Ondina

Ondina Book Cover Ondina
Friedrich de La Motte Fouqué
Einaudi
1975
9788806425319

“Devi sapere, caro, che nella natura elementare ci sono degli esseri che hanno quasi un aspetto simile al vostro, ma che si mostrano a voi solo di rado. Nelle fiamme guizzano e sfavillano le bizzarre salamandre, giù nella terra dimorano gnomi smilzi e maligni, per le foreste vagano altri spiriti che appartengono al regno dell’aria, e nei laghi, nelle correnti e nei ruscelli vive la diffusa genia degli spiriti delle acque. E bello è dimorare sotto mormoranti volte di cristallo attraverso cui il cielo filtra con la luce del sole e degli astri; alti alberi di corallo rilucono nei giardini subacquei coi loro flutti azzurri e rosa; si scivola vagando sopra distese di sabbia pulita, su graziose conchiglie iridate; e tutto ciò che il mondo antico possedeva di così bello che i tempi presenti non sono più degni di averlo e di gioirne, i flutti ora lo avvolgono nei loro misteriosi veli argentei (…). Già a più di un pescatore accadde di sorprendere una qualche soave donna marina quando emergeva dai flutti e si metteva a cantare…ed essi raccontarono in seguito della bellezza di tali meravigliose donne, che gli uomini chiamarono ondine. Ma tu, amore mio, tu ora vedi veramente un’ondina davanti a te” (La Motte-Fouqué, “Ondina”, cap. VIII, pp. 50-51).

Novella romantica, intrisa di fantastico e cristallizzata nella dimensione del sogno e dell’incanto, “Ondina” è l’unica opera di La Motte-Fouqué, letterato tedesco di sangue francese, ad aver oltrepassato il tempo. È una storia dolce, e irrimediabilmente grezza: conosce eccessi e ridondanze ed è solcata da stravaganti lacune, quasi fosse stata scritta per intervalli d’amnesia; e non ha nessuna armonia nella struttura, e nessun equilibrio nell’intreccio. Ma è egualmente deliziosa, perché è insensata e gotica, allucinata e avvincente. Il mondo di “Ondina” è popolato di spiriti, coboldi, maledizioni e sortilegi; l’amore è un morso del drago che pretende infinita dedizione e suprema adorazione, e appartiene all’eternità; la rivalità tra due donne, dai destini intrecciati e dalle stranamente speculari origini, non cede mai all’odio e al livore. È un mondo in cui ciò che accade non può essere cancellato e dimenticato: e i torrenti s’incarnano in esseri umani, e le Fate ordinano alle nuvole di sospendere la pioggia. È il libro del canto d’una sirena di lingua e spirito germanico e romantico: la sua bellezza consiste nel rifiuto della misura, nel culto dell’irrazionalità e del primitivismo, nel gusto bizantino per l’esasperata e febbrile aggettivazione, nella sua favolistica identità.

È una storia avvenuta molte centinaia d’anni fa, quando il cuore degli uomini credeva nell’esistenza degli spiriti e degli elementi. C’era un grande lago, per un tratto percorso da una striscia di terra verdeggiante; in quella penisola vivevano, in una capanna, un vecchio pescatore, sua moglie e la figlioletta adottiva, Ondina. Alle spalle della capanna, si stendeva una foresta selvaggia, a proposito della quale si narravano storie oscure e fantastiche. Il vecchio pescatore era abituato a fronteggiare le apparizioni e le provocazioni degli spiriti del bosco e delle acque: non riceveva altre visite, e solo di rado s’inoltrava nella foresta, per raggiungere la grande città e vendere quel che aveva pescato.

Una notte si presenta, inatteso, un viandante smarrito, a domandare alloggio e riparo. È Uldbrando di Ringstetten, principe d’un castello alle sorgenti del Danubio. Ha un mantello rosso scarlatto, e un bianco cavallo dal passo leggero. Il pescatore e sua moglie lo accolgono senza esitazioni: il vecchio preferisce non parlargli delle strane creature della foresta, badando solo a rispettare i suoi sacri doveri di ospite. Il cavaliere s’accorge di sentirsi come un parente rincasato di lontano, è come se stesse riconoscendo e ritrovando delle persone che aveva perduto.

Uno scroscio d’acqua sui vetri annuncia l’apparizione della misteriosa Ondina. È una ragazza di quasi diciotto anni, bionda, dagli occhi azzurri come due cieli (p. 15). Incontra lo sguardo dell’ospite, e subito se ne innamora: pretende di sapere da dove venga e chi egli sia, e insiste, con adorabile franchezza, perché lui le parli, nonostante il padre la richiami a rispettare la sua stanchezza; così, quando il pescatore perde la pazienza e la rimbrotta, Ondina s’infastidisce e prende l’uscio, offesa.

