Hacca
2007
9788889920138
Siamo nati nella seconda metà degli anni Settanta e non riusciamo ad andare oltre la linea d’ombra. L’Università non significa la fine dell’adolescenza, significa il principio della transizione. La transizione non sembra conoscere termine. E questo vale per parecchi di noi. Nessuna rivoluzione è più possibile da quando abbiamo compreso che le ideologie che parlavano di uguaglianza e libertà si rivelavano violente e omicide; nessuna soluzione ideale sembra prospettarsi da quando abbiamo capito che non potremo fare altro che conservare e mantenere quel che abbiamo ricevuto dalle nostre famiglie. E con non poche fatiche, e chissà quali stravaganti espedienti, e quanto grandi rinunce. Siamo costretti, intellettualmente e politicamente, a una conservazione selettiva. Dalla generazione oscurata – quella del ’77 – abbiamo interiorizzato una lezione; che la rivoluzione non si fa in nome di un partito. Perché ogni partito è un tradimento della libertà e dell’uguaglianza: è uno strumento di un’oligarchia. Adesso serve dare un nome a quel che viviamo. E capire dove stiamo andando a cercare senso e risposte. Secondo Luca Giachi, narratore romano classe 1977, la risposta è oltre le parole: nel sentimento puro, nell’amore. E l’amore è “(…) qualcosa che non si sa descrivere, qualcosa che non si insegna né a scuola, né con gli amici, né con l’esperienza della vita, è qualcosa di sconosciuto a tutti e che pure accade. Qualche volta, accade. È qualcosa che non si comprende, è una 500 che vola dal cielo il 4 di agosto”. (p. 99).
I suoi personaggi sono giovani adulti incapaci di definirsi e di integrarsi, se non in attività provvisorie e transitorie (già: ma quali altre ne esistono, davvero?). E la loro vita sentimentale è lo specchio della caducità delle loro attività professionali. È quando gioco d’ombre, quando ripetizione senza senso: quando ricordo di qualcosa di grande e di perduto, quando sesso e basta.
Sanno licenziarsi da un padrone che paga in nero e sanno lasciarsi dopo anni con quattro parole, come fossero freddi automi; ma freddi non sono. Sono tormentati, e il tormento è chiaro e limpido sin dalle prime battute. Soltanto che una chiave di volta a questo tormento non sembra esistere. L’amore, certo: come dinamica per sprigionare comunicazione altra e coraggio differente, come colonna vertebrale di queste giornate di carta e di speranza. Come ricerca di senso: come appartenenza.
Alessia s’è incagliata sulla tesi, lavora per caso come segretaria e cerca di non pensare a quel che verrà dopo la laurea. È felice di sentirsi stanca, quando torna a casa, e di dimenticarsi di sé vedendosi con Andrea: formidabile scopatore, borghese integrato e realizzato, appassionato dell’arte delle etnie povere. Uno che non c’entra niente con lei, ma dà sicurezze.
Matteo si è laureato in Scienze Politiche e s’è ritrovato felice di prestare servizio civile nella Municipale, così per un anno non pensa al futuro. Alle spalle ha una storia diventata ossessione, Giulia che scandiva il suo tempo ed è nostalgia irrisolta. Nelle prime battute si libera d’un suo regalo – simbolicamente, un orologio da muro – e s’avventura per una strada nuova, forse inconsapevole. Al di là del perduto tempo.
Dal cielo cade una vecchia 500 gialla. Alessia e un altro passante sono gli unici testimoni. Dentro la 500 non c’è nessuno. C’è uno stradario del 1977 e ci sono delle lettere, indirizzate a Federico. A scriverle è Nadia. Alessia e Matteo si conoscono indagando su questa macchina piovuta dal cielo. Si conoscono e si trovano a risalire, come salmoni, sino alla fonte d’una storia d’amore stupendo e perduto, quello di due ragazzi d’un’altra generazione – chiamiamoli i nostri genitori – che il destino ha separato per sempre.
Nadia se n’è andata in Toscana, e là vive: lasciando intatta la sua vecchia casa romana, e immutati tutti i ricordi. Inevitabilmente. Federico ha perso la sua battaglia rivoluzionaria e non ha saputo sopravvivere al dolore: s’è ammalato e se n’è andato. Lasciando un’eredità viva.
