Tumminelli
1942
1942. Stuparich dà alle stampe una nuova edizione dei suoi “Racconti”, a dodici anni pieni di distanza dalla loro prima apparizione in libreria (Buratti, Torino, 1929), arricchita da un altro pezzo, “Notte sul porto”: e proprio “Notte sul porto” è il nome di questo volume, pubblicato da Tumminelli nella collana “Nuova Biblioteca Italiana”. L'edizione include cinque prose: “La vedova”, “Un anno di scuola”, “Famiglia”, “La morte di Antonio Livesay”, “Notte sul porto”. Si tratta di vicende piccolo borghesi o popolari, ambientate tendenzialmente nella Trieste di fine Ottocento e inizio Novecento, a metà tra l'Austria e l'Italia, che raccontano storie drammatiche e intense, mostrando una buona sensibilità sociale e una discreta attitudine a raccontare le sofferenze, i contrasti e le vicissitudini dei cittadini giuliani dell'epoca. In questa raccolta, come vedremo a breve, appare uno dei massimi esiti di Stuparich in narrativa, il formidabile “Un anno di scuola”.
Nella breve nota introduttiva, l'artista chiariva i criteri fondanti della nuova edizione Tumminelli: “Ristampo […] i miei primi 'Racconti', ormai introvabili, con l'aggiunta di un nuovo: 'Notte sul porto', che sebbene scritto più tardi, mi pare appartenga per tono e per sostanza a questo stesso gruppo. […] Ho rifatto il racconto più giovanile, 'La vedova', rispettando l'ispirazione e il nucleo essenziale della prima stesura; ed ho, qua e là, lievemente ritoccato gli altri nella forma, senza alterare la natura del mio stile d'allora né, tanto meno, l'atmosfera e il colore dell'epoca, in cui s'immaginano avvenuti i fatti di questi racconti”.
Incipit è “La vedova” - storia delle giovane vedova di Giuliano, caduto sei anni prima sul Carso, e delle sue giornate tristi e difficili, vissute in povertà e nella dolorosa coscienza dell'irrimediabilità dell'assenza del perduto marito, e nel conflitto sempre più aperto e aspro con la madre di lui – che non smette di dubitare della sua fedeltà a Giuliano, che non smette di domandarle quando ha intenzione di riprendere marito. Unica consolazione il piccolo Giulianino, tutto papà: ha sette anni, e la sua voce è “vellutato zampillo”, e i suoi occhi “faville fuggenti”. E guai se dovesse succedergli qualcosa – perché la vita non avrebbe più senso. Stuparich descrive una notte passata a vegliare sul figlioletto febbricitante, con indicibile angoscia e sofferenza – mitigata soltanto dall'allucinata visione del marito, in guerra. Non è azzardato sospettare che la vicenda descritta sia quella della vedova del povero e grande Scipio Slataper, fraterno amico di Stuparich: l'omaggio letterario del suo primo sodale non poteva che consolarla.
“Un anno di scuola” è la storia d’una classe di triestini sotto Triest austriaca: è una memoria deliziosa, in cui protagonista assoluta è una ragazzina di Vienna, Edda, unica donna in un ginnasio maschile. Sogna d’essere trattata come un maschio, naturalmente innesca meccanismi inversi: adorata e idolatrata, diventa la segreta compagna del silenzioso Antero ed è vagheggiata dal povero Pasini, che arriva a spararsi per richiamare la sua attenzione, e dall’ultrairredentista Mitis, e da Neranz, figlio della miglior famiglia della borghesia cittadina. S’è intanto innamorata del mare, ha smesso d’avere nostalgia per la ricercata e mondana vita viennese: soffre per la malattia e la morte della sorella, che sembra essere congenita; sa, quindi, d’essere condannata, e tuttavia vive e ama con intensità e femminilità, fino in fondo. Sullo sfondo, giochi con la neve, la città che s’avvicina all’Italia, l’apparente austera freddezza del corpo docente, tutto l’estremismo dell’adolescenza che s’affaccia alla giovinezza, infine il congedo da un mondo che si sta per trasformare. È un documento prezioso della Trieste che fu, testimonianza dell’integrazione tra triestini e austriaci, dello stato e delle condizioni delle istituzioni scolastiche di allora, dei sogni dei giovani di quella generazione, e delle loro paure. È sinceramente pieno d’un franco sentimento d’onestà, pulizia, idealità. Il racconto è poi apparso nella fondamentale antologia di scritti di GS “Il ritorno del padre” [Einaudi, 1961, a cura di P.A. Quarantotti Gambini; La Biblioteca del Piccolo, 2003] e in un'edizione Einaudi a sé stante, assieme a “Ricordi istriani” [Einaudi, 1961; 1980], attualmente fuori commercio.