Mentre il cavaliere e i due ospiti attendono che Ondina torni, il pescatore racconta la storia della sua famiglia. Quindici anni prima, avevano perduto una figlia piccolissima, caduta nel lago e poi scomparsa. Quella notte, mentre si disperavano, bussò alla porta una stupenda bimba di tre o quattro anni, vestita con eleganza principesca. Diceva di venire dal paese dai castelli d’oro e dai tetti di cristallo (p. 15), e di chiamarsi Ondina. La adottarono, e la battezzarono con quello strano nome, nonostante non fosse cristiano e nonostante preferissero, in onore alla sua apparizione, chiamarla “dono di Dio”, Dorotea: la piccola Ondina era irremovibile, non avrebbe mai accettato di cambiare identità.

Ondina tarda ancora, e il cavaliere e il pescatore, preoccupati per quel che potrebbe capitarle nel buio della foresta, escono a cercarla, nella notte. Il cavaliere chiama il suo nome ancora e ancora, fin quando non la intravede, nascosta in un isolotto nel cuore del lago. “Se non sei realmente lì, se sei soltanto un fantasma di nebbia che si prende gioco di me, anch’io non voglio più vivere e voglio diventare un’ombra come te, mia cara Ondina!” (cap. III, p. 19) E così dicendo avanza, guadando la corrente, e si distende al suo fianco. Ondina canta con voce di sirena; stregato, Uldbrando la bacia. Ondina vorrebbe che rimanessero lì, preferisce un tetto di foglie alla capanna, e non intende tornare dai genitori; il cavaliere non può mancare di rispetto al pescatore, e le domanda di tornare indietro.

In casa, Uldbrando racconta la sua storia. Era in lizza in un torneo, giostrava per vincere i rivali e per rubare gli sguardi della bella Bertalda, che aveva appena incontrato. Mentre parla della dama, Ondina gelosa gli morde una mano: il cavaliere, stupito e divertito, evita di dedicare troppe parole al suo passato amore, e si limita a concludere il racconto dicendo che partì per la foresta stregata per testimoniare il suo amore all’ondivaga signora della giostra. Nella foresta, aveva incontrato un demonio, un homunculus, un branco di aggressivi coboldi e un mostruoso gigante bianco: e proprio per sfuggire all’inseguimento del gigante s’era perduto, e aveva cercato riparo nell’isolata capanna.

Mentre il cavaliere racconta, la portata dell’acqua cresce e cresce ancora: un torrente ha invaso la penisola, e se continuerà ad ingrossare la sua portata la capanna sarà isolata. Uldbrando non può più partire: e in fondo neppure ne ha desiderio, perché Ondina è un incanto e non avrebbe senso andarsene via subito. Passano i giorni: “I vecchi si erano ormai abituati al tono di affettuosa familiarità che si era stabilito tra i due giovani; li consideravano come fidanzati o, a momenti, come due sposi accasati con loro sull’isola deserta per sostenerli nella vecchiaia. E fu appunto quello stato di isolamento dal resto della terra a far radicare anche nel giovane Uldbrando la convinzione di essere ormai il fidanzato di Ondina. Aveva come l’impressione che il mondo, dall’altra parte dei flutti che lo circondavano, non dovesse più esistere e che, comunque, non fosse più possibile tornare in contatto con altri uomini” (cap. quinto, p. 31). Una notte, giunge un nuovo viandante: è un monaco, che avverte la famiglia che è probabile che di questo passo l’isolamento della capanna sarà completo. Uldbrando desiste dalla nostalgia della passata realtà: e domanda al sacerdote d’officiare il matrimonio con Ondina.

Ondina e il cavaliere si sposano. La notte, Uldbrando ha incubi, sogna fantasmi e donne-serpente: non è che il presagio della rivelazione della vera natura di Ondina, fata del mare, figlia d’un principe del regno delle acque del Mediterraneo. Solo amando poteva avere un’anima, a differenza della sua famiglia: sarebbe rimasta mortale, ma avrebbe perduto l’eterna felicità. Adesso la sua felicità dipende dal cavaliere: Ondina è disperatamente felice d’affidargli la sua esistenza, Uldbrando si sente più fortunato di Pigmalione (cap. VIII, p. 53) perché ha visto incarnarsi la sua idea d’amore.

La portata delle acque torna nella norma: poco tempo dopo, i due sposi possono partire alla volta del castello di Uldbrando, assieme al monaco. Incontrano, nella foresta, un sinistro viandante: è lo spirito d’un vicino torrente, Kühleborn (qui tradotto Freddofonte), zio di Ondina. Vorrebbe poter restare al fianco della nipote, per difenderla dagli esseri umani, ma la sua natura dispettosa e aggressiva infastidisce Ondina: così, Uldbrando lo sfida. Invano: Freddofonte si tramuta in una cascata e, ridendo, si dissolve.

