Castelvecchi
2009
9788876153372
Il letterato Francesco Lioce, nipote e curatore dell’opera di Piergiorgio Welby, domanda e pretende che l’intelligenza dei cittadini riconosca in suo zio altro da un malato terminale che ha chiesto allo Stato e alle coscienze di noi tutti di poter trovare pace: vuole insegnarci e comunicarci che era un intellettuale e un artista atipico ed eclettico, un letterato di talento; e che per questo va ricordato. In un articolo apparso su “Aduc” il 16 dicembre del 2006, quando la concentrazione dei media era tutta rivolta alle decisioni del Tribunale e alle repliche parlamentari e vaticane, ne troviamo conferma: “Mi piacerebbe – ha ribadito ancora una volta Francesco Lioce – che si parlasse di Piergiorgio anche in altri termini: vorrei far conoscere la sua intelligenza, la sua cultura”. Simile dichiarazione riporta Repubblica del 17 dicembre. Da sempre, Lioce si dannava a ripetere questo messaggio, relativamente oscurato dai media, ossessi a radiografare il dolore e cristallizzare la sofferenza del malato.
Nessuno più di un famigliare stretto può avere una chiara visione dell’accaduto; delle speculazioni politiche, degli opportunismi e delle appropriazioni indebite. Nessuno più di un giovane letterato, promessa accademica, può avere chiara visione della necessità della pubblicazione dell’opera d’un autore altrimenti emarginato e oscurato. Ecco la ragione di questa intervista: restituire ai cittadini l’immagine e il ricordo autentico di un uomo altrimenti tramandato solo come eroico e umanissimo attivista per il riconoscimento del diritto all’eutanasia e al rifiuto dell’accanimento terapeutico.
Piergiorgio Welby, figlio di un ex calciatore della Roma, era poeta, pittore e fotografo (cfr. Wikipedia). Era ammalato di distrofia muscolare: la sua mente non fu mai contaminata dal male. Prima che se ne andasse, venne pubblicato “Lasciatemi morire”. A breve, Francesco Lioce dovrebbe curare la pubblicazione de “L’oceano Terminale”, il suo romanzo inedito: sino ad ora, sono apparsi soltanto frammenti dell’opera sulla rivista letteraria romana “Linfera” (cfr. breve nota de “La Rosa nel Pugno”, 15 Dicembre 2006; registrazione di “Fahrenheit” del 9 Marzo 2007).
GF: Francesco, vorrei notizie sul tuo rapporto con Piergiorgio Welby. Nella rassegna stampa leggo “cugino”, altrove “nipote”: qual era il vostro legame? Quali sono i tuoi primi ricordi di Welby? Era un rapporto famigliare, amicale, elettivo? Ti chiedo di condividere con i lettori di Lankelot frammenti della tua vita con Piergiorgio.
FL: Descrivere in poche battute il mio rapporto con Piergiorgio sarebbe impossibile, spero, tuttavia, che queste dichiarazioni, per quanto brevi, possano contribuire ad approfondire la conoscenza di una persona straordinaria… Cugino, nipote: per eliminare gli equivoci, diciamo che mia madre e Piergiorgio sono figli di sorelle. Con mio padre si conobbero da ragazzi, e subito condivisero la passione per la caccia e per la pesca. Io l’ho cominciato a frequentare da bambino, quando ancora non vivevo a Roma. La sua stanza si rivelò da subito un mondo: quadri, libri, fotografie. E poi, qualsiasi domanda gli ponessi, sapeva sempre gratificare la mia curiosità con le sue risposte. Sapeva spaziare e connettere tra loro i periodi più diversi, la sua forma mentis aveva una prodigiosa capacità di sintesi. Discutendo, sapeva sempre creare legami sorprendenti, e questa sua capacità mi entusiasmava. Negli anni in cui abitavo in Sicilia ci siamo scritti molto, alcune delle sue lettere sono di altissimo valore pedagogico e morale. Dal ’97 (quando venni a Roma per gli studi universitari) al 2003, ho frequentato con cadenza quotidiana la sua stanza. Tra l’altro, mi ha aiutato spesso nella preparazione degli esami, e il suo contributo è stato decisivo anche durante la tesi di laurea che, infatti, è dedicata proprio a lui e a Mina. Non a caso, durante il discorso commemorativo ai funerali, l’ho definito autorevole come un padre e complice come un amico.
