Pane e un’infarinatura di poesia. Come in una fiaba di Roma perduta: come in un’illustrazione di Pinelli. Nelle vetrine dell’alimentari di Sandro Emiliozzi sono affissi i suoi versi. E non sono in vendita. Artista e panettiere, sforna satire ed elegie tutti i giorni. In romanesco purissimo. Sulla scia d’una grande tradizione, quella dei Belli, dei Trilussa, dei Zanazzo e dei Pascarella, l’Emiliozzi scrive senza paura di niente e di nessuno. Scrive dell’assenza di dignità, della svanita carità cristiana; di tutti i valori predicati e non applicati; degli errori e delle contraddizioni dei potenti, dei loro lacché, e in generale di chi si approfitta della povera gente; è un Pasquino monteverdino, libero e coraggioso. Pieno di sentimento, verace. Autentico.
Sandro Emiliozzi, nato a Roma il tredici febbraio 1945, trasteverino puro (Vicolo dei Panieri), ex pittore e decoratore, è subentrato al fratello nel negozio “Pane e pasta” di Monteverde Vecchio nel 1978. Da allora, nel quartiere ospitiamo un microcosmo incantato. Un piccolo alimentari in cui si va a fare la spesa di pane e piccola saggezza, buoni formaggi e un pizzico di poesia.
Storia del negozio. “Noi siamo nati poveri. Sono subentrato a mio fratello nel 1978, per rispettare i suoi sacrifici e le sue fatiche per rilevare questa piccola attività. Trent’anni a Monteverde hanno significato adeguarsi alla zona: io venivo da tutto un altro ambiente. Non sono mai stato a contatto con le stesse persone, in passato: il mio vecchio mestiere mi portava una volta da una parte, una da un’altra… Io ho ereditato una situazione complicata, mio fratello era molto benvoluto e chi l’aveva sostituito non era stato all’altezza della situazione. Poi, man mano, siccome la gente mi ha riconosciuto, m’ha sopportato abbastanza, ecco tutto; altri, magari, ne hanno approfittato…”.
“Questa forza di andare avanti con un’attività sconosciuta m’è venuta per forza: tre bambini piccoli, e tanti buffi… ho cercato di migliorare. Questo era un negozio di “gricio” (er gricio era quello che anticamente vendeva legumi, guanciale… si chiamavano grici perché erano svizzeri, venivano dal Cantone dei Grigioni), non c’era pizzicheria. Allora, buffi su buffi, ho preso dei frigoriferi e ho proposto salsamenteria, affettati e via dicendo. Il che m’ha assicurato di poter tirare avanti l’azienda. E penando, anno dopo anno, so’ riuscito piano piano ad appianare la situazione”.
E? “… e ho smesso di dipingere, nel frattempo, abbandonando sette anni di studi di disegno e dedicandomi in toto al sostentamento della famiglia”.
Nobile. E poi cos’è successo? “Sacrifici dopo sacrifici, lavorando come un matto fino a tardi, senza riposare mai, pure con la febbre a quaranta… (quanno ha nevicato, nell’Ottantasei, so’ riuscito a sistemarmi un paio di costole: è stata neve mandata da Dio) ho ricomprato la casa che mi ero venduto e poi, decentemente, è andato tutto avanti. I ragazzi hanno potuto studiare”.
So che c’erano e ci sono parecchi personaggi, qui nell’alimentari… “Tra i vari personaggi che frequentavano il locale, rifugium peccatorium, c’erano persone come Peppe, un bravo ragazzo che lavorava qua davanti, da Magnasciutto, uno bono finché ce stai mezz’ora assieme. Dopo servono i nervi d’acciaio. C’era un altro ragazzo, Lallero, invalido (se chiama così per una canzone che canta da quando c’aveva cinqu’anni)… veniva da Trastevere pure lui. E anche lui è molto ripetitivo, parla de Tito e Toto… conosce tutta la rete tranviaria de Roma e dintorni. È uno che corregge l’ATAC. E poi, tante persone che soffrono e vengono a chiedere un pezzo di pane. I soldi no, ma da mangiare sì… un pezzaccio di pane si rimedia sempre. E poi ce n’era un altro, Giancarletto. Che pesa 300 chili. Anche questo, invalido, viene a fasse er panino, non sa con chi parlare e tra pane e companatici me rimane tre, quattr’ore a magnà. Sarebbe pure niente, ma dopo che ha magnato pija e s’addorme. Lo chiamo, niente. Mi rimane sulla sedia”.