Veniamo al terzo racconto. “Famiglia” è una novelletta drammatica e neorealista di forte impatto. È la storia di Ernesto, onesto e bravo pesatore del Puntofranco, nato sotto Trieste austriaca in una casupola di città vecchia, quarto di cinque fratelli, figlio di vecchi commercianti caduti in rovina e ridotti a campare disonestamente, e a disonestamente educare i loro ragazzi. Ernesto è diverso dai suoi fratelli. Lo incontriamo giovane adulto, lavoratore infaticabile e apprezzato da tutti, padre entusiasta di parecchi bambini: poverissimo, è comunque sempre allegro e pieno di speranza. E basta una piccola promozione per riempirlo d'entusiasmo, e per farlo diventare più generoso ancora: e così Ernesto finisce facilmente per indebitarsi, e per complicarsi la vita. La malattia e la morte della moglie lo abbattono per un po', ma Ernesto, diventato nel frattempo magazziniere, sempre instancabile e pieno di risorse, trova una nuova compagna e sembra scoprire nuova fiducia nel futuro. Sul più bello della sua carriera, scoppia la Grande Guerra – e quando potrebbe diventare qualcuno, viene chiamato al fronte dall'Imperatore. La triste storia del povero Ernesto si conclude con un fortuito ritorno a casa: tempo di ammalarsi e di terminare la propria esistenza. I sei o sette bambini si ritrovano a crescere con la nonna; la primogenita, tredicenne, deve diventare donna tutto a un tratto, e prendere il posto della mancata matrigna. Stuparich racconta questa storia con personalità e sentimento, senza retorica e senza artificiosità. Da antologia – sebbene sia meno ispirata di “Un anno di scuola”, e chiaramente derivativa.
“La morte di Antonio Livesay”, è la tragedia di un cittadino di quarantatre anni, malato d'una malattia inguaribile, e del suo lento congedo dalla vita – dall'azienda paterna, dall'amata compagna, Ghita, dalle prospettive che s'illudeva di avere. In questo frangente Stuparich riesce a non scivolare nel morboso, ma la narrazione è eccessivamente patetica, e comunque incresciosamente depressiva e cupa. La scrittura s'uniforma al nero mood della vicenda del protagonista. Piatta e funerea. Molto trascurabile. Altrettanto poco riuscito è il racconto eponimo, “Notte sul porto”, melodrammatica vicenda di incontri di solitudini e di amori incompiuti e di morti improvvise e simboliche, ambientata nel porto di Trieste – è una storia triste e nera che non coinvolge, e non seduce, eccetto forse per le minuziose descrizioni iniziali d'un'osteria dalle parti del porto, e per qualche sapore e per qualche odore che il professor Giani Stuparich teneva molto a restituirci e raccontarci – già, sapeva evocarli con semplicità, e con naturalezza. Sempre.
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Segnalo, a beneficio dei curiosi e dei bibliomani, che ho potuto studiare e annotare questo introvabile libro, così come “Nazione ceca”, “Colloqui con mio fratello”, “Donne nella vita di Stefano Premuda” e “Stagioni alla fontana”, grazie ai formidabili scaffali della “Libreria 900 di Carta” di Archie Pavia: grato saluto e ringrazio.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giani Stuparich (Triest, Austria, 1891 – Roma, 1961), giornalista e scrittore italiano, di madre triestina (Gisella Gentili) e padre di Lussino (Marco Stuparich). Iscritto all’Università di Praga, si trasferì assieme a Slataper all’Università di Firenze. Si laureò in Letteratura Italiana con una tesi su Machiavelli. Esordì pubblicando “Colloqui con mio fratello” nel 1925.
Giani Stuparich, “Notte sul porto”, Tumminelli, 1942. Collana “Nuova Biblioteca Italiana”, diretta da Arnaldo Bocelli, 5.
Prima edizione: “Racconti”, Buratti, Torino, 1929. Garzanti, Milano, 1942.
Approfondimento in rete: Wikipedia.
Gianfranco Franchi, agosto 2011.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Introvabile raccolta di racconti di Giani Stuparich…