GF: Quale potrà essere l’influenza de “L’oceano terminale” nella Letteratura Italiana contemporanea? Quali narratori o romanzieri ritieni possano essere accostati alla scrittura di Welby? Vorrei conoscere gli illustri antecedenti, i padri della sua scrittura, i punti di riferimento letterari, in generale…
FL: È difficile immaginare che effetto potrà avere sul pubblico “L’oceano terminale”. La gente si è spontaneamente interessata al caso Welby, e nel giorno della morte e durante quello dei funerali ha mostrato nei confronti della nostra famiglia un affetto spontaneo e una riconoscenza sincera. L’opera, per forme e contenuti, ha un altissimo spessore qualitativo. Di certo, non si tratta di una lettura facile, tanto più che si mescolano tra loro diversi generi e un plurilinguismo di rarissima intensità. Considera, inoltre, che più che una trama è un susseguirsi di memorie e di riflessioni a strutturare l’intero libro... Tuttavia, penso che nella vendita potrebbe avere ottimi riscontri: la gente ha mostrato interesse per la sua battaglia, lo mostrerà anche per le vicende della sua vita. Diverso il discorso su come la critica potrà accogliere l’evento. Piergiorgio non ha mai frequentato i ritrovi letterari e le case editrici, la sua attività di scrittore si è svolta nello spazio di una stanza, lontano dal mondo. Io spero che gli addetti ai lavori possano interessarsene, raramente capita di poter leggere una scrittura tanto coinvolgente ed emotiva. Se non dovesse avvenire questo, la critica dimostrerebbe di essere pericolosamente irreggimentata. “L’oceano terminale” è la dimostrazione che la letteratura, quella buona, quella vera, nasce soltanto dalla necessità. Di fronte alle fittizie invenzioni, di fronte alla preoccupante mancanza di βίος, la scrittura di Piergiorgio dovrebbe apparire per quello che davvero rappresenta: destino esistenziale, testimonianza, tragedia. Mi auguro, insomma, che una volta pubblicato, il romanzo possa in qualche modo contribuire alla rivalutazione della letteratura intesa come espressione biologica, come dato concreto dell’esistere sul mondo dell’animale uomo. È senz’altro vero, però, che “L’oceano terminale” oltre a essere, per molteplici motivi che non sto qui a elencare, un unicum, è un’opera priva di precedenti: nella storia della letteratura, e non solo di quella italiana, mi sembra che mai un portatore di handicap fisico abbia avuto simili mezzi culturali, simili doti creative, e, soprattutto, non mi risulta che nessuno abbia mai scritto qualcosa di così letterariamente valido. Ancor prima che letterari, però, i punti di riferimento di Piergiorgio erano filosofici: da Freud a Nietzsche, da Marx a Marcuse, da Heidegger a Gadamer, da Galimberti a Giorello… Dire chi siano stati i padri della sua scrittura mi sembra riduttivo, considerando il carattere ecletticamente vasto delle sue letture. Negli ultimi anni ha continuato a leggere Shakespeare, i narratori russi, Ferlinghetti, Kerouac e la Jelinek, recente premio Nobel. Probabilmente, però, sulla scrittura dell’“Oceano teminale” ha influito molto la rilettura del Céline di Viaggio al termine della notte e di Morte a credito.
GF: Qual era il background culturale di tuo zio? Leggiamo di un’attività artistica poliedrica: pittore, poeta, fotografo; instancabile lettore: quali sono stati i suoi studi, e quali sono stati gli intellettuali e gli artisti di riferimento? Cosa stava cercando, Welby, nelle opere d’arte, nella religione e nella filosofia?