E poi? “E poi c’è Aldo, che diciamo vede solo da un occhio, quello destro… è uno che va a giornate. A volte si vuole suicidare, altre volte sembra euforico… non è un cristianaccio. E poi tante donne… qualcuna sembra soffrire la senilità. Ma è anche una cosa divertente”.
L’incontro con la poesia? “Ho sempre letto poesia: romanesca, italiana e francese. Tutto Trilussa, Belli, Zanazzo… e Prévert mi piacevano molto. E poi una decina d’anni fa, qualcosa cambia. Incontro un altro personaggio: Ildebrando Antonangeli, detto Brandino. Lui mi portava sempre i suoi versi, scritti in un bell’italiano, dedicati a qualche bella donna. A volte restava qui per un po’… e parlando di poesia io rispondevo ai suoi versi con Trilussa. E mi diceva, perché non scrivi? Un giorno, er 2 de giugno, qua era tutto deserto, tornavo per prendermi una bottiglia di vino, me ne stavo andando via e lo incontro, tutto locco locco. Mi dice, stanotte so’ cascato dal letto e ho dato una capocciata… e io ho scritto i primi versi, raccontando de sta’ piazzetta vuota e dell’incontro con Brandino”.
“La seconda la scrissi quando Berlusconi andò al governo: e io cantai d’un Nano carzolaro. Perché mi colpirono tutte queste promesse fatte al vento, pure la dentiera per gli anziani… E pure der padrone della casa… e quando salì er Mortadella, scrissi, per parlare del potere, in generale Er prete farso”.
“E poi, leggendo sui giornali dei concorsi di poesia e via dicendo, partecipai col Nano Carzolaro al Centro Culturale Trilussa; e poi, al premio San Giovanni, al Giorgio Roberti, che in teoria avrei vinto pure ma non ho riscosso mai; e poi, al Centro Gioacchino Belli. E qua è successa una cosa che m’ha urtato i nervi. Spedii loro “Er Callarostaro der Diavolo” e “La recita de Natale” e “Agnesina”. Nell’antologia, scrissero che mi rifacevo ai vecchi maestri, apprezzandomi: ma m’hanno corretto il romanesco italianizzandolo, dicendo pure che avevo bisogno d’un decorso linguistico… e come, me correggi ‘piagneva’ co ‘piangeva’? E dire che c’era pure Augias in commissione…”
Da quando hai deciso di tenere le poesie affisse in vetrina? “Su consiglio di un amico… di tanti amici. Avevo pubblicato due libri per conto mio, e m’hanno chiesto di tenere in bella vista i nuovi versi. E così succede da tanto tempo”.
Emiliozzi e Pasquino. “Una volta vado da Pasquino ad attaccare ‘Er Nano Carzolaro’. Dico famose n giro e vedemo che succede, faceva un freddo… allora ritorno indietro e non c’era più ‘Er Nano Carzolaro’. Arrivo all’altezza de Corso Vittorio, vedo uno che aveva staccato tutte le poesie, allora vado e ripijo la mia. Je dico che sei de Berlusconi, dice de no… e allora dico tiettela e fanne buon uso, magari se la sarà pure fregata. Da Pasquino, poi, ho attaccato ‘I Ministri di Pulandia’, ispirato ai fatti di Bruxelles, quando Gramazio e compagnia attaccarono Ciampi: e che so’ ministri, questi, so’ italiani?”
Rapporto con gli artisti monteverdini? “Qui viene la sorella di Gianni Rodari. Poi, la Boccardo. Qualche volta passava Lando Fiorini… Lillo di Latte e i suoi Derivati, Marcorè… svariati artisti capitano, misteriosamente, proprio da queste parti. In generale, in ogni caso, Pasolini è l’artista vissuto a Monteverde che ho amato di più: come regista e come scrittore”.
Qual è il tuo sogno, in questo momento della tua attività? “Annammene, e riposa’. E pote’ scrive, avere tempo per scrivere, disegnare… ma queste so’ utopie. Scrivere scrivo sempre, e vendo er pane. Quando se lo comprano”.