In città, intanto, Bertalda attendeva, in pena, il ritorno del cavalier servente: e quando lo vede tornare sposato e felice è smarrita e gelosa. Ondina la tratta con amicizia e dolcezza, disorientandola: e, nel corso d’un banchetto di festeggiamento, credendo di regalarle felicità, le rivela che lei altri non è che la figlia del pescatore e della moglie, caduta nel lago quando era piccolissima. Bertalda è furiosa: cresciuta da una famiglia aristocratica, rifiuta di pensare che i suoi natali siano tanto umili, e accusa Ondina d’essere malvagia e millantatrice. Riconosciuta, per via d’una voglia, dalla madre, viene affidata dai nobili genitori adottivi alla sua vera famiglia: ma il pescatore, ferito dalla sua arroganza, le impone di oltrepassare la foresta da sola per provare la sua volontà d’essere assieme a loro.

Bertalda è disperata: e sarà solo per via della bontà d’animo di Ondina se potrà cambiare la sua sorte. Ondina le dice che i loro destini sono intrecciati, che è come se le loro sorti fossero state invertite da bambine (XII, p. 74) e la invita a partire alla volta del castello di Uldbrando assieme a loro, per vivere come sorelle. La vera figlia del pescatore accetta: ma non nutrirà mai autentico affetto per Ondina, che le apparirà come una creatura soprannaturale, inquietandola.

Col passare del tempo, il cavaliere e Bertalda s’innamorano: Ondina ne soffre e supplica Uldbrando di non abbandonarla, e di non farla mai rimanere nei pressi dell’acqua; perché i suoi parenti, adirati per il tradimento e il distacco, potrebbero vendicarsi di lui e lei si ritroverebbe costretta a vivere in eterno sul fondo del mare. Uldbrando si avvicina nuovamente alla Fata: Bertalda, risentita, dice loro addio e fugge via al galoppo, in direzione della Valle Nera, infestata da spiriti maligni.

Uldbrando e Ondina si gettano all’inseguimento: Ondina teme che Freddofonte possa rivalersi sul cavaliere, e riesce miracolosamente a salvarlo dalla sua aggressione; la situazione tra Bertalda e i due sposi torna in equilibrio per qualche tempo. Ma il veleno del desiderio soffoca il cavaliere: un giorno, maledice Ondina per via della malvagità degli spiriti del mare suoi parenti, e la Fata sprofonda nel mare, piangendo, implorandolo di non tradirla mai. Nonostante le parole di Ondina, il tempo attutisce il dolore di Uldbrando e affievolisce il ricordo di lei: decide di sposare Bertalda e, inconsapevolmente, va incontro alla morte. La Fata del mare, ripudiata, si presenta nella prima notte di nozze al cavaliere: l’immenso amore che li aveva uniti torna a vivere nel suo cuore, e l’ultimo bacio è richiesta di perdono e ammissione di colpa, e congedo dalla vita. Piange ed è felice, fin quando non sente mancare il respiro; e cade, esanime, sui guanciali.

ULTIME ANNOTAZIONI

A proposito dell’argomento dell’opera, scrive Cremonte nella nota introduttiva: "[...] il Fouqué, per sua diretta dichiarazione, (lo) ha derivato dal 'Liber de nymphis sylphis, pygmaeis et salamandris, et de caeteris spiritibus' di Paracelso, dove il bizzarro naturalista rinascimentale, trattando degli spiriti elementari, attribuiva appunto alle ninfe, oltre che la forma umana, la possibilità di giungere in possesso dell’anima umana alla condizione su riferita: di unirsi ad un uomo e serbargli fedeltà" (p. VI).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Friedrich Heinrich Karl barone de La Motte-Fouqué, (Brandenburg, 1777 – Berlino, 1843), discendente d’una famiglia di ugonotti francesi esuli in Germania, fu romanziere, drammaturgo e poeta romantico.

Friedrich La Motte-Fouqué, “Ondina”, Einaudi, Torino, 1975. Nota introduttiva e traduzione di Lelio Cremonte.

La prima pubblicazione di “Undine” avvenne nel 1811, sulla rivista “Die Jahreszeiten”, diretta proprio da La Motte-Fouqué; fu ristampata, con l’introduzione in versi dell’autore, nel 1814. La novella è suddivisa in diciannove brevi capitoli.
Hoffman (1816) e Lortzing (1845) musicarono l’opera.

Il libro fu molto popolare: Cremonte, nella nota 1 a pagina VIII della nota introduttiva, ricorda la testimonianza di Heine nella “Scuola Romantica”:
“Il signor Fouqué può vantarsi di essere l’unico nella scuola romantica a presentarsi con degli scritti di cui si sono dilettate anche le classi più umili. Mentre nelle estetiche riunioni per il tè nei salotti di Berlino si storceva il naso su di lui, nobile cavaliere decaduto, io ho trovato in una cittadina del Harz una bellissima ragazza che parlava di Fouqué con un delizioso entusiasmo e confessava arrossendo che avrebbe dato volentieri un anno della sua vita se avesse potuto baciare almeno una volta l’autore di Ondina. E questa ragazza aveva le più belle labbra che io avessi mai visto”. Del resto, anche Ondina “è un bacio…la stessa morte in questo libro è un bacio”.

Gianfranco Franchi, marzo 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.