FL: Nella sua poliedrica attività artistica e culturale, Piergiorgio ha trovato un motivo per proseguire. La sua curiosità è sempre stata eccezionale, come eccezionale è sempre stata la sua voglia di vivere la vita. La conoscenza e l’agire secondo conoscenza erano per lui terapie insostituibili. La malattia a poco a poco gli ha tolto tutto. Considera, inoltre, che dal ’97 in poi, e ancora di più dal 2002 fino agli ultimi giorni, la sua unica attività è stata quella svolta per mezzo del computer. In ogni cosa, Piergiorgio è stato un autodidatta prodigioso. In fotografia ha prediletto prima i ritratti, poi la natura animale e vegetale. In pittura ha sempre assecondato un’ispirazione eclettica e autenticamente postmoderna: dall’Impressionismo in poi, ha metabolizzato tutto, come dimostra, tra l’altro, la sua multiforme produzione artistica, testimonianza di un uso continuo e spregiudicato delle tecniche più diverse.
GF: Notizie a proposito della genesi di “L’oceano terminale”. Ti domando, in prima battuta, come e dove è stato scritto, e a partire da quando e per quanto tempo, e a prezzo di quali fatiche; quindi, ti prego di informarci della condizione e dello stato del manoscritto, e della necessità d’una cura filologica.
FL: L’idea di scrivere “L’oceano terminale” venne a Piergiorgio tra la fine del ’97 e la primavera del ’98, dopo l’esperienza della rianimazione. La spinta decisiva gli venne data, però, dalla morte del padre, nel luglio del ’98. Nell’opera confluiscono cose scritte prima, ma è con il capitolo dedicato alla figura paterna (uno di quelli pubblicati su “Linfera”) che Piergiorgio capì esattamente cosa dovesse significare per lui la realizzazione del progetto. Avrebbe dovuto ripercorrere più o meno tutte le vicende della sua vita. È rimasto un lavoro incompiuto, ma non per questo meno fascinoso. L’ultima volta ci ha lavorato il 4 gennaio del 2006, undici mesi prima della morte. Dell’opera restano quattro versioni. L’ultima è la più lunga e la più limata. Ma si trattava, comunque, di un cantiere sempre aperto, dove Piergiorgio toglieva e metteva, approfondiva e perfezionava.
GF: Fortuna del messaggio esistenziale e fortuna del messaggio letterario di Welby: qual è l’eredità che lascia a noi contemporanei? Quale il senso e quali i significati della sua esistenza e della sua attività artistica? Quali sono stati gli ostacoli che hanno impedito una corretta comprensione della lezione di Welby?
FL: Se avesse continuato la sua battaglia, sarebbe diventato un simbolo, a livello mondiale, per tutti i sostenitori dell’autodeterminazione dell’individuo. Piergiorgio, da questo punto di vista, è stato un emblema assoluto di libertà: dalla prigione raccapricciante del suo corpo ha gridato le ragioni indiscutibili della sua scelta. Penso, francamente, che ancor prima che contro la tortura di Chiesa e di Stato, Piergiorgio si sia espresso e abbia combattuto contro la tortura messa in atto da un’intera civiltà. Gli ostacoli sono stati posti e imposti dal sistema. Lo dimostra che, morto Piergiorgio e spentasi la bagarre politico-mediatica, non si sia fatto nulla di particolarmente importante per continuare a ricordare i significati ultimi della sua battaglia. Si è preferito semplificare il fenomeno Welby e, come spesso capita in questo Paese, dividere in modo stupidamente manicheo classi dirigenti, mezzi di informazione e opinione pubblica. Ma questa volta il meccanismo si è inceppato: a prescindere dalle opinioni personali, la gente comune ha compreso il significato più autentico del messaggio di Piergiorgio. Tranne qualche caso isolato, i cittadini gli hanno riconosciuto il diritto morale al suicidio assistito, e questa, molto probabilmente, è stata la sua vittoria più importante. Tutti, anche quanti non condividevano la sua scelta, hanno compreso l’eccezionalità del suo carisma, della sua intelligenza, della sua volontà. La sua voce, ancor prima che commuovere, ha fatto riflettere, come mai, probabilmente, in Italia era accaduto.
