EDB
2017
9788810558812
“Experiěncia mìstica e psicanálise” [2015; oggi in EDB, 2017, come “Oltre il confine. Esperienza mistica e psicanalisi”] è un saggio breve dalle grandi potenzialità e dalla resa decisamente altalenante; tecnicamente è forse corretto definirlo un libro di “psicologia della religione”, più esattamente un libro di “psicologia della religione cattolica”, tuttavia ben si capisce come la pretesa di restituzione e rappresentazione di un simile argomento non possa che essere limitata (o capziosa, o lacunosa, o involontariamente episodicamente irriguardosa). Non credo si possa scrivere un libro sulla mistica, e in particolare sul misticismo cristiano, senza neppure avere accennato all'etimologia della parola “mistica”, e quindi al suo antico e originario significato; non credo si possa parlare di misticismo senza parlare di iniziazione, in senso stretto, e di contemplazione; non credo si possa parlare di duemila anni di misticismo cristiano scegliendo tot casi ed escludendone altri, appunto molto capziosamente e confusamente; non credo che il periodico riferimento alle posizioni e agli studi di Freud o di Rank possa avere particolare valenza, in questo frangente. L'elenco delle obiezioni non è sterminato ma potrebbe essere più esteso. Mi interrompo qui perché voglio riconoscere che la lettura rimane comunque di discreto interesse; l'autore, Riccardo Torri de Araújo, gesuita e psicologo, professore della Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro, ha comunque azzardato un lavoro complicatissimo, e con tutti i suoi limiti ha mostrato almeno coraggio (e un pizzico di spregiudicatezza).
Torri considera il misticismo un fenomeno umano di prima grandezza: il culmine dell'esperienza di Dio, “il punto culminante di un'ascesa”. Crede che sia un argomento non riservato ai teologi, perché “l'esperienza umana di Dio accade nella mente delle persone che si concedono ad essa, ha luogo nell'apparato psichico dei credenti”: di qui ne deriva la legittimità di un approccio psicanalitico.
Sulla scia di William James [1842-1910], che Torri considera “padre della psicologia della religione”, qui si considera che le caratteristiche dell'esperienza mistica sono quattro: “l'ineffabilità, la qualità noetica, la transitorietà e la passività”; si ritiene poi di dover integrare, forti degli studi del gesuita e psicoanalista Carlo Domínguez Morano [1946-vivente], che l'aspetto fondamentale dell'esperienza mistica è “la sensazione di rottura dei limiti dell'io e della comunicazione con il divino”.
Il sentimento mistico classico è una “profonda pace interiore” che può sconfinare nell'estasi [p. 11]; per Torri, l'esperienza mistica è “un'esperienza in cui si oltrepassano i limiti dell'io accompagnata da un piacevole sentimento di comunione con tutto quello che ci circonda, identificato con il divino”, oppure “un'esperienza estatica di trasposizione dei limiti tra l'io e il non-io e di unione amorosa con Dio, con il quale si è una cosa sola”.
Torri considera che il fenomeno mistico primario è “l'esperienza dell'abbattimento delle frontiere dell'io e dell'unione amorosa con il divino”; su quelli che definisce “fenomeni mistici secondari”, troppi e troppo differenti, sostanzialmente nemmeno si sofferma. Il professore, semplificando eccessivamente, si spinge a dire, con Maslow [1908-1970], che “l'esperienza mistica è stata descritta in termini quasi identici da persone di tutte le religioni, tutti i paesi, tutte le culture”: dimenticando ad esempio la forse ovvia ineffabilità e la forse chiara indicibilità.
Da questo punto in avanti, il libro racconta, accenna o sintetizza, nei vari capitoli: “Freud e il sentimento oceanico”; “Il carattere erotico dell'esperienza mistica”; “Il carattere unitivo dell'esperienza erotica”; “Il carattere materno dell'unione mistica”; “Religiosità e deliri psicotici”; “Esperienza mistica e sessualità”; “Esperienza mistica e regressione psicotica”; “Discernimento tra mistica e psicosi”. Detto che più di qualche capitolo meriterebbe una trattazione a sé stante, e un ben diverso approfondimento, cerco adesso di focalizzarmi sull'aspetto fondante del testo, cioè l'analisi delle “somiglianze notevoli tra l'esperienza mistica e alcune esperienze di tipo psicotico, come allucinazioni, deliri e così via” [p. 18]. Come Bergson insegna, “è incomprensibile che i grandi mistici siano considerati come malati mentali”; certe somiglianze tra gli stati di torpore e il misticismo non rappresentano più di una coincidenza o di un'analogia.
Secondo Torri, sono somiglianze superficiali; ad esempio, per lo pseudo-mistico “Dio è soprattutto un oggetto del cui possesso gode. Avendo fatto di Dio un oggetto per la soddisfazione del suo desiderio, il falso mistico 'lo divora'”; invece il mistico autentico “riconosce Dio come un altro libero e indipendente; non lo tratta come un oggetto presumibilmente capace di soddisfare il suo desiderio”.
Fondamentale: l'esperienza mistica avviene, in una certa misura, perché il mistico vi si è disposto, e quindi capita “sotto il controllo” del mistico, perché “essendo in parte deliberata, è reversibile”; invece la crisi psicotica è totalizzante e cataclismatica, “è qualcosa di incontrollabile, di involontario, che si impone in maniera invasiva”. E potenzialmente è irreversibile.
Oppure: il falso mistico, spiega Torri, tende a eliminare il proprio io nella relazione col divino; il vero mistico, invece, non intende fondere il suo io e il divino in una cosa sola. La mistica cristiana si fonda sull'unione, non sulla fusione; l'unione mistica con Dio non impone l'annullamento dell'io.
Ancora: lo pseudo-mistico esige la presenza ininterrotta di Dio, non tollera la distanza o l'assenza; il mistico accetta con placida tranquillità l'assenza e il silenzio di Dio, come insegnava il mistico tedesco Tommaso da Kempis: “Se volete che sia nelle tenebre, siate benedetto; e se volete che sia nella luce, siate lo stesso benedetto. Se volete che sia consolato, siate benedetto, e se volete che sia tribolato, siate ugualmente per sempre benedetto”.
Infine: per Torri “il vero misticismo alimenta l'altruismo, l'apertura agli altri, l'uscita da se stessi e la crescita della capacità di amare. In una regressione di tipo psicotico, invece, si tratta di un ristabilimento del narcisismo primario, che si traduce nella chiusura dell'individuo in se stesso” [p. 106].
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Il libro è puntinato da reminiscenze divertenti, altrimenti notevoli. Dall'esperienza mistica di Jung, raccontata nel suo “Ricordi, sogni e riflessioni” [“uno stato di coscienza complicatamente nuovo e inatteso: non c'era più dentro e neppure fuori, io e neppure tu”], a quella di San Giovanni della Croce, nel Cinquecento [“Dio e l'anima non sembrano più essere se non una stessa cosa, come il vetro e il raggio che lo penetra, come la brace e il fuoco che l'infiamma”], dai confronti tra Rolland e Freud sul “sentimento oceanico” alle esperienze liminari di Julien Green, fino alla definizione del “satori” data da Daisetsu Teitaro Suzuki [“sguardo dell'incosciente”]. Non manca una discreta bibliografia, in appendice; proprio come non è mancata la sfrontatezza nella scelta di una materia simile con un approccio simile.
Gianfranco Franchi, maggio 2017
Saggio breve dalle grandi potenzialità e dalla resa decisamente altalenante; tecnicamente è forse corretto definirlo un libro di “psicologia della religione cattolica”…