La vicenda si svolge tra il quartiere Trieste, Villa Ada e la Toscana, in un breve lasso di tempo – nemmeno una settimana – caratterizzato da una ricerca d’una verità sentimentale ed esistenziale che si fa adesione empatica, e strumento di formazione d’una consapevolezza altra, connotata da maturità e responsabilità; dal passato si sprigiona l’energia per credere in una vita diversa, e per riequilibrare le ombre del presente: almeno, per impedire loro di infestare il cuore.
Giachi preferisce puntare su una trama e avvincente mosaicale piuttosto che sulla scrittura; ne deriva un romanzo di formazione leggero e postromantico, giocato per una stupenda serie di richiami musicali alternative e indie rock (ne parliamo a breve), tendenzialmente lo-fi e postrock, e fondato essenzialmente sui dialoghi. È proprio sui dialoghi che Giachi dovrà lavorare, negli anni a venire: vanno snelliti e accelerati, impedendo alla didascalia e alla perifrasi di addomesticare concetti importanti. Senza paura di perdere per strada qualche lettore, e rifiutando l’urgenza di dettagliare tutto.
La colonna sonora è di primissimo livello e merita abbondante apprezzamento. Nell’ordine, troviamo nominati musicisti come Don Caballero, Fugazi, Him e Low (attestazioni plurime e perplesse); Pixies, Unrest, La Crus (con pizzico di delusione), Mice Parade; Bjork, Afghan Whigs, Ani Di Franco, Owen, Lambchop, Slint, Cat Power. Non basta. Con la magistrale disinvoltura dell’anima rock, ci mostra – nella casa di Nadia – una collezione intatta con nomi come Velvet Underground, Beatles, Keith Jarrett, Love, Who, Tim Buckley, Beach Boys (chiaramente “Pet Sounds”). Il libro diventa – per quelli che hanno questo tipo di predisposizione all’ascolto – un formidabile libro rock. Le band nominate risvegliano reminiscenze di sentimenti e sensazioni preziose per decifrare e decodificare lo stato d’animo dei personaggi: la loro intelligenza e la loro sensibilità. Da spirito rock saluto e omaggio il musicista Giachi che scrivendo non rinnega la sua essenza e piuttosto prende e condivide quanto di buono sta ascoltando in questo periodo. Queste sono integrazioni diegetiche e non didascaliche: poggiano su un lettore-ascoltatore forte, e sulla sua capacità di decifrare al volo dove stiamo andando a parare, e con quale spirito. Decisamente indovinate.
E non stupirà quindi la scelta d’una copertina come questa, opera del giovane maestro Maurizio Ceccato: restyling e rivisitazione della storica copertina d’un disco dei Velvet Underground di Andy Warhol. Peel Slowly and See: il primo istinto è staccare l’adesivo che non c’è della vecchia 500 gialla. L’inclinazione è diversa rispetto al pattern. La comunicazione trasversale con musicisti e anime rock perfettamente allineata.
“Oltre le parole” è un’opera prima promettente: sulla falsariga di quanti, tra i narratori italiani, hanno preferito virare nel romanzo sentimentale negli ultimi vent’anni, dai primi De Carlo, Baricco e Brizzi in avanti, mostrando predisposizione a mostrare contrasti e contraddizioni e mistero della femminilità, Giachi fa ascoltare buona musica e regala emozioni e storie di persone che potremmo incontrare da un momento all’altro. Prossimo passo, il manifesto generazionale. Il primo passo è emozionale e sentimentale.
“Diceva sempre che voleva darmi solo le parole importanti e che tutto il resto era inutile. Una volta mi disse: “Oltre le parole ci sei solo tu. La mia vera rivoluzione” (Giachi, “Oltre le parole”, p. 165).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Luca Giachi (Roma, 1977), dottorando in Psicologia di Comunità, chitarrista degli Adale, jazz core. Scrittore. Questa è la sua opera prima.
Luca Giachi, “Oltre le parole”, Hacca, Macerata 2007. Bandella di Giancarlo Susanna. Grafica, Illustrazione di copertina, Logo Design: Maurizio Ceccato / IFIX Project.
Gianfranco Franchi, dicembre 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.