GF: Fraintendimenti mediatici: hai avuto occasione di rilevare distorsioni catodiche o comunque giornalistiche? Ritieni plausibile che il nome di Welby venga accostato esclusivamente ai Radicali? Qual era l’appartenenza politica e quale la Weltanschauung di Piergiorgio Welby? Qual era il suo rapporto con la Chiesa, e come giudichi il comportamento Vaticano nei suoi confronti?
FL: È poco sensato riflettere sulla scelta etico-politica di Piergiorgio senza tenere in considerazione le sue matrici culturali… Dopo l’esperienza sconvolgente della sala di rianimazione, a contatto quotidiano con espianto di organi, encefalogrammi piatti e cadaveri di ogni età, Piergiorgio iniziò una meditazione disperata sulla vita, sulla morte e sul nulla. Tornato a casa, rilesse il “De rerum natura” di Lucrezio, i tragici greci, Leopardi e tutta l’opera di Emanuele Severino. La sua scelta è stata quella di Socrate, Seneca e Petronio… Certe decisioni si prendono soltanto quando si è forniti di un retaggio etico-culturale ben preciso: senza la sua erudizione, non avrebbe mai potuto condividere, prima, e mettere in pratica, dopo, una scelta tanto poco conforme ai dettami della nostra civiltà antropocentrica e creazionista… Fino all’esperienza della tracheotomia e agli oltre quarantacinque giorni di rianimazione, Piergiorgio, pur non essendo praticante, fu sempre pascalianamente propenso a scommettere sull’esistenza di Dio. Per parecchio tempo, ebbe ottimi rapporti con don Michele Pugliese, con cui discuteva spesso sui significati ultimi dell’esistenza. Dopo, fu fortissima in lui l’avversione nei confronti di ogni forma di religione. Negli ultimi nove anni di vita non ha più ricevuto nessun sacerdote e nelle nostre discussioni sull’argomento è sempre stato categorico. A parte le inesattezze più vistose, proprie dell’imprecisione giornalistica, gli organi di informazione, se si esclude qualche rara eccezione, hanno affrontato il caso con grande accortezza e con un’invadenza molto intelligente, mai fine a se stessa. Più che di fraintendimento, parlerei, come ho detto, di semplificazione: si è cercato, infatti, di semplificare un messaggio che va ben oltre la scelta etica e la militanza politica. Quella di Piergiorgio è stata, innanzitutto, una straordinaria riflessione sull’aberrante invadenza della tecnica e sulla sola forma di vita possibile, quella naturale. Lui si è ribellato contro l’artificialità della sua condizione di essere vivente tenuto in vita da una macchina. Pur di ritornare alla conditio naturae, Piergiorgio ha deciso di morire. E si tratta, bada bene, di una concezione che il nostro sistema tende, nella migliore delle ipotesi, a censurare.
GF: Ti invito a comunicare qui, su Lankelot, tutto quel che ritieni che la stampa abbia omesso, frainteso o distorto a proposito della vita e dell’opera di Welby. Vediamo di ripristinare giustizia e verità.
FL: Distorsioni vere e proprie non ce ne sono state. Piergiorgio ha goduto della stima sincera e della piena collaborazione di Pannella, Cappato e dell’intera struttura organizzativa dell’Associazione Luca Coscioni. Comunque, alcuni degli aspetti meno noti della sua esistenza potranno venire fuori con la pubblicazione dell’opera. E non mi riferisco soltanto all’ “Oceano terminale”. Oltre ai dipinti, ai disegni e alle fotografie, Piergiorgio ha lasciato una considerevole quantità di racconti, pensieri, saggi, poesie. “L’oceano terminale” ripercorre proprio quegli aspetti della sua vita che si è cercato di passare sotto silenzio. Penso, innanzitutto, al periodo drammatico della tossicodipendenza. Per anni con Piergiorgio ho passato intere giornate: del suo carattere, delle sue idee, della sua vita, avrei ancora tantissimo da dire e da scrivere, ma preferisco, per il momento, che sia la sua opera a parlare.
Gianfranco Franchi, settembre 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.