (dic 1943); “splendido e perfetto” “Le mie prigioni” di Pellico (marzo 1938), “miglior libro di propaganda politica mai scritto” assieme alla “Capanna dello zio Tom”. 4 novembre festa nazionale: centenario (1938) del giorno in cui Stendhal cominciò la “Certosa di Parma”. Remy De Gourmont e le sue “Promenades littéraires” sono prova di critica “elegante e sottile” (gennaio 1944).

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Cos'è l'italiano? “L'italiano è un personaggio che abbiamo costruito a poco a poco su vecchi motivi letterari, un tipo simpatico, che amiamo, pur giudicandolo severamente; buon padre, lavoratore, gran cuore, appassionato, modesto ecc. Ma lo conosciamo ben poco; è ateo, pensa soltanto alle donne e ai quattrini, sogna di non lavorare, disprezza qualunque ordine sociale, non ama la natura; sa difendersi soltanto dallo stato, dal dolore, dalla fame. Siamo animali feroci e casalinghi” (10 marzo 1942).

26 novembre 1945: “La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: tengo famiglia”.

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Città e terre. Napoli: “In nessun luogo come a Napoli si parla tanto di anima, di spirito, di diritto. Città sentimentale e leguleia; qui il senso del diritto, il sentimento e l'imbroglio formano un'unica e pittoresca pizza” (13 novembre 1943).

Romagna. Regione che si tiene unita in treno, perchè “in treno si ha notizia d'ogni luogo, d'ogni famiglia, d'ogni affare. E se le notizie sono brevi e già risapute, allora il romagnolo ama discorrere di problemi grossi, di argomenti difficili. Ripete vecchi luoghi comuni, azzarda paragoni storici e ricorre ai pochi ricordi di vecchie letture o di conversazioni con uomini illustri. Perché ogni romagnolo ha sempre conosciuto un uomo numero uno, come s'usa dire, e di lui si fida più che del Vangelo” (marzo 1938).

Roma. 1 Giugno 1939. “Via Cavour è soltanto un fiume di selci tra due tetre pareti disseminate di imposte stinte. Il tram qui stride più che altrove”. Insomma: il sogno piemontese non è tramontato, è tracollato. “L'arteria” sognata dai liberali è diventata un tunnel.

Novembre 1944: Roma, piazza Risorgimento. “Borsa nera delle sigarette. Folla che formicola sul marciapiede, sotto gli alberi. I venditori, per lo più ragazzi, vi offrono le sigarette a bassa voce, sfiorandovi. Voluttà del contrabbando in chi vende e in chi compera”. Borsari neri.

Sempre Napoli, dicembre 1943. Natale. “Ubriachi americani, spari di mortaretti. Molti poveri, molti bambini scalzi. Entro in chiesa. Molta folla, poca devozione. Un vecchio prete s'inchina a fatica, cigolando, davanti all'altare e bisbiglia la messa con stanchezza, svogliato. Molti giovani seduti, distratti, vani. Il soffitto della chiesa è stato colpito da una bomba e si scorge il cielo chiaro, di carta velina”.

Sfrontato, irriverente, guascone: Longanesi era abbastanza borghese per non dover rispondere a nessuno, per non avere padrone diverso dalla sua coscienza; ed era intellettuale vero, e quindi capace di riconoscere e fustigare i limiti e le debolezze del suo popolo e dei potenti, con la stessa franchezza. “Parliamo dell'elefante” è un diario-quaderno, e come tale ho preferito presentarlo, campionando qua e là quel che mi sembrava più fresco, intelligente e interessante. I neofiti potrebbero tranquillamente partire da qui, per capire quanto grande e atipico fosse il fondatore del “Borghese”, e quanto necessario per il suo anticonformismo e la sua spontanea dedizione all'eresia.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Leo Longanesi (Bagnacavallo, 1905 – Milano, 1957), giornalista, disegnatore ed editore italiano. Fondò e diresse "Il Libraio" (1946-1949) e "Il Borghese" (1950-1957); diresse diversi quotidiani e collane editoriali.

Leo Longanesi, “Parliamo dell'elefante. Frammenti di un diario”, Longanesi, Milano 2005. Introduzione di Pierluigi Battista. Collana “La Gaja Scienza”, 774.

Prima edizione: 1947.

Approfondimento in rete: Wiki it

Gianfranco Franchi, marzo 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.