DURANTE L’INTERVISTA ACCADE…
Durante l’intervista le clienti vengono a salutare, parlando dei suoi versi, come “Er Bottegaro a scola d’ottimismo”: er bottegaro è uno che si consola del brutto tempo e della scarsezza dei clienti vedendo la foto del nipotino. Tutto er giorno co’ ‘sta gnagnarella… – dice. Succede. “Davero, com’è che voi donne sete tanto attaccate ai sordi?” – si domanda Emiliozzi, a un tratto. La signora fa finta di niente e si becca lo sconto. E poi arriva la contessa, che nun vole er tacchino, e lui dice: peccato, signo’, ma quello era provolone. “Nun vojo l’animale!” – ripete lei. Contenta lei. (“Una bella ragazza come la signora c’ha freddo! Metti a verbale, va’”). Il nipote di Emiliozzi ha salvato Roma: evitando eroicamente che una conduttura del gas fosse danneggiata. “S’è limitato a coce du ova ar tegamino sur tubbo” – spiega Emiliozzi – “prima che se riparasse er guasto”.
QUATTRO POESIE DI SANDRO EMILIOZZI
ER COJONE PENSANTE
Maccome se permette, ciabbia pazzienza,
noantri je passamo li baiocchi
e lei che fa? Come riconoscenza
ciappoggia nde l’orecchie certi scrocchi?
Ma je pare ‘na bona educazzione
de sbarattà ‘na parte de nazzione
co’ mijioni e mijioni de magagne
sostenuti da cinti e da mutanne?
Eppoi, certi verzacci, abbia pazzienza:
dato che li sente er monno sano
addopri armeno la delicatezza
d’attudilli un tantino co’ la mano
perché si ce se svenne un tanto ar mazzo
gli stragneri poi so’ puro bboni
d’annà a vedè ‘na massa de cojoni
che sostiè ‘na gran testa de cazzo.
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DEDICA A UN FIORE
Diciassettanni de strazzio e de dolore,
ecche voi dije a ‘n padre de famija
che se porta sto sercio sopra ar core
Ma l’hai vista, dì?, che bella fija
Prima der fattaccio era ‘n fiore
E mo’ c’è arimasto ‘no stelo senza odore
Che nù sprizza né gioia né calore
E ‘sto poretto, che vo’ anninnà la fija
Spinto dalla pena e dar dolore
Te vie’ tacciato de fa eutanasia
Da chi fa solo a schiaffi co l’amore
Dico a voantri, Bujiacche de minestre
Senza la Volontè de fa li nomi
A voi fichelle tetteemazzi, sacchettoni
Auguro che me fate bone feste
Pe’ parte mia, pregherò er bambino
Che quanno fate er pranzo de Natale
Ve lo strafogate cor sondino
Sandro Emiliozzi, Roma, 20 dicembre 2008
***
‘NA QUISTIONE DE STOVIJIE
Lustrissimo e greggio direttore
je manno sta missiva ‘spressamente
‘nde la speranza che la piji a còre
e la pubbrichi com’è intregarmente.
So’ ‘na donna piuttosto attempatella
da tempo cogniucata co’ un potente
ch’appena vede quarche gallinella
me se comporta in modo impenitente.
Ma querche ppiù me ce fa perde ‘r lume
è ch’ontreché se fa grattà la rogna
ne fa partecipe popolo e Commune
co’ l’uso smoderato dela gogna.
Prenna nota: so’ ancora tanto bella
e da gallina vecchia fò bon brodo
ma er boccio nu’ m’attigne a la scudella
(perché er cucchiaro l’ha ‘nganciato ar chiodo).
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L’ORSACCHIOTTO REDUCE
Framezzo carcinacci e distruzzione
‘n orsacchiotto de pelusce rosa,
scampato dale bombe chissà come,
era rimasto ‘nde l’istessa posa
de quann’abbraccicato a un rigazzino
stava spaparacchiato su ‘n cuscino,
a ffa’ la guardia a tutt’er firmamento
de quei bei sogni che dureno un momento.
Sogni innocenti feniti sottotera
pe’ tramite l’utopia de sti vampiri
che se strafogheno cor sangue dela guera
noncuranti de l’ammonimento
che manna loro quer pupazzo rosa
spelacchiato, e inde l’istessa posa
ch’aveva prima der bombardamento.
Sandro Emiliozzi.
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SANDRO EMILIOZZI – PANE E PASTA. Via Ottavilla, 12 – Monteverde.
Emiliozzi (Roma, 1945) ha pubblicato due diverse edizioni di “Poesie romanesche”. La prima (Roma, 2001) include circa 70 liriche, introdotte dai versi di Giuseppe Gioacchino Belli e di Cesare Pascarella. La seconda (Roma, 2004) include circa 100 liriche, introdotte dai versi di Giggi Zanazzo.
Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Gennaio-Marzo 2009.
L’articolo appare per gentile concessione della rivista “SetteStrade”, dove è stato pubblicato nel marzo 2009; qui ne propongo una versione estesa, completa di quattro poesie dell’artista.